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Ha fatto per entrare, poi si è voltata a guardarmi e con la voce che le tremava ha detto: «Sarò qui quando tornerai. Sono soltanto turbata, ecco tutto, e voglio che abbiamo entrambi la possibilità di riflettere sulla situazione mentre saremo lontani».

Per la prima volta in molte settimane non mi ha invitato a entrare.

Ho fissato la porta chiusa sentendo l’ira salire in me. Volevo fare una scenata, picchiare i pugni contro la porta, abbatterla. Volevo che la mia ira consumasse l’edificio.

Ma nell’allontanarmi mi sono sentito ribollire dentro, poi mi ha pervaso un gran gelo e infine è sopraggiunto il sollievo. Camminavo così in fretta che mi sembrava di volare lungo le strade, e sulle gote sentivo, nella notte estiva, una brezza fresca. Ero libero a un tratto.

Ora capisco che i miei sentimenti per Alice si erano spostati all’indietro contro la corrente della mia cultura, dall’adorazione all’amore, alla tenerezza, a un senso di gratitudine e di responsabilità. Quei sentimenti confusi per lei mi avevano trattenuto, e io m’ero avvinghiato ad Alice timoroso d’essere costretto ad andarmene per mio conto, alla deriva.

Ma con la libertà sopraggiungeva la tristezza. Volevo essere innamorato di lei. Volevo sormontare le mie paure emotive e sessuali, sposarla, avere figli, sistemarmi.

Ora è impossibile. Sono lontano da Alice con un quoziente d’intelligenza di 185 come lo ero con un quoziente di 70. E questa volta lo sappiamo entrambi.

8 giugno Che cosa mi induce a uscire di casa e a vagabondare per la città? Mi aggiro solo per le vie… non è la passeggiata distensiva d’una notte d’estate ma la tesa fretta di arrivare… dove? Lungo vicoli, sbirciando nei portoni, scrutando attraverso finestre con le veneziane abbassate a mezzo, desideroso di parlare con qualcuno e al contempo timoroso di incontrare sconosciuti. Su per una strada e giù per un’altra, attraverso il labirinto senza fine, lanciandomi contro la gabbia di neon della città. Cercando… che cosa?

Ho incontrato una donna al Central Park. Sedeva su una panchina accanto al lago, avvolta in un cappotto nonostante il caldo. Ha sorriso e mi ha fatto cenno di sederle accanto. Abbiamo contemplato il luminoso profilo della città sul Central Park South, il favo di cellette illuminate contro le tenebre, e io ho desiderato poter assorbire tutto ciò.

Sì, ero di New York, le ho detto. No, non ero mai stato a Newport News, in Virginia. Lei era di quelle parti, e laggiù aveva sposato il marinaio che ora sta navigando e che non rivede da due anni e mezzo.

Si è voltata e ha appallottolato un fazzoletto, servendosene di quando in quando per asciugarsi il sudore che le imperlava la fronte. Anche nella fioca luce riflessa dal lago ho notato ch’era molto truccata, ma sembrava attraente con i lisci capelli neri sciolti sulle spalle… a parte il fatto che aveva il viso tumido e gonfio, come se si fosse appena destata da un lungo sonno.

Voleva parlare di se stessa e io volevo ascoltare.

Suo padre le aveva dato una bella casa, un’istruzione, tutto ciò che un ricco armatore può dare a una figlia unica… ma non l’aveva perdonata. Non le avrebbe mai perdonato la fuga con il marinaio.

Mi ha preso la mano, parlando, e mi ha appoggiato il capo sulla spalla. «La notte in cui Gary e io ci sposammo», ha bisbigliato, «ero una vergine atterrita. E lui impazzì, né più né meno. Prima dovette schiaffeggiarmi e percuotermi. E poi mi prese senza una sola carezza. Quella fu l’ultima volta che andammo a letto insieme; non gli permisi mai più di toccarmi».

Probabilmente avrebbe potuto capire dal tremito della mia mano ch’ero esterrefatto. Si trattava di una confessione troppo violenta e intima per me. Sentendo la mia mano muoversi l’ha stretta più forte, come se dovesse finire il racconto prima di potermi lasciare andar via. Era importante per lei, e io sono rimasto zitto e immobile, come si rimane immobili dinanzi a un uccello che viene a beccarci il cibo nel palmo della mano.

«Non che non mi piacciano gli uomini», mi ha assicurato con franchezza spalancando gli occhi. «Sono stata con altri. Con lui no, ma con molti altri sì. Quasi tutti gli uomini sono dolci e teneri con le donne. Fanno all’amore adagio, e prima ti accarezzano e ti baciano.» Mi ha guardato significativamente e ha fatto passare il palmo aperto avanti e indietro sul mio.

Era quello di cui avevo sentito parlare, di cui avevo letto, di cui avevo sognato. Non sapevo come si chiamasse, né lei mi aveva chiesto il mio nome. Voleva soltanto che la conducessi in qualche posto dove potessimo essere soli. E io mi sono domandato che cosa ne avrebbe pensato Alice.

L’ho accarezzata goffamente e l’ho baciata in modo ancor più esitante, tanto ch’ella ha alzato gli occhi su di me.

«Che cosa c’è?» ha bisbigliato. «A che cosa stai pensando?»

«A te.»

«Hai un posto in cui possiamo andare?»

Ogni passo avanti era cauto. In quale punto il terreno avrebbe ceduto facendomi precipitare nell’ansia? Qualcosa continuava a spronarmi e a farmi procedere per tastare il terreno.

«Se non hai un posto, l’Hôtel Mansion, nella Cinquantatreesima, non costa troppo. E non stanno a seccarti per il bagaglio, se paghi in anticipo.»

«Ho una stanza…»

Mi ha guardato con nuovo rispetto. «Ah, be’, splendido.»

Ancora niente. E questo di per sé era curioso. Fino a qual punto avrei potuto spingermi senza essere sopraffatto dai sintomi del panico? Quando saremmo stati soli nella stanza? Quando si fosse spogliata? Quando avrei veduto il suo corpo? Quando avremmo giaciuto insieme?

A un tratto divenne importante sapere se sarei potuto essere come gli altri uomini, se avrei potuto chiedere a una donna di dividere la sua vita con me. Possedere intelligenza e cultura non bastava. Volevo anche questo. Il senso di sollievo e di distensione diventava irresistibile ora, insieme alla consapevolezza ch’era possibile. L’eccitazione che avevo provato baciandola tornava a dilagare in me, e ho avuto la certezza che sarei potuto essere normale con lei. Era diversa da Alice. Era il tipo di donna che ha vissuto.

Poi la sua voce è mutata, divenendo incerta. «Prima che andiamo… Soltanto una cosa…» Si è alzata e ha fatto un passo verso di me nella doccia di luce del lampione, aprendosi il cappotto, e io ho potuto vedere le forme del suo corpo, come non le avevo immaginate per tutto il tempo in cui eravamo rimasti seduti l’uno accanto all’altra nell’ombra. «Sono soltanto al quinto mese», ha detto. «Non fa alcuna differenza. Non ti dispiace, vero?»

Stando lì in piedi con il cappotto aperto, si è sovrapposta come una doppia esposizione all’immagine della donna matura che, appena uscita dalla vasca, teneva aperta la vestaglia affinché Charlie vedesse. E io ho aspettato, come un bestemmiatore aspetta d’essere fulminato. Ho distolto lo sguardo. Era l’ultima cosa che mi sarei aspettato, ma il cappotto strettamente avvolto intorno alla sua persona in una notte così calda avrebbe dovuto avvertirmi che c’era qualcosa di insolito.

«Non è di mio marito», mi ha assicurato lei. «Non era una menzogna quel che ti ho detto prima. Non lo vedo da anni. È stato un commesso viaggiatore che ho conosciuto otto mesi fa. Vivevo con lui. Ora non voglio più saperne, ma terrò il bambino. Dobbiamo soltanto essere prudenti… non violenti o qualcosa di simile. Ma per il resto non devi preoccuparti.»

La voce le si è abbassata e si è spenta quando ella si è resa conto della mia ira. «Ma tutto questo è sordido!» ho urlato. «Dovresti vergognarti!»

Si è scostata, avvolgendo rapidamente il cappotto intorno a sé per proteggere quello che nascondeva.

Mentre faceva questo gesto protettivo, ho veduto la seconda doppia immagine: mia madre, appesantita da mia sorella, ai tempi in cui mi teneva meno tra le braccia, mi riscaldava meno con la sua voce e le sue carezze, mi proteggeva meno da chiunque osasse dire ch’io non ero normale.