Le stesse parole, quasi lo stesso tono di voce di cui si era servito pochi minuti prima nel laboratorio. E poi ho udito le mie risposte… balbettamenti infantili, impossibili. E mi sono lasciato cadere inerte sulla sedia accanto alla scrivania del professor Nemur. «Ero proprio io, quello?»
Sono tornato in laboratorio con Burt e abbiamo continuato con il Rorschach, esaminando le schede lentamente. Questa volta le mie reazioni sono state diverse. Ho «veduto» cose nelle macchie d’inchiostro. Due pipistrelli che si davano strattoni a vicenda. Due uomini che duellavano con la spada. Ho immaginato cose d’ogni genere. Ma ciò nonostante ho constatato che non mi fidavo più ciecamente di Burt. Seguitavo a rigirare le schede e ad esaminarne il retro per assicurarmi che non vi fosse qualcosa di cui avrei dovuto accorgermi.
Sbirciavo, mentre lui stava prendendo appunti. Ma era tutto in codice, presso a poco così
Il test continuava a non avere alcun senso per me. A me sembra che chiunque potrebbe inventare bugie sulle cose che in realtà non vede. Come possono sapere che non li sto burlando e che non dico cose in realtà mai vedute?
Forse capirò quando il dottor Strauss mi permetterà di leggere trattati di psicologia. Sta diventando più difficile per me scrivere di tutti i miei pensieri e di tutti i miei sentimenti, perché so che verranno letti da altre persone. Forse sarebbe meglio se potessi tenere per me questi rapporti per qualche tempo. Lo dirò al dottor Strauss. Perché, poi, la cosa ha incominciato a infastidirmi tutto a un tratto?
10° RAPPORTO SUI PROGRESSI
21 aprile Ho escogitato un nuovo modo per organizzare il lavoro delle impastatrici alla panetteria e accelerare la produzione. Il signor Donner dice che questo gli farà risparmiare costi di lavorazione e aumenterà gli utili. Mi ha dato un premio di cinquanta dollari e mi ha concesso un aumento di dieci dollari alla settimana.
Volevo invitare a pranzo Joe Carp e Frank Reilly per festeggiare l’avvenimento, ma Joe doveva fare alcune compere per sua moglie e Frank pranzava con il cugino. Ci vorrà un po’ di tempo, suppongo, prima che si abituino ai cambiamenti intervenuti in me.
Sembra che io incuta timore a tutti. Quando mi sono avvicinato a Gimpy e gli ho battuto la mano sulla spalla per domandargli qualcosa, è balzato in piedi e si è versato il caffè addosso dappertutto. Mi fissa con gli occhi sbarrati quando crede ch’io non lo stia guardando. Nessuno alla panetteria mi rivolge più la parola o scherza con me come un tempo. Questo fa sì che mi senta piuttosto solo lavorando.
Quando ci penso, ricordo quella volta che m’addormentai stando in piedi e Frank mi fece lo sgambetto. L’odore caldo e dolciastro, le pareti bianche, il rombo del forno, quando Frank apre lo sportello per spostare le pagnotte.
A un tratto la caduta… il contorcimento… tutto mi sfugge di sotto e batto la testa contro il muro.
Sono io, eppure è come se lì giacesse qualcun altro… un altro Charlie. È confuso… si strofina la testa… alzando gli occhi e fissando Frank, alto e magro, e poi Gimpy, lì accanto, il massiccio e peloso Gimpy dalla faccia grigiastra, con le sopracciglia cespugliose che quasi gli nascondono gli occhi celesti.
«Lascia stare il ragazzo», dice Gimpy. «Gesù, Frank, perché devi sempre prendertela con lui?»
«Non è niente», ride Frank. «Mica gli ho fatto male. E poi non se ne rende conto. Non è vero, Charlie?»
Charlie continua a massaggiarsi la testa e si fa piccolo. Non sa che cosa abbia fatto per meritare questo castigo, ma è sempre possibile che gliene tocchino di più.
«Tu però non sei uno stupido», dice Gimpy, zoppicando sulla sua scarpa ortopedica, «e allora perché diavolo te la prendi sempre con lui?» I due uomini siedono alla lunga tavola, l’alto Frank e il tarchiato Gimpy, formando con la pasta i panini che devono essere messi in forno per le ordinazioni della sera.
Lavorano silenziosi per qualche tempo e poi Frank smette e spinge all’indietro il berretto bianco. «Ehi, Gimp, credi che Charlie potrebbe imparare a fare i panini?»
Gimp appoggia un gomito alla tavola da lavoro. «Si può sapere perché non lo lasci in pace?»
«No, dico sul serio, Gimp… seriamente. Scommetto che riuscirebbe a imparare una cosa semplice come fare i panini.»
L’idea sembra piacere a Gimpy, che si volta e fissa Charlie. «Forse non hai avuto una cattiva idea. Ehi. Charlie, vieni qui un momento.»
Come fa di solito quando la gente sta parlando di lui, Charlie ha tenuto la testa bassa, fissandosi i lacci delle scarpe. Sa allacciarli e annodarli. Potrebbe fare i panini. Potrebbe imparare a lavorare, ad arrotolare, a torcere e a foggiare la pasta nelle piccole forme rotonde.
Frank lo guarda con aria incerta. «Forse non dovremmo, Gimp. Forse facciamo male. Se un idiota non riesce a imparare, non dovremmo fare nessun tentativo con lui.»
«Lascia che ci pensi io», dice Gimpy, il quale ha ormai adottato l’idea di Frank. «Credo che forse riuscirà a imparare. Ora ascolta, Charlie. Vuoi imparare qualcosa? Vuoi che ti insegni a fare i panini, come li stiamo facendo io e Frank?»
Charlie lo fissa e il sorriso gli dilegua dalla faccia. Capisce quello che vuole Gimpy e si sente con le spalle al muro. Vuole accontentare Gimpy, ma c’è qualcosa nelle parole imparare e insegnare, qualcosa da ricordare a proposito del fatto di essere punito severamente, ma non riesce a rammentare di che si tratta… soltanto una mano magra e bianca alzata, che lo colpisce per fargli imparare qualcosa di incomprensibile.
Charlie indietreggia, ma Gimpy gli afferra il braccio. «Ehi, ragazzo, calmati. Non ti faremo del male. Ehi, guardalo, sta tremando come se fosse sul punto di andare in pezzi. Sta’ a sentire, Charlie, io ho un bel portafortuna nuovo di zecca e lucente per fartici giocare.» Tende la mano e mostra una catenina d’ottone con un lucente dischetto d’ottone sul quale sta scritto LUCIDO PER METALLI BRILLANTI. Tiene la catenella per una estremità e il disco dorato e lucente ruota adagio, cogliendo la luce delle lampade fluorescenti. Il ciondolo ha uno splendore che Charlie ricorda, ma non sa perché né come.
Non fa il gesto di prenderlo. Sa che tocca un castigo se si prendono le cose appartenenti ad altri. Se qualcuno te le mette in mano, allora tutto va bene. Ma altrimenti sono guai. Quando constata che Gimpy glielo sta offrendo, annuisce e sorride di nuovo.
«Questo lo capisce», ride Frank. «Basta dargli qualcosa di lustro e splendente.» Frank, che ha lasciato fare l’esperimento a Gimpy, si sporge in avanti eccitato. «Forse, se desidera abbastanza quella bagattata e tu gli dici che l’avrà purché impari a lavorare la pasta e a fare panini… forse funzionerà.»
Mentre i fornai si accingono al compito di insegnare a Charlie, altri del negozio si riuniscono intorno a loro. Frank sgombra la tavola davanti a loro e Gimpy stacca un pezzo di pasta di dimensioni medie perché Charlie possa lavorarla. Corrono scommesse per stabilire se Charlie riuscirà o meno a imparare a fare i panini.
«Guardaci attentamente», dice Gimpy, mettendo il ciondolo accanto a sé sulla tavola, dove Charlie può vederlo. «Guarda e fa tutto quello che facciamo noi. Se impari a fare i panini avrai questo lucente portafortuna.»
Charlie si ingobbisce sul suo sgabello, osservando attentamente Gimpy che prende il coltello e taglia una fetta di pasta. Studia ogni movimento mentre Gimpy arrotola la pasta e forma un lungo rotolo, lo spezza e lo piega a circolo, interrompendosi di tanto in tanto per cospargerlo di farina.
«Ora sta a guardare me», dice Frank, e ripete gli stessi gesti di Gimpy. Charlie è confuso. Ci sono differenze. Gimpy tiene i gomiti in fuori, mentre arrotola la pasta, come le ali di un uccello, mentre le braccia di Frank rimangono aderenti ai fianchi. Gimpy tiene i pollici accostati alle altre dita mentre lavora la pasta, mentre Frank la lavora con il palmo delle mani, tenendo i pollici scostati dalle altre dita e puntati in alto.