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Quanto più parlavo, tanto più Alice sembrava turbata. «Che cosa posso fare per aiutarti, Charlie?»

«Non lo so. Sono come un animale che è stato chiuso fuori della sua gabbia bella e sicura.»

Alice è venuta a sedermi accanto sul divano. «Ti stanno facendo progredire troppo rapidamente. Sei confuso. Vuoi essere un adulto, ma dentro di te c’è ancora un bimbetto. Solo e spaventato.» Mi ha appoggiato il capo sulla spalla cercando di consolarmi. e mentre mi accarezzava i capelli mi sono reso conto che aveva bisogno di me come io di lei.

«Charlie», ha bisbigliato dopo qualche momento, «qualsiasi cosa tu voglia… non aver paura di me…»

Una volta, durante una consegna per conto della panetteria, Charlie era quasi svenuto quando una donna matura, appena uscita dal bagno, si era divertita ad aprirsi la vestaglia mostrandoglisi nuda. Aveva mai veduto una donna senza niente indosso? Sapeva come si fa all’amore? Il suo terrore, i suoi gemiti dovettero spaventarla, poiché si riallacciò la vestaglia e gli diede un quarto di dollaro perché dimenticasse quel ch’era accaduto. Aveva voluto soltanto metterlo alla prova, gli disse, per vedere se era un bravo ragazzo.

Lui le disse che cercava di essere buono e non guardava le donne, perché sua madre lo aveva sempre picchiato quando gli succedeva quella cosa nei calzoni…

A questo punto vide con chiarezza l’immagine della madre di Charlie che strillava con il ragazzo, stringendo in pugno una cinghia di cuoio, e di suo padre che tentava di trattenerla. «Basta, Rose! Lo ammazzerai! Lascialo stare!» Sua madre si getta in avanti per frustarlo, appena fuor di portata per cui la cinghia gli sibila accanto alla spalla mentre lui si contorce e si sottrae ad essa sul pavimento.

«Ma guardalo!» sbraita Rose. «Non riesce a imparare a leggere e a scrivere, ma la sa lunga abbastanza per guardare in quel modo una ragazza. Certe porcherie gliele tolgo di mente a furia di botte.»

«Non può farci niente se ha un’erezione. È normale. Non ha fatto nulla.»

«Non deve pensare in quel modo alle ragazze. Un’amica di sua sorella viene in casa e lui si mette in testa queste idee! Gli darò una lezione che non dimenticherà più. Mi senti? Se tocchi una ragazza ti chiudo in gabbia come una bestia per il resto dei tuoi giorni. Mi hai sentito?…»

La sento ancora. Ma forse ero stato liberato. Forse la paura e la nausea non erano più un mare in cui affogare ma soltanto una pozza d’acqua che rispecchiava il passato insieme al presente. Ero libero?

Se avessi potuto prendere Alice in tempo, senza pensarci, prima che la cosa mi schiacciasse, forse non sarei stato afferrato dal panico. Se soltanto avessi potuto svuotarmi la mente. Sono riuscito a dire con voce soffocata: «Tu… fallo tu! Stringimi!» E prima che potessi rendermi conto di quel che accadeva lei mi stava baciando, mi stringeva contro di sé come nessuno mi aveva mai tenuto tra le braccia. Ma nel momento in cui sarei dovuto arrivare al culmine dell’intimità la cosa è ricominciata: il ronzio, il gelo e la nausea. Mi sono scostato da lei.

Ha cercato di consolarmi, di dirmi che non aveva importanza, che non avevo alcun motivo di rimproverarmi. Ma vergognoso e non più capace di dominare la mia angoscia, sono scoppiato in singhiozzi. Lì, tra le sue braccia, ho pianto fino ad addormentarmi e ho sognato il cortigiano e la fanciulla dalle gote rosee. Ma nel mio sogno era la fanciulla a impugnare la spada.

12° RAPPORTO SUI PROGRESSI

5 giugno Nemur è turbato perché in due settimane non ho consegnato più alcun rapporto sui progressi (e ha ragione, in quanto la Fondazione Welberg ha cominciato a corrispondermi uno stipendio, in modo ch’io non debba cercare un lavoro). Manca una settimana appena al Congresso internazionale di psicologia, a Chicago. Nemur desidera che il suo rapporto preliminare sia completo il più possibile, in quanto Algernon e io. siamo le prime prove ch’egli può addurre.

I nostri rapporti stanno diventando sempre più tesi. Mi irritano gli incessanti riferimenti di Nemur a me come a un esemplare di laboratorio; egli mi dà l’impressione ch’io non sia stato in realtà, prima dell’esperimento, un essere umano.

Ho detto a Strauss ch’ero troppo impegnato nel pensare, nel leggere e nello scavare in me stesso, tentando di capire chi sono e che cosa sono, e che scrivere è un processo così lento da spazientirmi quando devo esporre le mie idee. Ho seguito il suo suggerimento di imparare a scrivere a macchina, e ora che riesco a battere quasi settantacinque battute al minuto mi è più facile trascrivere tutto sulla carta.

Strauss ha accennato di nuovo alla necessità ch’io parli e scriva con semplicità e immediatezza, per farmi capire alla gente. Mi ricorda che il linguaggio è talora un ostacolo, anziché un sentiero. È un’ironia il fatto ch’io sia venuto a trovarmi dall’altro lato della barricata intellettuale.

Mi trovo di quando in quando con Alice, ma non parliamo di quel ch’è accaduto. I nostri rapporti rimangono platonici. Tuttavia per tre notti, dopo che me n’ero andato dalla panetteria, ci sono stati gli incubi. Stento a credere che sia accaduto due settimane fa.

La notte sono inseguito per le vie deserte da figure spettrali. Per quanto seguiti a correre alla panetteria, la porta è chiusa a chiave e le persone lì dentro non si voltano neppure a guardarmi. Dietro la vetrina, la sposa e lo sposo sulla torta nuziale mi additano e ridono (l’atmosfera diventa satura di risate finché io non reggo più) e i due cupidi agitano le loro frecce fiammeggianti. Grido. Picchio contro la porta ma non si ode alcun suono. Vedo Charlie fissarmi dall’interno. È soltanto un riflesso? Cose mi s’avvinghiano alle gambe e mi trascinano lontano dalla panetteria, nelle ombre del vicolo, e proprio mentre cominciano a colarmi addosso dappertutto mi sveglio.

Altre volte la vetrina della panetteria si apre sul passato e guardando attraverso ad essa vedo altre cose e altre persone.

È stupefacente constatare come vada sviluppandosi la mia capacità di ricordare. Non posso ancora dominarla del tutto, ma talora, quando sono assorto nella lettura o nella soluzione di un problema, provo una sensazione di intensa chiarezza.

So ch’è una sorta di segnale d’avvertimento del subcosciente, e ora, invece di aspettare che il ricordo torni a me, chiudo gli occhi e mi protendo verso di esso. In ultimo riuscirò a dominare completamente questa capacità di rievocazioni, a esplorare non soltanto la somma delle mie trascorse esperienze ma anche tutte le mie facoltà mentali alle quali non ho ancora attinto. Anche adesso, mentre ci penso, sento il silenzio tagliente. Vedo la vetrina della panetteria… mi sporgo e la tocco… gelida e vibrante, e poi il cristallo diventa caldo… ancora più caldo… mi scotta le dita. La vetrina che rispecchia la mia immagine diviene luminosa e il cristallo si tramuta in uno specchio. Vedo il piccolo Charlie Gordon, ha quattordici o quindici anni, contemplarmi attraverso la finestra di casa sua, ed è doppiamente strano constatare quanto era diverso…

Ha aspettato che sua sorella tornasse da scuola, e quando la vede voltare all’angolo in Marks Street, saluta con la mano e la chiama e corre fuori sulla veranda per andarle incontro.

Norma agita un foglio. «Ho preso dieci all’esame di storia. Ho saputo rispondere a tutte le domande. La signora Baffin ha detto ch’era il compito migliore di tutta la classe.»

È una graziosa ragazza con i capelli castano chiaro intrecciati con cura e avvolti intorno al capo come una corona, e mentre alza gli occhi sul fratello maggiore il sorriso si tramuta in un cipiglio ed ella se la svigna lasciandoselo alle spalle nel correre in casa su per gli scalini.

Lui la segue sorridendo.

La mamma e il babbo sono in cucina e Charlie, traboccante d’entusiasmo per la buona notizia datagli da Norma, l’annuncia prima che possa farlo lei.