Egli commette lo stesso sbaglio degli altri quando guardano una persona debole di mente e ridono perché non capiscono che sono in gioco sentimenti umani. Non si rende conto ch’ero una creatura umana anche prima di venire qui.
Sto imparando a dominare il mio risentimento, a non essere così impaziente, ad aspettare le cose. Sto invecchiando mentalmente, credo. Ogni giorno imparo sempre di più sul mio conto, e i ricordi, incominciati come increspature, ora mi sommergono come alle ondate che si frangono…
11 giugno La confusione è cominciata non appena siamo arrivati all’Hôtel Chalmers. a Chicago. e abbiamo saputo che in seguito a un errore le nostre camere non sarebbero state libere fino alla sera dopo e fino a quel momento avremmo dovuto alloggiare nel vicino Hotel Independence. Nemur era furente. Ha considerato la cosa un affronto personale e ha litigato con tutti quelli dell’albergo, dal fattorino al direttore.
Siamo rimasti ad aspettare nel vestibolo, mentre ogni dipendente dell’Hôtel Chalmers andava in cerca del suo diretto superiore per vedere che cosa si potesse fare.
Nel bel mezzo della gran confusione, bagagli che arrivavano e si ammonticchiavano dappertutto nel vestibolo, facchini che correvano avanti e indietro con i loro piccoli carrelli, partecipanti al congresso che non si rivedevano da un anno e si riconoscevano e si salutavano, siamo rimasti in piedi sentendoci sempre più imbarazzati, mentre Nemur cercava di attaccar bottone con i funzionari dell’Associazione Psicologica Intemazionale.
Infine, quando è apparso chiaro che non c’era niente da fare, si è rassegnato alla necessità di trascorrere la nostra prima notte a Chicago all’Hotel Independence.
È risultato poi che quasi tutti gli psicologi più giovani alloggiavano proprio all’Independence e che lì si svolgevano i grandi ricevimenti serali. Lì molti avevano sentito parlare dell’esperimento e quasi tutti sapevano chi io fossi. Ovunque andassimo, qualcuno si avvicinava e domandava il mio parere su tutto, dalle conseguenze della nuova tassa alle più recenti scoperte archeologiche in Finlandia. Era come una sfida, e la mia gran riserva di cognizioni generali ha fatto sì che mi fosse facile parlare quasi di tutto. Ma dopo qualche tempo mi sono accorto che Nemur era irritato per il fatto che l’attenzione si accentrava su di me.
Quando una simpatica giovane dottoressa dell’università Falmouth mi ha domandato se fossi in grado di spiegare alcune cause del mio ritardato sviluppo mentale, le ho detto che il solo a poter rispondere alla sua domanda era il professor Nemur.
Era l’occasione ch’egli aveva aspettato per dar prova della sua competenza, e per la prima volta da quando ci conosciamo mi ha messo una mano sulla spalla. «Non sappiamo esattamente che cosa sia a causare il tipo di fenilketonuria del quale soffriva Charlie da bambino… qualche insolita situazione biochimica o genetica, forse dovuta a radiazioni ionizzanti o a radiazioni naturali o anche a un attacco virale al feto… in ogni modo, essa ha dato luogo a un gene anormale, il quale produce, possiamo dire, un enzima ’dissenziente’ che determina anormali reazioni biochimiche. E, naturalmente, gli amminoacidi così prodotti contrastano gli enzimi normali causando lesioni cerebrali.»
La ragazza si è accigliata. Non si era aspettata una conferenza, ma Nemur, ormai salito in cattedra, ha continuato con lo stesso slancio. «Io la definisco inibizione emulativa degli enzimi. Mi permetta di farle un esempio per spiegare come agisce. Pensi all’enzima prodotto dal gene anormale come ad una chiave falsa che entra nella serratura chimica del sistema nervoso centrale… ma non gira. Essendovi questa chiave falsa, la vera chiave, il giusto enzima, non può penetrare nella serratura. È bloccato. Conseguenza? Distruzione irreversibile di proteine nel tessuto cerebrale.»
«Ma se è irreversibile», si è intromesso uno degli altri psicologi unitisi al gruppetto di ascoltatori, «come è possibile che il signor Gordon, qui, non sia più ritardato?»
«Ah!» ha intonato Nemur. «Io ho detto ch’era irreversibile la distruzione del tessuto, non il processo stesso. Molti ricercatori sono riusciti a invertire il processo iniettando sostanze chimiche che si combinano con gli enzimi anormali, mutando la forma molecolare della chiave intrusa, per così dire. Ciò è essenziale anche nella nostra tecnica. Ma prima noi asportiamo le parti danneggiate del cervello e lasciamo che il tessuto cerebrale trapiantato, chimicamente vivificato, produca proteine cerebrali a un ritmo supernormale…»
«Un momento solo, professor Nemur», ho detto, interrompendolo al culmine della sua arringa. «Che cosa ne pensa del lavoro di Rahajamati in questo campo?»
Egli mi ha fissato inespressivo. «Di chi?»
«Rahajamati. Il suo articolo attacca la teoria di Tanida sulla fusione degli enzimi… il concetto secondo il quale si muterebbe la struttura chimica dell’enzima bloccando lo scalino sul sentiero metabolico.»
Nemur si è accigliato. «Dove è stato tradotto questo articolo?»
«Non è stato ancora tradotto. L’ho letto appena pochi piorni fa nel Giornale indù di psicopatologia.»
Egli ha guardato i suoi ascoltatori e ha cercato di non attribuire importanza alla cosa. «Be’, non credo che abbiamo motivo di preoccuparcene. I risultati da noi ottenuti parlano da soli.»
«Ma lo stesso Tanida ha proposto per primo la teoria del blocco dell’enzima dissenziente mediante la combinazione, e ora fa rilevare che…»
«Oh, andiamo, Charlie. Il solo proporre per primi una teoria non significa che si debba avere l’ultima parola per quanto concerne i suoi sviluppi sperimentali. Tutti qui riconosceranno, io credo, che le ricerche compiute negli Stati Uniti e in Inghilterra eclissano senz’altro il lavoro svolto in India e in Giappone. Disponiamo ancora dei migliori laboratori e della migliore attrezzatura del mondo.»
«Ma questo non risponde alla tesi di Rahajamati, secondo cui…»
«Non è né il momento né il luogo per approfondire la questione. Sono certo che tutti questi aspetti verranno adeguatamente illuminati nella seduta di domani.» Si è voltato a parlare con qualcuno di un vecchio e comune amico dell’università, tagliandomi fuori completamente e lasciandomi allibito.
Sono riuscito ad appartarmi con Strauss e ho cominciato a interrogarlo. «Senta un po’: lei ha seguitato a dirmi che sono ipersensibile nei confronti di Nemur. Ma che cosa ho detto adesso per turbarlo tanto?»
«Gli stai facendo provare una sensazione di inferiorità e non può sopportarlo.»
«Per amor di Dio. parlo seriamente. Mi dica la verità.»
«Charlie, tu devi smetterla di pensare che tutti stiano ridendo di te. Nemur non ha potuto parlare di quell’articolo perché non lo ha letto. Non conosce l’indù.»
«Non conosce l’indù e il giapponese? Oh, andiamo!»
«Charlie, non tutti hanno la tua facilità per le lingue.»
«Ma allora come può confutare le critiche di Rahajamati al suo metodo e la sfida lanciata da Tanida alla validità di questo genere di controllo? Deve pur conoscere queste…»
«No…» ha risposto Strauss cogitabondo. «Queste pubblicazioni devono essere recenti. Non c’è stato il tempo di farle tradurre.»
«Vuol dire che non le ha lette neanche lei?»
Si è stretto nelle spalle. «Io sono un linguista ancora peggiore di lui. Ma ho la certezza che prima della compilazione dei rapporti definitivi si cercheranno ulteriori dati in tutte le pubblicazioni mediche.»
Non sapevo che cosa dire. Sentirlo ammettere che entrambi ignoravano interi settori del loro campo specifico era terrificante. «Che lingue conosce?» gli ho domandato.
«Il francese, il tedesco, lo spagnolo, l’italiano, e quel tanto che basta di svedese per capirlo.»
«Non conosce il russo, il cinese, il portoghese?»