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- Certo, basta aver voglia di muoversi. Ora vieni, ti farò visitare il castello.

C'erano più di cento saloni, zeppi di tesori d'ogni genere, come quei castelli delle favole dove dormono le belle addormentate o dove gli orchi ammassano le loro ricchezze. C'erano diamanti, pietre preziose, oro, argento, e ogni momento la bella signora diceva: - Prendi, prendi quello che vuoi. Ti presterò un carretto per portare il peso.

Figuratevi se Martino si fece pregare. Il carretto era ben pieno quando egli ripartì. A cassetta sedeva il cane, che era un cane ammaestrato, e sapeva reggere le briglie e abbaiare ai cavalli quando sonnecchiavano e uscivano di strada.

In paese, dove l'avevano già dato per morto, Martino Testadura fu accolto con grande sorpresa. Il cane scaricò in piazza tutti i suoi tesori, dimenò due volte la coda in segno di saluto, rimontò a cassetta e via, in una nuvola di polvere. Martino fece grandi regali a tutti, amici e nemici, e dovette raccontare cento volte la sua avventura, e ogni volta che finiva qualcuno correva a casa a prendere carretto e cavallo e si precipitava giù per la strada che non andava in nessun posto.

Ma quella sera stessa tornarono uno dopo l'altro, con la faccia lunga così per il dispetto: la strada, per loro, finiva in mezzo al bosco, contro un fitto muro d'alberi, in un mare di spine. Non c'era più né cancello, né castello, né bella signora. Perché certi tesori esistono soltanto per chi batte per primo una strada nuova, e il primo era stato Martino Testadura.

Lo spaventapasseri

Gonario era l'ultimo di sette fratelli. I suoi genitori non avevano soldi per mandarlo a scuola, perciò lo mandarono a lavorare in una grande fattoria agricola. Gonario doveva fare lo spaventapasseri, per tener lontani gli uccelli dai campi. Ogni mattina gli davano un cartoccio di polvere da sparo e Gonario, per ore ed ore, faceva su e giù per i campi, e di tratto in tratto si fermava e dava fuoco a un pizzico di polvere. L'esplosio-ne spaventava gli uccelli che fuggivano, temendo i cacciatori.

Una volta il fuoco si appiccò alla giacca di Gonario, e se il bambino non fosse stato svelto a tuffarsi in un fosso certamente sarebbe morto tra le fiamme. Il suo tuffo spaventò le rane, che fuggirono con clamore, e il loro clamore spaventò i grilli e le cicale, che smisero per un attimo di cantare.

Ma il più spaventato di tutti era lui, Gonario, e piangeva tutto solo in riva al fosso, bagnato come un brutto anatroccolo, piccolo, stracciato e affamato. Piangeva così disperatamente che i passeri si fermarono su un albero a guardarlo, e pigolavano di compassione per consolarlo. Ma i passeri non possono consolare uno spaventapasseri.

Questa storia è accaduta in Sardegna.

A giocare col bastone

Un giorno il piccolo Claudio giocava sotto il portone, e sulla strada passò un bel vecchio con gli occhiali d'oro, che camminava curvo, appoggiandosi a un bastone, e proprio davanti al portone il bastone gli cadde.

Claudio fu pronto a raccoglierlo e lo porse al vecchio, che sorrise e disse:

- Grazie, ma non mi serve. Posso camminare benissimo senza. Se ti piace, tienilo.

E senza aspettare risposta si allontanò, e pareva meno curvo di prima. Claudio rimase lì col bastone fra le mani e non sapeva che farne. Era un comune bastone di legno, col manico ricurvo e il puntale di ferro, e niente altro di speciale da notare.

Claudio picchiò due o tre volte il puntale per terra, poi, quasi senza pensarci, inforcò il bastone ed ecco che non era più un bastone, ma un cavallo, un meraviglioso puledro nero con una stella bianca in fronte, che si slanciò al galoppo intorno al cortile, nitrendo e facendo sprizzare scintille dai ciottoli.

Quando Claudio, meravigliato e un po' spaventato, riuscì a rimettere il piede a terra, il bastone era di nuovo un bastone, e non aveva zoccoli ma un semplice puntale arrugginito, né criniera, ma il solito manico ricurvo.

- Voglio riprovare, - decise Claudio, quando ebbe ripreso fiato.

Inforcò di nuovo il bastone, e stavolta esso non fu un cavallo, ma un solenne cammello a due gobbe, e il cortile era un immenso deserto da attraversare, ma Claudio non aveva paura e scrutava in lontananza, per veder comparire l'oasi.

«È certamente un bastone fatato», si disse Claudio, inforcandolo per la terza volta. Adesso era un'automobile da corsa, tutta rossa, col numero scritto in bianco sul cofano, e il cortile una pista rombante, e Claudio arrivava sempre primo al traguardo.

Poi il bastone fu un motoscafo, e il cortile un lago dalle acque calme e verdi, e poi un'astronave che fendeva lo spazio, lasciandosi dietro una scia di stelle.

Ogni volta che Claudio rimetteva il piede a terra il bastone riprendeva il suo pacifico aspetto, il manico lucido, il vecchio puntale.

Il pomeriggio passò veloce tra quei giochi. Verso sera Claudio si riaffacciò per caso sulla strada, ed ecco di ritorno il vecchio dagli occhiali d'oro. Claudio lo osservò con curiosità, ma non poté vedere in lui niente di speciale: era un vecchio signore qualunque, un po' affaticato dalla passeggiata.

- Ti piace il bastone? - egli domandò sorridendo a Claudio.

Claudio credette che lo rivolesse indietro, e glielo tese, arrossendo.

Ma il vecchio fece cenno di no.

- Tienilo, tienilo, - disse. - Che cosa me ne faccio, ormai, di un bastone? Tu ci puoi volare, io potrei soltanto appoggiarmi. Mi appoggerò al muro e sarà lo stesso.

E se ne andò sorridendo, perché non c'è persona più felice al mondo del vecchio che può regalare qualcosa ad un bambino.

Vecchi proverbi

- Di notte, - sentenziava un Vecchio Proverbio, - tutti i gatti sono bigi.

- E io son nero, - disse un gatto nero attraversando la strada.

- E impossibile: i Vecchi Proverbi hanno sempre ragione.

- Ma io sono nero lo stesso, - ripeté il gatto.

Per la sorpresa e per l'amarezza il Vecchio Proverbio cadde dal tetto e si ruppe una gamba.

Un altro Vecchio Proverbio andò a vedere una partita di calcio, prese da parte un giocatore e gli sussurrò nell'orecchio: - Chi fa da sé fa per tre!

Il calciatore si provò a giocare al pallone da solo, ma era una noia da morire e non poteva vincere mai, perciò fece ritorno in squadra. Il Vecchio Proverbio, per il disappunto, si ammalò e dovettero levargli le tonsille.

Una volta tre Vecchi Proverbi si incontrarono e avevano appena aperto bocca che cominciarono a litigare:

- Chi bene incomincia è a metà dell'opera, - disse il primo.

- Niente affatto, - disse il secondo, - la virtù sta nel mezzo.

- Gravissimo errore, - esclamò il terzo, - il dolce è in fondo.

Si presero per i capelli e sono ancora là che se le danno.

Poi c'è la storia di quel Vecchio Proverbio che aveva voglia di una pera, e si mise sotto l'albero, e intanto pensava: «Quando la pera è matura casca da sé».

Ma la pera cascò soltanto quando fu marcia fradicia, e si spiaccicò sulla zucca del Vecchio Proverbio, che per il dispiacere diede le dimissioni.

L'Apollonia della marmellata

A Sant'Antonio, sul Lago Maggiore, viveva una donnina tanto brava a fare la marmellata, così brava che i suoi servigi erano richiesti in Valcuvia, in Valtravaglia, in Val Dumentina e in Val Poverina. La gente, quand'era la stagione, arrivava da tutte le valli, si sedeva sul muricciolo a guardare il panorama del lago, coglieva qualche lampone dai cespugli, poi chiamava la donnina della marmellata: