«Dove andremo?» si domandò il vecchio signore. In quel momento gli passò davanti il nipotino, al volante della vecchia jeep rossa un po' stinta, trasformata in un veicolo spaziale. E dietro a lui, in fila, tutti gli altri bambini, tranquilli e sicuri sulla loro orbita come tanti satelliti artificiali.
L'omino della giostra chissà dov'era, ormai; però si sentiva ancora il disco che suonava un brutto cha-chacha: ogni giro di giostra durava un disco intero.
«Allora il trucco c'era, - si disse il vecchio signore. - Quell'ometto dev'essere uno stregone».
E pensò anche: «Se nel tempo di un disco faremo un giro intero della terra, batteremo il record di Gagarin». Ora la carovana spaziale sorvolava l'Oceano Pacifico con tutte le sue isolette, l'Australia coi canguri che spiccavano salti, il Polo Sud, dove milioni di pinguini stavano col naso per aria. Ma non ci fu il tempo di contarli: al loro posto già gli indiani d'America facevano segnali col fumo, ed ecco i grattacieli di Nuova York, ed ecco un solo grattacielo, ed era quello di Cesenatico. Il disco era finito. Il vecchio signore si guardò intorno, stupito: era di nuovo sulla vecchia, pacifica giostra in riva all'Adriatico, l'ometto scuro e magro la stava frenando dolcemente, senza scosse.
Il vecchio signore scese traballando.
- Senta, lei, - disse all'ometto. Ma quello non aveva tempo di dargli retta, altri bambini avevano occupato i cavalli e le jeep, la giostra ripartiva per un altro giro del mondo.
- Dica, - ripeté il vecchio signore, un po' stizzito. L'ometto non lo guardò nemmeno. Spingeva la giostra, si vedevano passare in tondo le facce allegre dei bambini che cercavano quelle dei loro genitori, ferme in cerchio, tutte con un sorriso d'incoraggiamento sulle labbra.
Uno stregone quell'ometto da due soldi? Una giostra magica quella buffa macchina traballante al suono di un brutto cha-cha-cha?
- Via, - concluse il vecchio, - è meglio che non ne parli a nessuno. Forse riderebbero alle mie spalle e mi direbbero: «Non sa che alla sua età è pericoloso andare in giostra, perché vengono le vertigini?»
Sulla spiaggia di Ostia
A pochi chilometri da Roma c'è la spiaggia di Ostia, e i romani d'estate ci vanno a migliaia di migliaia, sulla spiaggia non resta nemmeno lo spazio per scavare una buca con la paletta, e chi arriva ultimo non sa dove piantare l'ombrellone.
Una volta capitò sulla spiaggia di Ostia un bizzarro signore, davvero spiritoso. Arrivò per ultimo, con l'ombrellone sotto il braccio, e non trovò il posto per piantarlo. Allora lo aprì, diede un'aggiustatina al manico e subito l'ombrellone si sollevò per aria, scavalcò migliaia di migliaia di ombrelloni e andò a mettersi proprio in riva al mare, ma due o tre metri sopra la punta degli altri ombrelloni. Lo spiritoso signore aprì la sua sedia a sdraio, e anche quella galleggiò per aria; si sdraiò all'ombra dell'ombrellone, levò di tasca un libro e cominciò a leggere, respirando l'aria del mare, frizzante di sale e di iodio.
La gente, sulle prime, non se ne accorse nemmeno. Stavano tutti sotto i loro ombrelloni, cercavano di vedere un pezzetto di mare tra le teste di quelli che stavano davanti, o facevano le parole crociate, e nessuno guardava per aria. Ma ad un tratto una signora sentì qualcosa cadere sul suo ombrellone, pensò che fosse una palla, uscì per sgridare i bambini, si guardò intorno, guardò per aria e vide lo spiritoso signore sospeso sulla sua testa. Il signore guardava in giù e disse a quella signora:
- Scusi, signora, mi è caduto il libro. Me lo ributta su per cortesia?
La signora, per la sorpresa, cadde seduta nella sabbia e siccome era molto grassa non riusciva a risollevarsi. Accorsero i parenti per aiutarla, e la signora, senza parlare, indicò loro col dito l'ombrellone volante.
- Per piacere, - ripeté lo spiritoso signore, - mi ributtano su il mio libro?
- Ma non vede che ha spaventato nostra zia!
- Mi dispiace tanto, non ne avevo davvero l'intenzione.
- E allora scenda di lì, è proibito.
- Niente affatto, sulla spiaggia non c'era posto e mi sono messo qui. Anch'io pago le tasse, sa?
Uno dopo l'altro, intanto, tutti i romani della spiaggia si decisero a guardare per aria, e si additavano ridendo quel bizzarro bagnante.
- Anvedi quello, - dicevano, - ci ha l'ombrellone a reazzione!
- A Gagarin, - gli gridavano, - me fai montà puro ammè?
Un ragazzino gli gettò su il libro, e il signore lo sfogliava nervosamente per ritrovare il segno, poi si rimise a leggere sbuffando. Pian piano lo lasciarono in pace. Solo i bambini, ogni tanto, guardavano per aria con invidia, e i più coraggiosi chiamavano:
- Signore, signore!
- Che volete?
- Perché non ci insegna come si fa a star per aria così? Ma quello sbuffava e tornava a leggere. Al tramonto, con un leggero sibilo, l'ombrellone volò via, lo spiritoso signore atterrò sulla strada vicino alla sua motocicletta, montò in sella e se ne andò. Chissà chi era e chissà dove aveva comprato quell'ombrellone.
Il topo dei fumetti
Un topolino dei fumetti, stanco di abitare tra le pagine di un giornale e desideroso di cambiare il sapore della carta con quello del formaggio, spiccò un bel salto e si trovò nel mondo dei topi di carne e d'ossa.
- Squash! - esclamò subito, sentendo odor di gatto. - Come ha detto? - bisbigliarono gli altri topi, messi in soggezione da quella strana parola.
- Sploom, bang, gulp! - disse il topolino, che parlava solo la lingua dei fumetti.
- Dev'essere turco, - osservò un vecchio topo di bastimento, che prima di andare in pensione era stato in servizio nel Mediterraneo. E si provò a rivolgergli la parola in turco. Il topolino lo guardò con meraviglia e disse:
- Ziip, fiiish, bronk.
- Non è turco, - concluse il topo navigatore. - Allora cos'è?
- Vattelapesca.
Così lo chiamarono Vattelapesca e lo tennero un po' come lo scemo del villaggio.
- Vattelapesca, - gli domandavano, - ti piace di più il parmigiano o il groviera?
- Spliiit, grong, ziziziiir, - rispondeva il topo dei fumetti.
- Buona notte, - ridevano gli altri. I più piccoli, poi,
gli tiravano la coda apposta per sentirlo protestare in quella buffa maniera: - Zoong, splash, squarr!
Una volta andarono a caccia in un mulino, pieno di sacchi di farina bianca e gialla. I topi affondarono i denti in quella manna e masticavano a cottimo, facendo: crik, crik, crik, come tutti i topi quando masticano. Ma il topo dei fumetti faceva: - Crek, screk, schererek.
- Impara almeno a mangiare come le persone educate, - borbottò il topo navigatore. - Se fossimo su un bastimento saresti già stato buttato a mare. Ti rendi conto o no che fai un rumore disgustoso?
- Crengh, - disse il topo dei fumetti, e tornò a infilarsi in un sacco di granturco.
Il navigatore, allora, fece un segno agli altri, e quatti quatti se la filarono, abbandonando lo straniero al suo destino, sicuri che non avrebbe mai ritrovato la strada di casa.