Verso le due e mezzo del mattino l’ho udita salire gli scalini. Ho preso la bottiglia, sono uscito sulla scala antincendio e ho raggiunto la finestra di lei proprio mentre ella stava aprendo la porta di casa. Non avevo avuto l’intenzione di starmene lì rannicchiato a guardare; intendevo bussare alla finestra. Ma mentre alzavo la mano per rendere nota la mia presenza l’ho veduta togliersi le scarpe con un movimento brusco dei piedi e piroettare allegramente. Si è avvicinata allo specchio e adagio, un capo di vestiario alla volta, ha incominciato a togliersi tutto di dosso, eseguendo uno spogliarello privato. Ho bevuto un altro sorso. Ma non sono riuscito a indurmi a farle sapere che l’avevo spiata.
Sono rientrato nel mio appartamento senza accendere la luce. A tutta prima avevo pensato di invitarla a casa mia, ma tutto era eccesivamente lindo e in ordine, troppe linee rette da cancellare, e sapevo che lì non avrebbe funzionato. Così sono uscito nel corridoio e ho bussato alla porta di casa sua, dapprima piano, poi più forte.
«La porta è aperta!» ha gridato lei.
Era in sottoveste, distesa sul pavimento, con le braccia aperte e le gambe appoggiate al divano. Ha reclinato la testa all’indietro e mi ha guardato di sotto in su. «Charlie, tesoro! Perché stai in equilibrio sulla testa?»
«Lascia perdere», ho detto, togliendo la bottiglia dal sacchetto di carta. «Le linee e le scatole sono troppo diritte e mi son detto che forse ti saresti unita a me nel cancellarne alcune.»
«Quello è il liquore più efficace del mondo per riuscirci», ha detto lei. «Se ti concentri sul punto caldo che incomincia a farsi sentire alla bocca dello stomaco, tutte le linee incominciano a fondersi.»
«È appunto quello che sta accadendo.»
«Meraviglioso!» È balzata in piedi. «Anche a me! Ho ballato con troppi scocciatori, questa sera. Dimentichiamo tutto!» Ha preso un bicchiere e io gliel’ho riempito.
Mentre beveva le ho fatto scivolare un braccio intorno alla vita e le ho pizzicato la pelle della schiena nuda.
«Ehi, tu, figliolo! Uaaaa! Che cosa bolle in pentola?»
«Io. Aspettavo che tornassi a casa.»
Si è fatta indietro. «Oh, aspetta un momento, Charlie mio. Attraverso questa esperienza ci siamo già passati. Sai bene che non ti giova. Voglio dire, lo sai che mi piaci un mucchio e ti trascinerei a letto in un lampo se pensassi che c’è qualche possibilità. Ma non voglio eccitarmi tutta per niente. Non è giusto, Charlie.»
«Stanotte sarà diverso, lo giuro.» Prima che avesse potuto protestare l’avevo tra le braccia, la baciavo, l’accarezzavo, la travolgevo con tutta l’accumulata eccitazione che stava per dilaniarmi. Ho cercato di sganciarle il reggipetto ma ho tirato troppo energicamente e il gancetto si è strappato.
«Per amor di Dio, Charlie, il mio reggiseno…»
«Non preoccuparti per il reggiseno…» ho detto con voce strozzata aiutandola a toglierselo. «Te ne comprerò un altro. Ti ricompenserò delle altre volte. Farò all’amore con te per tutta la notte.»
Lei mi ha respinto. «Charlie, non ti ho mai sentito parlare così. E finiscila di guardarmi come se volessi inghiottirmi intera!» Ha strappato una blusetta da una delle poltrone e l’ha tenuta dinanzi a sé. «Ora mi fai sentire spogliata.»
«Voglio fare all’amore con te. Stanotte posso riuscirci. Lo so… lo sento. Non respingermi, Fay.»
«Prendi», ha bisbigliato, «bevi ancora un po’».
Ho versato gin per me e per lei, e mentre lo sorseggiavo le ho coperto la spalla e il collo di baci. Ha incominciato ad ansimare, man mano che la mia eccitazione le si comunicava.
«Dio, Charlie, se mi fai cominciare e mi deludi di nuovo, non so che cosa combinerò. Anch’io sono umana, sai.»
L’ho distesa accanto a me sul divano, sopra il mucchio dei suoi vestiti e della sua biancheria.
«Non qui sul divano, Charlie», ha detto, sforzandosi di alzarsi. «Andiamo a letto.»
«Qui», ho insistito, strappandole di dosso la blusa.
Ha abbassato gli occhi su di me, ha posato il bicchiere sul pavimento e si è tolta le mutandine. È rimasta in piedi davanti a me, nuda. «Spengo la luce», ha bisbigliato.
«No», ho detto, tirandola di nuovo giù sul divano. «Voglio guardarti.»
Mi ha baciato a lungo tenendomi stretto tra le braccia. «Non deludermi, però, questa volta, Charlie. Sarà meglio di no.»
Il suo corpo si è mosso adagio, protendendosi verso di me, e io ho capito che questa volta nulla si sarebbe intromesso. Sapevo che cosa fare e come farlo. Lei si è lasciata sfuggire un ansito, ha sospirato, ha invocato il mio nome.
Per un momento ho avuto la sensazione raggelante ch’egli mi stesse guardando. Al di sopra del bracciolo del divano, ho intravisto la sua faccia che mi fissava al di là dell’oscurità della finestra… dove ero rimasto rannicchiato soltanto pochi minuti prima. Un salto di percezione ed ero di nuovo sulla scala antincendio a guardare dentro, un uomo e una donna che facevano all’amore sul divano. Poi, con uno sforzo violento della volontà, sono tornato sul divano con lei, conscio del suo corpo e del mio desiderio pressante e della mia potenza, e ho rivisto la faccia nella cornice della finestra che avidamente guardava. E ho pensato tra me e me, fa’ pure, povero bastardo… guarda. Non me ne importa più niente.
E lui ha sbarrato gli occhi mentre guardava.
29 giugno Prima di tornare al laboratorio porterò a termine i lavori che ho cominciato dopo essermene andato dal congresso. Ho telefonato a Landsdoff del Nuovo Istituto Studi Superiori, a proposito della possibilità di utilizzare il fotoeffetto nucleare di produzione accoppiata per ricerche sperimentali in biofisica. A tutta prima mi ha scambiato per un picchiatello, ma quando gli ho fatto rilevare gli errori nel suo articolo sul Giornale del Nuovo Istituto, mi ha tenuto al telefono per quasi un’ora. Vuole che vada all’Istituto a parlare delle mie idee con il gruppo dei suoi collaboratori. Potrei associarmi con lui dopo aver terminato il lavoro al laboratorio, se ne avrò il tempo. È questa la difficoltà, naturalmente. Non so quanto tempo mi rimanga. Un mese? Un anno? Tutta la vita? Dipende da quello che scoprirò sugli effetti psicofisici collaterali dell’esperimento.
30 giugno Ho smesso di vagabondare per le strade ora che ho Fay. Le ho dato la chiave di casa mia. Fay mi prende in giro perché chiudo a chiave la porta, e io la prendo in giro per il disordine di casa sua. Mi ha avvertito di non tentare di cambiarla. Suo marito divorziò da lei cinque anni fa perché ella non sopportava di essere infastidita a proposito della necessità di mettere ogni cosa in ordine e di curarsi della casa.
Si comporta così, del resto, in quasi tutte le cose che le sembrano prive di importanza. Non può o non vuole curarsene, semplicemente. L’altro giorno ho scoperto una pila di scontrini di parcheggio in un angolo dietro una poltrona… dovevano essere quaranta o cinquanta. Quando è venuta con la birra le ho domandato perché li collezionasse.
«Oh, quelli!» ha riso. «Non appena il mio ex marito mi manda il maledetto assegno, non posso fare a meno di comprarne alcuni. Non hai idea di quanto mi assillano. Li tengo dietro quella poltrona perché altrimenti ogni volta, vedendoli, mi verrebbe una crisi di rimorso. Ma che cosa dovrebbe fare una povera donna? Ovunque vada, ci sono cartelli dappertutto… non parcheggiate qui! Non parcheggiate lì!… Io non posso assolutamente darmi la pena di leggere i cartelli ogni volta che scendo dalla macchina.»
Pertanto ho promesso che non cercherò di mutarla. È eccitante vivere con lei. Ha un gran senso dell’umorismo. Ma, soprattutto, è uno spirito libero e indipendente. La sola cosa che può stancare dopo qualche tempo è la sua folle passione per il ballo. Siamo rimasti fuori tutte le sere questa settimana fino alle due e alle tre del mattino. Non mi rimane più tanta energia.