Ma’ sta sbraitando con lui… no, se la prende con suo padre. «Non ce lo porterò. Non c’è niente di anormale in lui.»
«Rose, non ti gioverà a niente continuare a fingere che in lui tutto è normale. Non hai che da guardarlo, Rose. Ha sei anni e…»
«Non è un deficiente. È normale. Crescerà come tutti gli altri.»
Egli guarda malinconico suo figlio con il giocattolo e Charlie sorride e lo tiene in alto per mostrargli quanto è grazioso quando continua a girare e a girare.
«Metti via quel coso!» strilla Ma’, e a un tratto fa cadere il giocattolo dalla mano di Charlie ed esso piomba con un tonfo sul pavimento della cucina. «Va a giocare con i cubetti dell’alfabeto.»
Lui rimane lì in piedi, spaventato dallo scoppio d’ira improvviso. Si fa piccolo, non sapendo come si comporterà la mamma. Incomincia a tremare in tutto il corpo. Stanno litigando e le voci che si alternano esercitano dentro di lui come una pressione che stritola e destano una sensazione di panico.
«Charlie, va’ in bagno. Non osare fartela nei calzoncini.»
Vuole ubbidirle, ma sente di avere le gambe troppo molli per muoversi. Alza automaticamente le braccia per parare le botte.
«Per amore di Dio, Rose. Lascialo in pace. Lo hai atterrito. Fai sempre così e il povero bambino…»
«Allora perché non mi aiuti? Devo far tutto da sola. Ogni giorno cerco di insegnargli… di aiutarlo a raggiungere gli altri. È soltanto un po’ tardo, ecco tutto. Ma è in grado di imparare come ogni altro.»
«Stai ingannando te stessa, Rose. Non è leale né con noi stessi né con lui. Fingere che sia normale. Sforzarlo come se fosse un animale che può imparare a eseguire esercizi. Perché non lo lasci in pace?»
«Perché voglio che sia come tutti gli altri.»
Mentre discutono, la sensazione che stringe come in una morsa i visceri di Charlie diventa più forte. Sembra che le budella stiano per scoppiare ed egli sa che dovrebbe andare in bagno come gli è stato detto tante volte. Ma non ce la fa a camminare. Ha voglia di mettersi a sedere proprio lì in cucina, ma sarebbe una cosa mal fatta e lei lo schiaffeggerebbe.
Vuole il suo giocattolo. Se riprende il giocattolo e lo guarda girare e girare riuscirà a dominarsi e a non farsela nei calzoncini. Ma il giocattolo si è tutto disfatto e alcuni anelli si trovano sotto il tavolo, altri sotto l’acquaio, mentre lo spago è vicino alla stufa.
È molto strano che, sebbene io riesca a ricordare chiaramente le voci, le facce continuino ad essere offuscate e mi sia possibile vedere soltanto le sagome. Pa’ massiccio e afflosciato. Ma’, magra e svelta. Udendoli ora, mentre litigano tra loro al di là degli anni, provo l’impulso di gridare: «Guardate lui! Lì, lì al centro della cucina! Guardate Charlie. Deve andare al gabinetto!»
Charlie rimane in piedi stringendo tra le dita la camicia a scacchi rossi e tirandola, mentre loro litigano a causa sua. Le parole sono scintille irose che scoccano tra i due… un’ira e un senso di colpa che non riesce a identificare.
«A settembre tornerà alla PS 13 e ripeterà l’esame di fine trimestre.»
«Ma perché non vuoi aprire gli occhi e vedere la realtà? La maestra dice che non è in grado di studiare come gli altri.»
«Quella sgualdrina di maestra? Oh, potrei definirla anche meglio. Lascia che venga di nuovo da me e non mi limiterò a scrivere all’ispettorato scolastico. Le caverò gli occhi con le unghie. Charlie, perché ti stai contorcendo in quel modo? Va’ in bagno. Vacci per tuo conto. La strada la sai.»
«Vuole che lo accompagni. È spaventato.»
«Tu non metterti di mezzo. È capacissimo di andare in bagno da solo. Il libro dice che questo gli ispira fiducia e gli dà una sensazione di conseguimento.»
Il terrore che aspetta in quella fredda stanza piastrellata lo schiaccia. Ha paura di andarci da solo. Cerca la mano di sua madre e singhiozza: «Te… te…» ma lei gli respinge la manina con uno schiaffo.
«Basta», dice con severità. «Sei un bambino grande, ormai. Puoi andarci da solo. Ora fila subito in quel bagno e calati i calzoncini come ti ho insegnato. Se te la fai addosso ti prendi una sculacciata.»
Mi par quasi di provare la stessa sensazione, adesso, il tendersi e l’attorcigliarsi nei suoi intestini, mentre loro due aspettano di vedere che cosa farà. Il suo piagnucolio diventa un molle pianto mentre, tutto a un tratto, non riesce più a dominarsi, e singhiozza e si copre la faccia con le mani, facendosela addosso.
È soffice e calda e lui sente confondersi il sollievo e la paura. Appartiene a lui, ma lei gliela porterà via, come fa sempre. Gliela porterà via e la terrà per sé. E gli darà una sculacciata. Si avvicina, urlando che è un bambino cattivo, e Charlie corre da suo padre invocandone l’aiuto.
Improvvisamente, ricordo che lei si chiama Rose e che lui si chiama Matt. È strano aver dimenticato il nome dei propri genitori. E Norma, dove è andata a finire? Strano non aver pensato a tutti loro per molto tempo. Vorrei poter vedere adesso la faccia di Matt, sapere che cosa pensava in quel momento. Ricordo soltanto che quando ella incominciò a sculacciarmi, Matt Gordon girò sui tacchi e uscì di casa.
Vorrei poter vedere più chiaramente i loro volti.
11° RAPPORTO SUI PROGRESSI
1 maggio Perché non mi ero mai accorto quanto è bella Alice Kinnian? Ha occhi castani dolci come quelli di una colomba e soffici capelli castani che le scendono fino alla fossetta sotto la nuca. Quando sorride, le sue labbra piene sembrano fare il broncio.
Siamo andati al cinema e poi a cena. Non ho visto un gran che del primo film perché ero troppo eccitato dal fatto che ella mi sedeva accanto. Per due volte il suo braccio nudo ha toccato il mio sul bracciolo della poltrona, e entrambe le volte il timore che ella potesse irritarsi mi ha indotto a scostarmi. Riuscivo a pensare soltanto alla sua pelle morbida a pochi centimetri di distanza. Poi ho visto, due file più avanti. un giovanotto con il braccio intorno alle spalle della sua ragazza, e ho desiderato mettere il braccio intorno alle spalle di Miss Kinnian. Terrificante. Ma se lo avessi fatto adagio… dapprima poggiando il braccio sulla spalliera… e poi spostandolo… centimetro per centimetro… fino a portarlo contro le spalle e la nuca di lei… come per caso…
Non ne ho avuto il coraggio.
Il massimo che abbia saputo fare è consistito nel poggiare il gomito sulla spalliera della sua poltrona, ma una volta arrivato lì ho dovuto cambiar posizione per asciugarmi il sudore dalla faccia e dal collo.
A un certo momento, la gamba di lei ha casualmente sfiorato la mia.
È diventato un tal cimento, così penoso, che mi sono imposto di pensare ad altro. Il primo film era stato un film di guerra, e ne avevo seguito soltanto la fine, quando il soldato torna in Europa per sposare la donna che gli aveva salvato la vita. Il secondo film mi ha interessato. Un film psicologico su un uomo e una donna apparentemente innamorati, ma che in realtà si distruggono a vicenda. Tutto lascia credere che l’uomo stia per uccidere sua moglie, ma all’ultimo momento, una frase che lei grida durante un incubo gli ricorda qualcosa che gli accadde nella fanciullezza. Il ricordo improvviso gli dimostra che il suo odio è diretto in realtà contro una governante depravata la quale lo aveva atterrito con storie paurose lasciando una pecca nella sua personalità. Entusiasmato nel rendersene conto, egli lancia un grido di gioia per cui sua moglie si sveglia. La prende tra le braccia e si intuisce che tutte le sue difficoltà sono state risolte. Era sciocco e insulso e io devo aver lasciato intravedere la mia ira perché Alice ha voluto sapere che cosa avessi. «È una menzogna», ho spiegato mentre uscivamo nel vestibolo. «Le cose non vanno in questo modo.»