Выбрать главу

Dicevo a me stesso che costoro non erano stupidi individui avidi di curiosità, ma scienziati che si trovavano lì per allargare le loro conoscenze. Non avrebbero potuto fare a meno di trovare buffe quelle immagini… eppure, mentre Burt, centrando lo stato d’animo generale, faceva commenti divertenti sul film, mi sono sentito sopraffatto da una smania di malignità. Sarebbe stato ancora più divertente far fuggire Algernon dalla gabbia e vedere tutti quegli individui sparpagliarsi e strisciare qua e là carponi nel tentativo di riprendere un minuscolo genio bianco in fuga.

Ma sono riuscito a dominarmi e, quando Strauss si è alzato per parlare, l’impulso era passato.

Strauss ha esposto principalmente la teoria e le tecniche della neurochirurgia, descrivendo in particolare come gli studi pionieristici sull’individuazione dei centri di controllo ormonali gli avessero consentito di isolare e stimolare tali centri e al contempo di eliminare quella parte di corteccia cerebrale che produce la sostanza inibitrice dell’ormone. Ha spiegato la teoria del blocco dell’enzima e ha continuato descrivendo le mie condizioni fisiche prima e dopo l’intervento. Sono state distribuite e commentate fotografie (non sapevo di essere stato fotografato), e ho potuto arguire, dai cenni d’assenso e dai sorrisi, che la maggior parte dei presenti convenivano con lui che «l’espressione facciale ottusa e vacua» si era trasformata in un «aspetto sveglio e intelligente». Burt ha esaminato inoltre nei particolari gli aspetti pertinenti delle nostre sedute psicoterapiche… e in particolare i miei mutati atteggiamenti nei confronti della libera associazione.

Mi trovavo lì come parte d’una presentazione scientifica e m’ero aspettato di essere messo in mostra, ma tutti seguitavano a parlare di me come se fossi stato una sorta di oggetto creato ex novo che essi stavano presentando al mondo scientifico. Nessuno in quella sala mi considerava un individuo… un essere umano. Il costante accostamento «Algernon e Charlie» e «Charlie e Algemon», lasciava capire chiaramente che essi pensavano a entrambi come a una coppia di animali per esperimenti, inesistenti al di fuori del laboratorio. Ma, a parte la mia ira, non riuscivo a togliermi dalla mente la convinzione che v’era qualcosa di sbagliato.

Infine è toccato a Nemur parlare, per riassumere ogni cosa come direttore dell’esperimento e per essere illuminato dalle luci della ribalta come iniziatore di un tentativo originale. Era questo il momento ch’egli aveva aspettato.

Era imponente quando si è alzato sulla pedana e, mentre parlava, mi sono sorpreso ad annuire, approvando affermazioni che sapevo essere vere. Le prove, l’esperimento, l’intervento chirurgico e il mio successivo sviluppo mentale, tutto è stato descritto minuziosamente e ravvivato da citazioni tolte dai miei rapporti sui progressi. Più di una volta ho dovuto ascoltare qualcosa di intimo o di stupido letto agli ascoltatori. Grazie a Dio avevo badato bene a conservare nella mia cartella personale quasi tutti i particolari concernenti Alice e me.

Poi, a un certo punto del suo compendio, Nemur lo ha detto: «Noi che abbiamo lavorato a questo esperimento all’università Beekman siamo soddisfatti di sapere che abbiamo eliminato uno degli errori della natura e creato, con le nostre nuove tecniche, un essere umano superiore. Quando Charlie venne da noi era un reietto della società, solo in una grande metropoli, senza amici o parenti che si occupassero di lui, senza la struttura mentale necessaria per condurre un’esistenza normale. Nessun passato, nessun contatto con il presente, nessuna speranza nell’avvenire. Si potrebbe dire che Charlie Gordon non esisteva, in realtà, prima di questo esperimento…»

Non so perché mi esasperasse così intensamente il fatto che essi pensavano a me come a qualcosa di appena coniato nella loro zecca privata, ma si trattava, ne sono sicuro, di echi di quell’idea che aveva risuonato nelle latebre della mia mente dal momento in cui eravamo giunti a Chicago. Avrei voluto balzare in piedi e dimostrare a tutti quanto egli era stupido, gridargli: Sono un essere umano, un individuo… con genitori e ricordi e un passato… e lo ero prima che mi portaste sul lettino a rotelle in quella sala operatoria!

Al contempo, nel profondo della vampata d’ira, andava forgiandosi l’intuizione travolgente di ciò che mi aveva turbato quando aveva parlato Strauss e di nuovo quando Nemur aveva elaborato i suoi dati. Entrambi avevano commesso un errore… ma certo! La valutazione statistica del periodo d’attesa necessario per dimostrare la permanenza del mutamento si era basata su esperimenti precedenti nel campo dello sviluppo mentale e dell’apprendimento, sui periodi d’attesa nel caso di animali normalmente ottusi o normalmente intelligenti. Ma appariva ovvio che il periodo di attesa sarebbe dovuto essere protratto nei casi in cui l’intelligenza di un animale era stata aumentata di due o tre volte.

Le conclusioni di Nemur erano state premature. Sia per quanto concerneva Algernon, sia per quanto concerneva me stesso, sarebbe occorso più tempo per stabilire se il mutamento fosse definitivo. I professori avevano commesso uno sbaglio e nessun altro se n’era accorto. Avrei voluto balzare in piedi e dirlo a tutti, ma non riuscivo a muovermi. Come Algernon, mi trovavo dietro la rete della gabbia che avevano costruito intorno a me.

Ora vi sarebbe stato un intervallo riservato alle domande, e prima di poter andare a cena avrei dovuto esibirmi dinanzi all’illustre consesso. No. Bisognava che me ne andassi di lì.

«… In un certo senso, egli è il risultato della moderna psicologia sperimentale. In luogo di un vuoto guscio debole di mente, un fardello per la società che deve temerne il comportamento irresponsabile, abbiamo un uomo ricco di dignità e di sensibilità, pronto a occupare il suo posto come membro fattivo della società. Vorrei che tutti loro ascoltassero poche parole di Charlie Gordon…»

Accidenti a lui, non sapeva di che cosa stava parlando. A questo punto l’impulso è stato più forte di me. Ho guardato affascinato mentre la mia mano si muoveva, indipendentemente dalla mia volontà, per abbassare la chiusura della gabbia di Algernon. Mentre aprivo lo sportellino, il topo mi ha fissato, immobilizzandosi. Poi si è voltato, è sfrecciato fuori della gabbia e si è messo a correre sul lungo tavolo.

Dapprima si è confuso contro la tovaglia di damasco, una chiazza bianca sul bianco, finché una donna seduta al tavolo ha strillato rovesciando la sedia all’indietro mentre balzava in piedi. Al di là di lei caraffe d’acqua sono cadute, e poi Burt ha gridato: «Algernon è fuggito!» Algernon è saltato giù dal tavolo, sulla pedana e poi sul pavimento.

«Prendetelo! Prendetelo!» urlava Nemur, mentre il consesso, diviso nei suoi obiettivi, si tramutava in un intrico di braccia e di gambe. Alcune donne (non erano sperimentaliste?) cercavano di reggersi in piedi sulle instabili sedie pieghevoli, mentre altre, cercando di aiutare a bloccare Algernon, le facevano cadere.

«Chiudete quelle porte là dietro!» ha urlato Burt, rendendosi conto che Algernon era abbastanza intelligente per dirigersi da quella parte.

«Presto», mi sono sentito gridare. «La porta laterale!»

«È uscito dalla porta laterale», mi ha fatto eco qualcuno.

«Prendetelo! Prendetelo!» supplicava Nemur.

La massa umana si è precipitata dal grande salone da ballo nel corridoio, mentre Algernon, sgambettando sulla guida di velluto marrone, la trascinava in un’allegra caccia. Sotto tavoli Luigi XIV, intorno a palme in vaso, giù per scaloni, nel vestibolo principale, ingrossata da altre persone man mano che procedeva. Vedere tutta quella gente correre avanti e indietro nel vestibolo, inseguendo un topolino bianco più intelligente della maggior parte di coloro che gli davano la caccia, è stata la cosa più comica che mi sia accaduta da un pezzo.