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Harriet, quando scende, si guarda intorno per vedere chi abbia suonato il campanello. Poi vede il pacchetto. Lo prende e sale di sopra. Charlie torna a casa e lo aspetta una sculacciata perché ha preso il foglio di carta velina e il nastrino nel cassetto di sua madre senza dirglielo. Ma non gliene importa. Domani Harriet porterà il medaglione e dirà a tutti i ragazzi che è stato lui a darglielo. Allora vedranno.

Il giorno dopo fa di corsa tutta la strada fino a scuola, ma è troppo presto. Harriet non è ancora arrivata e lui si sente eccitato.

Ma quando Harriet giunge, non lo guarda neppure. Non porta il medaglione. E ha un’aria risentita.

Lui fa ogni sorta di cose quando la signora Janson non sta guardando: fa smorfie buffe; ride forte; si alza in piedi sul sedile del banco e dimena il sedere. Lancia persino un pezzo di gesso contro Harold. Ma Harriet non si degna di guardarlo neppure una volta. Forse ha dimenticato il medaglione. Forse se lo metterà domani. Gli passa accanto nel corridoio, ma quando Charlie si avvicina per domandarglielo lo spinge e lo lascia indietro senza dir parola.

Giù nel cortile della scuola i suoi due fratelli più grandi stanno aspettando Charlie.

Gus gli dà un urtone: «Ehi, piccolo bastardo, lo hai scritto tu questo sudicio biglietto a mia sorella?»

Charlie risponde di non avere scritto nessun sudicio biglietto. «Le ho portato soltanto un biglietto di San Valentino.»

Oscar, che prima di diplomarsi alle medie faceva parte della squadra di calcio, agguanta Charlie per la camicia e gli strappa due bottoni. «Sta’ alla larga dalla mia sorellina, degenerato. Questa scuola non fa per te, del resto.»

Spinge Charlie verso Gus, che lo afferra alla gola. Charlie ha paura e si mette a piangere.

I due incominciano allora a fargli del male. Oscar gli dà un pugno sul naso e Gus lo getta a terra e gli sferra calci nel fianco, poi lo prendono a calci tutti e due, prima l’uno e poi l’altro, e alcuni ragazzi nel cortile, amici di Charlie, sopraggiungono di corsa gridando e battendo le mani: «Pestaggio! Pestaggio! Stanno picchiando Charlie!»

Ha i vestiti strappati e il naso gli sanguina e gli si è spezzato un dente, e quando Gus e Oscar se ne sono andati, si mette a sedere sul marciapiede e piange. Il sangue ha un sapore acre. Gli altri ragazzi si limitano a ridere o a urlare: «Charlie le ha prese! Charlie le ha prese!» E poi arriva il signor Wagner, uno dei sorveglianti della scuola, e li scaccia. Conduce Charlie nella toletta dei maschi e gli dice di lavarsi il sangue e la terra dalla faccia e dalle mani prima di tornare a casa…

Dovevo essere molto stupido, suppongo, perché credevo a quel che mi diceva la gente. Non avrei mai dovuto fidarmi di Hymie né di nessun altro.

Prima d’oggi non avevo mai ricordato niente di tutto questo, ma mi è tornato in mente dopo aver ripensato al sogno. Ha qualcosa a che vedere con le mie sensazioni mentre Miss Kinnian leggeva i rapporti sui progressi. In ogni modo, sono contento adesso di non dover chiedere a nessuno di scrivere in vece mia. Ora posso farlo da solo.

Ma mi sono appena reso conto di una cosa. Harriet non mi restituì mai il medaglione.

18 aprile Ho scoperto che cos’è un Rorschach. È il test con le macchie d’inchiostro, quello cui fui sottoposto prima dell’operazione. Non appena mi sono reso conto di che cosa si trattava, ho avuto paura. Sapevo che Burt mi avrebbe chiesto di trovare le immagini, e sapevo che non ne sarei stato capace. Pensavo: se soltanto vi fosse un modo per sapere che genere di immagini vi sono nascoste! Forse non ce n’erano affatto. Forse si trattava soltanto di un trucco per accertare se ero così stupido da cercare qualcosa che non esisteva. Solo a pensarci l’ho odiato.

«Benissimo, Charlie», ha detto Burt, «queste schede le hai già vedute, ricordi?»

«Sicuro, me ne ricordo.»

Dal modo come l’ho detto, lui ha capito ch’ero arrabbiato, e ha alzato gli occhi su di me, stupito.

«C’è qualcosa che non va, Charlie?»

«No, non c’è niente che non vada. Queste macchie d’inchiostro mi hanno scombussolato.»

Ha sorriso e scosso la testa. «Non c’è nessuna ragione di sentirsi scombussolati. Questo è soltanto uno dei test standard sulla personalità. Ora voglio che tu guardi questa scheda. Che cosa potrebbe essere? Che cosa ci vedi nella scheda? La gente vede ogni sorta di cose in queste macchie d’inchiostro. Dimmi che cosa potrebbe rappresentare per te… a che cosa ti fa pensare.»

Ero scosso. Ho fissato la scheda e poi lui. Non mi ero aspettato affatto di sentirmi dire quelle parole da Burt. «Vuol dire che non ci sono immagini nascoste in queste macchie d’inchiostro?»

Burt si è accigliato e si è tolto gli occhiali. «Come?»

«Immagini! Nascoste tra le macchie d’inchiostro! L’ultima volta lei mi disse che tutti potevano vederle e volle che le trovassi anch’io.»

«No, Charlie, non posso aver detto una cosa simile.»

«Come?» gli ho urlato. L’essere stato così timoroso delle macchie d’inchiostro mi aveva reso rabbioso contro me stesso e anche contro Burt. «Mi disse proprio così. Il fatto che lei è abbastanza intelligente per frequentare l’università, non l’autorizza a prendermi in giro. Sono stanco e stufo di essere deriso da tutti.»

Non ricordo di essermi mai arrabbiato tanto. Non ce l’avevo proprio con Burt, credo, ma a un tratto tutto è esploso. Ho gettato sul tavolo le schede di Rorschach e me ne sono andato. Il professor Nemur stava passando nel corridoio e quando gli sono passato accanto senza salutarlo si è accorto ch’era accaduto qualcosa. Lui e Burt mi hanno raggiunto mentre stavo per scendere con l’ascensore.

«Charlie», ha detto Nemur afferrandomi per un braccio, «aspetta un momento. Che cos’è tutta questa storia?»

Mi sono liberato divincolandomi e con un cenno della testa ho indicato Burt. «Sono stufo marcio della gente che mi prende in giro. Ecco tutto. Forse prima non capivo niente, ma ora sì, e questa storia non mi piace.»

«Nessuno si sta burlando di te qui, Charlie», ha detto il professor Nemur.

«E le macchie d’inchiostro, allora? L’ultima volta Burt mi disse che c’erano immagini nell’inchiostro… che tutti potevano vederle, e io…»

«Senti, Charlie, ti piacerebbe udire le parole precise che ti disse Burt, e anche le tue risposte? Abbiamo una registrazione su nastro di quella seduta. Possiamo far passare il nastro sul registratore e farti ascoltare quello che fu detto esattamente.»

Sono tornato indietro con loro nel reparto psicologia in preda a uno stato d’animo confuso. Ero sicuro che si fossero burlati di me e mi avessero preso in giro quando ero troppo ignorante per accorgermene. La mia ira era una sensazione eccitante e non volevo rinunciarvi facilmente. Mi sentivo pronto a battermi.

Mentre Nemur cercava il nastro negli schedari, Burt ha spiegato: «L’ultima volta, mi sono servito quasi esattamente delle stesse parole che ho adoperato oggi. Questi test richiedono che la procedura sia la stessa ogni volta».

«Ci crederò quando l’avrò udito.»

I due si sono scambiati un’occhiata. Ho sentito il sangue affluirmi di nuovo al viso. Stavano ridendo di me. Ma poi mi sono reso conto di quel che avevo appena detto, e udendo me stesso ho capito la ragione dello sguardo. Non stavano ridendo. Sapevano quello che mi succedeva. Ero pervenuto a un nuovo livello, e l’ira e il sospetto costituivano le mie prime reazioni al mondo intorno a me.

La voce di Burt rimbombava dal registratore a nastro:

«Ora voglio che tu guardi questa scheda, Charlie. Che cosa potrebbe rappresentare? Che cosa vedi su questa scheda? La gente vede ogni sorta di cose in queste macchie d’inchiostro. Dimmi a che cosa ti fa pensare…»