«Charlie, sei meraviglioso.»
Le ho preso la mano e l’ho trattenuta. «No, è lei ad essere meravigliosa. Mi ha toccato gli occhi e mi ha fatto vedere.»
Alice è arrossita e ha tirato indietro la mano.
«L’ultima volta che venimmo qui», ho detto, «le dissi che mi piaceva. Avrei dovuto avere fiducia in me stesso e dirle che l’amavo».
«No, Charlie. Non ancora.»
«Non ancora?» ho gridato. «È quello che disse l’ultima volta. Perché non ancora?»
«Ssst… Aspetta per qualche tempo, Charlie. Termina gli studi. Vedi dove ti condurranno. Stai cambiando troppo rapidamente.»
«Che cosa c’entra questo? I miei sentimenti per lei non cambieranno perché sto diventando più intelligente. L’amerò anzi sempre di più.»
«Ma stai cambiando anche emotivamente. Sembra strano, ma io sono la prima donna della quale tu sia realmente conscio… in questo modo. Fino ad ora sono stata la tua maestra… una persona alla quale ti rivolgevi per avere aiuto e consiglio. È logico da parte tua pensare di essere innamorato di me. Frequenta altre donne. Concediti più tempo.»
«Lei sta dicendo insomma che gli adolescenti si innamorano sempre delle loro insegnanti e che emotivamente io sono ancora appena un ragazzo.»
«Stai travisando le mie parole. No, non penso a te come a un ragazzo.»
«Mi crede emotivamente ritardato, allora.»
«No.»
«Allora perché?»
«Charlie, non insistere. Non lo so. Già ti sei portato al di là delle mie capacità intellettuali. Tra pochi mesi o anche soltanto tra poche settimane sarai una persona diversa. Quando maturerai intellettualmente potremmo non essere più in grado di comunicare. Quando maturerai emotivamente potresti anche non volermi più. Devo pensare anche a me stessa, Charlie. Aspettiamo e stiamo a vedere. Sii paziente.»
Diceva cose ragionevoli, ma io non volevo permettere a me stesso di ascoltarla. «L’altra sera…» e mi è mancata la voce, «lei non sa come desideravo quell’appuntamento. Ero fuori di me a furia di domandarmi come avrei dovuto comportarmi, che cosa avrei dovuto dire, volevo fare una buona impressione e mi atterriva la possibilità di dire qualcosa che l’avrebbe fatta arrabbiare.»
«Non mi hai fatta arrabbiare. Mi hai lusingata.»
«Allora quando posso rivederla?»
«Non ho alcun diritto di farti innamorare.»
«Ma sono innamorato!» ho urlato, e poi, vedendo la gente voltarsi a guardare, ho abbassato la voce finché non è diventata tremula d’ira. «Sono una creatura umana… un uomo… e non posso vivere soltanto con libri e nastri magnetici e labirinti elettronici. Lei dice: ’Frequenta altre donne’. Come posso se non conosco nessun’altra donna? Qualcosa dentro mi sta incendiando e io so soltanto che questa cosa mi fa pensare a lei. Sono a metà d’una pagina e vedo su di essa il suo viso… non offuscato come quelli del mio passato, ma limpido e vivo. Tocco la pagina e il suo viso scompare e a me vien voglia di lacerare in due il libro e di gettarlo via.»
«Per piacere, Charlie…»
«Mi permetta di vederla di nuovo.»
«Domani al laboratorio.»
«Sa bene che non intendo questo. Lontano dal laboratorio. Lontano dall’università. Noi due soli.»
Capivo che avrebbe voluto dire sì. Era stupita dalla mia insistenza. E io ero stupito di me stesso. Sapevo soltanto che non potevo smettere di insistere con lei. Eppure il terrore mi afferrava alla gola mentre la supplicavo. Avevo i palmi umidicci. Temevo che dicesse no o temevo che dicesse sì?
Se non avesse spezzato la tensione rispondendomi, credo che sarei svenuto.
«Sta bene, Charlie. Lontano dal laboratorio e dall’università, ma non soli. Non credo che dovremmo restare soli insieme.»
«Ovunque vorrà», ho balbettato. «Purché possa trovarmi con lei e non pensare ai test… alle statistiche… alle domande… alle risposte…»
Alice si è accigliata per un momento «Benissimo. Organizzano concerti primaverili gratuiti al Central Park. La settimana prossima potrai accompagnarmi a uno dei concerti.»
Quando siamo arrivati alla porta di casa sua si è voltata rapidamente e mi ha baciato la gota. «Buona notte. Charlie. Sono contenta che tu m’abbia telefonato. Ci vediamo al laboratorio.» Ha chiuso la porta e io sono rimasto davanti alla casa e ho contemplato la luce alla finestra del suo appartamento finché non si è spenta.
Non c’è più dubbio, ormai. Sono innamorato.
11 maggio Dopo tante riflessioni e preoccupazioni, mi sono reso conto che Alice aveva ragione. Dovevo aver fiducia nel mio intuito. Alla panetteria ho osservato Gimpy più attentamente. Per tre volte, oggi, l’ho veduto praticare prezzi inferiori ai clienti e intascare la sua parte della differenza mentre veniva pagato. Si comporta così soltanto con certi clienti abituali, e mi è accaduto di pensare che questi individui sono colpevoli quanto lui. Senza il loro assenso la cosa non potrebbe mai accadere. Perché Gimpy dovrebbe essere il capro espiatorio?
Ho deciso allora di arrivare a un compromesso. Sarebbe potuta non essere la decisione perfetta, ma era una decisione mia e sembrava essere la soluzione migliore, tenuto conto delle circostanze. Avrei detto a Gimpy quel che sapevo, invitandolo a smetterla.
L’ho trovato solo nel retro, vicino al gabinetto, e quando mi sono avvicinato lui ha fatto per allontanarsi, trasalendo.
«Devo parlarti di una cosa importante», ho detto. «Voglio il tuo consiglio per un amico nei guai. Ha scoperto che uno dei suoi colleghi di lavoro sta frodando il principale e non sa come regolarsi al riguardo. L’idea di fare la spia e di mettere nei pasticci il collega non gli va a genio, ma non sopporta neppure che il suo principale, il quale è sempre stato buono con entrambi, venga derubato.»
Gimpy mi ha fissato negli occhi. «Che cosa si propone di fare questo tuo amico?»
«Questo è il guaio. Non vuole far niente. Pensa che se i furti cessassero non ci si guadagnerebbe nulla facendo qualcosa. Dimenticherebbe tutto.»
«Il tuo amico dovrebbe badare agli affari suoi», ha detto Gimpy spostando il piede zoppo. «Dovrebbe tenere gli occhi chiusi dinanzi a cose del genere e capire quali sono i suoi amici. Un principale è un principale, e i dipendenti devono restare uniti.»
«Il mio amico non la pensa così.»
«Non è affar suo.»
«Pensa che, sapendolo, è in parte responsabile. Pertanto ha deciso che, se la cosa cesserà, non avrà altro da dire. Altrimenti spiffererà tutto. Volevo conoscere il tuo parere. Credi che, tenuto conto delle circostanze, i furti cesseranno?»
Doveva compiere uno sforzo per nascondere l’ira. Avrebbe voluto picchiarmi, ma si limitava a stringere i pugni.
«Di’ al tuo amico che quel tale sembra di non avere altra alternativa.»
«Magnifico», ho detto. «Questo renderà il mio amico molto felice.»
Gimpy si è incamminato, poi si è fermato e si è voltato a guardarmi. «Il tuo amico… non potrebbe darsi che volesse intascare una parte? È questa la ragione per cui si è fatto avanti?»
«No, vuole soltanto che questa storia finisca.»
Mi fissava con ira. «Sai una cosa? Ti pentirai di aver ficcanasato. Io ti ho sempre difeso. Avrei dovuto farmi visitare il cervello.» Poi si è allontanato zoppicando.
Forse avrei dovuto dire tutto a Donner e far licenziare Gimpy… non lo so. Questa soluzione aveva i suoi vantaggi. Ormai è fatta. Ma quanta gente c’è che, come Gimpy, si serve degli altri in questo modo?
15 maggio I miei studi stanno procedendo bene… La biblioteca dell’università è ormai la mia seconda casa. Hanno dovuto assegnarmi una stanza privata perché mi basta un secondo per assimilare il contenuto di una pagina e gli studenti incuriositi invariabilmente si riunivano intorno a me mentre sfogliavo i volumi.