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Un vecchietto con una carrozzella per bambini trasformata in carrettino e un fornello a carbone e il profumo delle caldarroste, e per terra la neve. Un giovanotto, pelle e ossa, con gli occhi spalancati e un’espressione spaventata sulla faccia, sta guardando in su, l’insegna del negozio. Che cosa c’è scritto? Lettere offuscate al punto da essere incomprensibili. Ora so che sull’insegna c’è scritto PANETTERIA DONNER, ma. rievocando nella memoria l’insegna, non riesco a leggere le parole con gli occhi di lui. Non c’è insegna che abbia un senso.

Credo di essere io quel tale con l’aria spaventata sulla faccia.

Vivide insegne al neon. Alberi di Natale e banchetti di ambulanti sui marciapiedi. Gente infagottata in cappotti con i baveri alzati e sciarpe intorno al collo. Ma lui non porta i guanti. Ha le mani gelide e posa un pacco pesante di sacchetti di carta marrone. Si è fermato a contemplare i piccoli giocattoli meccanici che l’ambulante sta caricando… l’orso che si rotola, il cane che salta, la foca che fa girare un pallone sulla punta del naso. Si rotolano, saltano, fanno girare il pallone. Se quei giocattoli fossero suoi, lui sarebbe la creatura più felice della terra.

Vuole domandare all’ambulante dalla faccia paonazza, con le dita che sporgono dai guanti di cotone marrone, se potrebbe prendere in mano per un minuto l’orso che si rotola, ma ha paura. Raccatta il pacco di sacchetti di carta e se lo mette sulla spalla. È magro, ma robusto dopo molti anni di duro lavoro.

«Charlie! Charlie!… Stupido tonto!»

Fanciulli lo circondano ridendo e stuzzicandolo come cagnolini che cerchino di mordergli i piedi. Charlie rivolge loro un sorriso. Gli piacerebbe posare il pacco e giocare con quei monelli, ma quando ci pensa si sente guizzare la pelle sulla schiena e ricorda come i ragazzi più grandi gli lancino sassi.

Tornando alla panetteria scorge alcuni giovinastri, fermi sulla soglia di un portone buio.

«Ehi, Charlie. Che cos’hai lì? Ti va di giocare a dadi?»

«Vieni qui. Non ti facciamo niente.»

Ma c’è qualcosa in quel portone… l’androne scuro, le risate, che di nuovo gli fa guizzare la pelle. Si sforza di capire di che cosa si tratta, ma ricorda soltanto i loro escrementi e la loro orina dappertutto sui suoi vestiti, e gli urli dello zio Herman quando è tornato a casa tutto insudiciato, e come lo zio Herman sia corso fuori con un martello in mano in cerca dei ragazzi che gli hanno giocato quel tiro. Charlie indietreggia dai ragazzi che ridono sulla soglia, lascia cadere il pacco. Lo raccatta di nuovo e corre per tutta la strada fino alla panetteria.

«Perché ci hai messo tutto ’sto tempo, Charlie?» urla Gimpy dalla soglia del retrobottega.

Charlie entra, spingendo la doppia porta a molla, nel retrobottega e posa il pacco su uno degli scivoli. Si appoggia alla parete ficcandosi le mani in tasca. Vorrebbe avere il suo spago con i dischi che girano.

Gli piace stare lì dietro nella panetteria dove il pavimento è bianco di farina… più bianco delle pareti fuligginose e del soffitto. Anche le suole spesse dei suoi stivaletti sono incrostate di bianco e c’è del bianco persino sulle stringhe e negli occhielli e sotto le unghie e sulla pelle screpolata e rugosa delle mani.

Si rilassa, qui… accovacciandosi quasi contro la parete… appoggiandosi all’indietro in modo da far reclinare il berretto da giocatore di pallabase con la «D» in avanti sugli occhi. Gli piace l’odore della farina, della pasta per il pane, dei panini e delle paste che cuociono nel forno. Il forno sta scoppiettando e lo rende sonnacchioso.

Dolcezza… tepore… sonno…

A un tratto sta cadendo, si sta contorcendo, batte con la testa contro la parete. Qualcuno gli ha fatto lo sgambetto e le gambe gli si sono piegate sotto.

Non ricordo altro. Vedo tutto con chiarezza, ma non so perché accadde. È come quando andavo al cinema. La prima volta non capivo mai, perché tutto sì svolgeva troppo rapidamente, ma dopo aver visto il film tre o quattro volte, di solito capivo quel che dicevano. Devo farmelo spiegare dal dottor Strauss.

14 aprile Il dottor Strauss dice che l’importante è continuare a rievocare i ricordi, come quelli che ho rievocato ieri, e scriverli. In seguito, quando vado nel suo studio, possiamo parlarne.

Il dottor Strauss è uno psichiatra e un neurochirurgo. Non lo sapevo, credevo che fosse un semplice medico. Ma quando sono andato nel suo studio stamane mi ha spiegato quanto è importante che io impari a conoscermi, in modo da poter capire le mie difficoltà. Gli ho detto che non incontravo difficoltà.

Ha riso, poi si è alzato dalla sua poltroncina e si è avvicinato alla finestra. «Quanto più diventerai intelligente, tanto più numerose saranno le difficoltà che incontrerai, Charlie. Il tuo sviluppo intellettuale supererà lo sviluppo emotivo. E constaterai, credo, che, progredendo, vorrai parlarmi di molte cose. Desidero soltanto che tu ricordi una cosa: questo è il luogo nel quale dovrai venire quando avrai bisogno di aiuto.»

Ancora non so di che cosa parlasse, ma ha detto che anche se non capisco i miei sogni o i miei ricordi, o la ragione per la quale mi tornano, un giorno o l’altro tutto finirà con il collegarsi, e io mi conoscerò meglio. Ha detto che l’importante è scoprire che cosa stanno dicendo quelle persone nei miei ricordi. Tutto si riferisce a me quando ero bambino e devo ricordare quel che è successo.

Non avevo mai saputo niente di queste cose prima d’ora. A quanto pare, se diventerò intelligente abbastanza capirò tutte le parole nella mia mente, e saprò tutto di quei ragazzi in piedi sulla soglia del portone, e di mio zio Herman e dei miei genitori. Ma lui vuol dire che allora tutto questo mi dispiacerà e che potrei ammalarmi mentalmente.

Così d’ora in avanti devo andare due volte alla settimana nel suo studio per parlare delle cose che mi infastidiscono. Ci limitiamo a starcene seduti, e io parlo, e il dottor Strauss ascolta. Questo si chiama terapia e significa parlare di cose che mi faranno sentir meglio. Gli ho detto che una delle cose che mi preoccupano è la faccenda delle donne. Per esempio il fatto che aver ballato con quella ragazza, Ellen, mi ha eccitato tutto. Così ne abbiamo parlato e io ho provato una sensazione strana mentre parlavo, mi sono sentito gelido e sudato, e sentivo un ronzio nella testa, e mi pareva d’essere sul punto di vomitare. Forse perché ho sempre pensato che fosse male e una cosa sporca parlare di certi argomenti. Ma il dottor Strauss ha detto che quanto mi è accaduto dopo la festa è stato una polluzione notturna, e che si tratta di una cosa naturale per i ragazzi.

Così, anche se sto diventando intelligente e imparando un mucchio di cose nuove, lui crede ch’io sia ancora un ragazzo per quanto concerne le donne. C’è da confondersi, ma voglio scoprire tutto sulla mia vita.

15 aprile Sto leggendo molto in questi giorni e riesco a ricordare quasi tutto. Oltre alla storia, alla geografia e all’aritmetica, Miss Kinnian dice che dovrei incominciare a imparare le lingue straniere. Il professor Nemur mi ha dato alcuni altri nastri magnetici da far passare mentre dormo. Ancora non so come funzionino il conscio e l’inconscio, ma il dottor Strauss dice che non devo preoccuparmene per il momento. Mi ha fatto promettere che quando inizierò gli studi universitari, tra un paio di settimane, non leggerò nessun trattato di psicologia… almeno fino a quando non sarò autorizzato da lui. Dice che la cosa mi confonderebbe e mi farebbe pensare alle teorie psicologiche anziché alle mie idee e ai miei sentimenti personali.