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«Credo di essere cambiato in queste settimane di lontananza dal laboratorio», ho detto. «Prima non capivo come avrei potuto fare, ma stanotte, mentre vagabondavo per la città, mi si è presentata la soluzione. La grande sciocchezza è consistita nel tentar di risolvere il problema per mio conto. Ma quanto più rimango impigliato in questo groviglio di sogni e di ricordi, tanto più mi rendo conto che i problemi emotivi non possono essere risolti come i problemi intellettuali. È quello che ho scoperto di me stesso stanotte. Mi son detto che stavo vagando come un’anima perduta, e poi ho capito di essere perduto… In qualche modo, ho finito con il separarmi emotivamente da tutto e da tutti. E quel che cercavo in realtà laggiù nelle strade buie, l’ultimo posto al mondo, accidenti, in cui avrei potuto trovarlo, era un modo di tornare a essere partecipe emotivamente della gente, pur conservando intellettualmente la mia libertà. Devo crescere. Per me questo significa tutto…»

Continuavo a parlare e a parlare, riversando fuori di me ogni dubbio e ogni paura che affiorassero alla superficie. Lei era la mia cassa di risonanza e sedeva immobile e ipnotizzata. Mi sentivo ardere come se avessi avuto la febbre, finché non mi è parso che il mio corpo fosse in fiamme. Consumavo, bruciando, l’infezione alla presenza di una persona cui volevo bene, e questo faceva una differenza enorme.

Ma era troppo per Alice. Ciò ch’era cominciato come un tremito si è tramutato in lagrime. Il mio sguardo ha colto il dipinto sopra il divano, la fanciulla impaurita, dalle gote accese, e mi sono domandato che cosa provasse Alice in quel momento. Sapevo che mi si sarebbe concessa e la desideravo, ma che cosa avrebbe fatto Charlie?

Charlie forse non si sarebbe intromesso se avessi voluto fare all’amore con Fay. Probabilmente sarebbe rimasto sulla soglia a guardare. Ma non appena mi avvicinavo ad Alice si lasciava prendere dal panico. Perché consentirmi di amare Alice lo spaventava?

Ella si è messa a sedere sul divano, guardandomi, aspettando di vedere che cosa avrei fatto. E che cosa potevo fare?

Volevo prenderla tra le braccia e…

Mentre incominciavo a pensarci, l’ammonimento è giunto.

«Ti senti bene, Charlie? Sei così pallido.»

Mi sono messo sul divano accanto a lei. «Soltanto un po’ di capogiro. Passerà.» Ma sapevo che sarebbe peggiorato fino a quando Charlie avesse intuito il pericolo ch’io facessi all’amore con lei.

E poi mi è venuta l’idea. A tutta prima mi ha disgustato, ma a un tratto mi sono reso conto che il solo modo di sormontare quella paralisi consisteva nel giocarlo in astuzia. Se, per qualche motivo, Charlie temeva Alice e non Fay, allora avrei spento la luce e finto, di fare all’amore con Fay. Lui non se ne sarebbe mai accorto.

Era ingiusto, disgustoso, ma se avesse funzionato sarei riuscito a spezzare la presa soffocante di Charlie sulle mie emozioni. In seguito avrei saputo di aver amato Alice, e che non esisteva altra soluzione.

«Ora sto bene. Restiamo seduti al buio per qualche minuto», ho detto spegnendo la luce e aspettando di riavermi. Non sarebbe stato facile. Dovevo persuadere me stesso, raffigurarmi Fay, ipnotizzarmi e indurmi a credere che la donna seduta accanto a me era Fay. E anche se egli si fosse separato da me per osservarmi dal di fuori, non gli sarebbe servito a nulla perché la stanza era buia.

Aspettavo qualche indizio dei suoi sospetti… i sintomi premonitori del panico. E invece nulla. Mi sentivo vigile e calmo. L’ho allacciata con un braccio alla vita.

«Charlie, io…»

«Non parlare!» ho detto in tono aspro, e lei ha fatto un movimento come per sottrarmisi. «Ti prego», l’ho rassicurata, «non dire niente. Lasciami soltanto tenerti stretta in silenzio nell’oscurità». L’ho avvicinata a me ancor più, e nel buio delle palpebre chiuse ho evocato l’immagine di Fay… con i lunghi capelli biondi e la pelle chiara. Fay, come l’avevo veduta l’ultima volta accanto a me. Ho baciato i capelli di Fay, la gola di Fay, e in ultimo ho trovato con la bocca le labbra di Fay. Ho sentito le mani di Fay accarezzarmi i muscoli sulla schiena sulle spalle e la tensione dentro di me si è intensificata come non mi era mai accaduto per una donna. L’ho accarezzata dapprima adagio e poi con una eccitazione impaziente, crescente, che ben presto si è fatta sentire.

I capelli corti sulla nuca hanno cominciato a drizzarmisi. C’era qualcun altro nella stanza a scrutare l’oscurità, a cercar di vedere. E febbrilmente ho ripetuto molte volte il nome tra me e me. Fay! Fay! FAY! Ne ho immaginato il viso con vivida chiarezza in modo che nulla potesse frapporsi tra noi. E poi, mentre lei mi stringeva più forte, ho lanciato un grido e l’ho respinta.

«Charlie!» Non potevo vedere il viso di Alice, ma la protesta di lei ha rispecchiato il suo smarrimento.

«No, Alice! Non posso. Tu non capisci.»

Sono balzato in piedi e ho acceso la luce. Mi aspettavo quasi di vederlo lì in piedi. Ma naturalmente non c’era. Eravamo soli. Tutto esisteva soltanto nella mia immaginazione. Alice giaceva sul divano, con la blusa aperta là dove io l’avevo sbottonata, accesa in viso, con gli occhi sbarrati e colmi di incredulità. «Ti amo…» le parole mi sono uscite strozzate dalla bocca. «ma non posso farlo. È qualcosa che non posso spiegare, ma se non mi fossi fermato avrei finito con l’odiarmi per tutta la vita. Non chiedermi di spiegare, altrimenti mi odieresti anche tu. C’è di mezzo Charlie. Non so per quale motivo, non mi consente di fare all’amore con te».

Lei ha distolto lo sguardo e si è abbottonata la blusa. «Questa sera è stato diverso», ha detto. «Non ti è venuta la nausea né ti ha preso il panico o che so io. Mi volevi.»

«Sì, ti volevo, ma in realtà non stavo facendo all’amore con te. Volevo servirmi di te, in un certo senso, ma non posso spiegare. Non lo capisco io stesso. Diciamo, semplicemente, che non sono ancora pronto. E non posso simulare o frodare o fingere che tutto vada bene quando non è così. È, né più né meno, un altro vicolo cieco.»

Mi sono alzato per andarmene.

«Charlie, non fuggire di nuovo.»

«Sono stanco di fuggire. Ho del lavoro da sbrigare. Di’ loro che tornerò al laboratorio tra qualche giorno… non appena sarò riuscito a dominarmi.»

Sono uscito dall’appartamento in preda alla frenesia. Giù in istrada, di fronte al palazzo, ho esitato, non sapendo da che parte andare. Qualsiasi direzione seguissi sentivo una scossa che significava un altro errore.

Tutte le vie erano bloccate. Dio mio… qualsiasi cosa facessi, ovunque mi volgessi, tutte le porte erano chiuse per me.

Non v’era luogo in cui potessi entrare. Né una strada né una stanza né una donna.

Infine sono disceso barcollante nella sotterranea e un convoglio mi ha portato nella Quarantanovesima Strada.

Poca gente in giro, ma c’era una bionda dai lunghi capelli che mi ha ricordato Fay. Dirigendomi verso l’autobus che attraversa la città, sono passato davanti a un negozio di liquori e senza riflettere sono entrato e ho comprato un quinto di gin. Mentre aspettavo l’autobus ho aperto la bottiglia nel sacchetto, come avevo veduto fare dai vagabondi, e ho bevuto un lungo sorso. L’ho sentito bruciare fino allo stomaco, ma era piacevole. Ne ho bevuto un altro, un sorsetto appena, e quando l’autobus è arrivato ero immerso in una sensazione formidabile di formicolio. Non ho bevuto più. Non volevo ubriacarmi in quel momento.

Quando sono arrivato a casa mia ho bussato alla porta di Fay. Nessuna risposta. Ho aperto la porta e dato un’occhiata. Non era ancora tornata ma aveva lasciato tutte le luci accese. Se ne infischiava di tutto. Perché non potevo essere anch’io così?

Sono andato nel mio appartamento ad aspettare. Mi sono spogliato, ho fatto la doccia e indossato una vestaglia. Ho pregato affinché non fosse questa una delle sere in cui tornava a casa accompagnata da qualcuno.