«Questo», ho osservato, «non è tutto ciò che stavo per dire».
«L’ho immaginato», ha bisbigliato lui, tenendomi per il gomito. «Però ho potuto arguire dal bagliore dei tuoi occhi che ti stavi accingendo a farli a pezzi. E questo non potevo permetterlo, ti pare?»
«Suppongo di no», ho riconosciuto, prendendo un altro martini.
«È prudente che tu beva tanto?»
«No, ma sto cercando di distendermi i nervi e a quanto pare sono venuto nel posto meno adatto.»
«Be’, non te la prendere e non metterti nei pasticci questa sera. Quelle persone non sono sciocche. Sanno quello che pensi di loro, e anche se tu non ne hai bisogno, a noi sono necessarie.»
L’ho salutato con la mano. «Ci proverò, ma farebbe bene a tenere la signora Raynor lontana da me. La strozzo se viene di nuovo ad ancheggiarmi davanti.»
«Ssst!» ha sibilato lui. «Potrebbe sentirti.»
«Ssst!» gli ho fatto eco. «Mi scusi. Me ne starò seduto qui in un angolo e mi terrò alla larga da tutti.»
La bruma mi stava sommergendo, ma attraverso ad essa continuavo a vedere persone fissarmi con insistenza. Stavo borbottando tra me e me, suppongo… in modo troppo udibile. Non ricordo che cosa dicevo. Poco tempo dopo ho avuto la sensazione che la gente se ne stesse andando insolitamente presto, ma non ho badato molto alla cosa fino a quando Nemur non si è avvicinato, mettendosi davanti a me.
«Chi diavolo credi di essere, per comportarti in questo modo? Non ho mai visto una villania così insopportabile in vita mia.»
A fatica mi sono alzato in piedi.
«Ehi, per quale ragione dice una cosa simile?»
Strauss ha cercato di trattenerlo ma lui, ansimando e soffiando, ha continuato: «Lo dico perché non hai alcuna gratitudine e non ti rendi conto della situazione. In fin dei conti hai un debito di riconoscenza con queste persone, se non con noi… sotto più di un aspetto».
«Da quando in qua una cavia dovrebbe essere riconoscente?» ho urlato. «Sono stato utile ai suoi scopi e ora sto cercando di rimediare ai suoi errori, e dunque come diavolo posso essere indebitato con qualcuno?»
Strauss ha incominciato a farsi avanti per separarci, ma Nemur lo ha fermato. «Un momento solo. Voglio sapere che cos’ha da dire. Credo che sia giunto il momento di accertare la verità.»
«Ha bevuto troppo», gli ha fatto osservare sua moglie.
«Non fino a questo punto», ha sbuffato Nemur. «Si sta esprimendo con molta chiarezza. Ho sopportato molto da lui. Ha posto in pericolo, se non effettivamente distrutto, il nostro lavoro, e ora voglio sentirgli dire quale sarebbe la sua giustificazione.»
«Oh, lasci perdere», ho detto. «Lei non vuole sapere realmente la verità.»
«Sì, invece, Charlie. O per lo meno la tua versione della verità. Voglio sapere se provi un po’ di gratitudine per tutto quello che è stato fatto nel tuo interesse… le tue nuove capacità, le cose che hai imparato, le esperienze che hai fatto. Oppure pensi per caso che stavi meglio prima?»
«Sotto certi aspetti, sì.»
Questo li ha scandalizzati.
«Ho imparato mólte cose in questi ultimi mesi», ho detto. «Non soltanto su Charlie Gordon, ma sulla vita e sulla gente, e ho scoperto che in realtà nessuno si cura di Charlie, sia egli un deficiente o un genio. Dunque, che differenza fa?»
«Oh», ha riso Nemur, «il tuo è autocompatimento. Che cosa ti aspettavi? Questo esperimento si proponeva di elevare la tua intelligenza, non di fare di te un beniamino. Non dipendeva da noi quello che sarebbe accaduto alla tua personalità, e dal giovane debole di mente ma simpatico che eri, ti sei trasformato in un bastardo arrogante, egocentrico e asociale».
«La verità è un’altra, egregio professore: lei voleva qualcuno che potesse essere reso intelligente, ma tenuto ugualmente in gabbia ed esibito ogni volta che fosse stato necessario per mietere gli onori cui ambisce. Il guaio è che io sono un essere umano.»
Era furente e ho capito che non sapeva se por termine al litigio o cercare ancora una volta di sconfiggermi. «Sei ingiusto, come sempre. Sai che ti abbiamo sempre trattato bene… che abbiamo fatto tutto il possibile per te.»
«Tutto, tranne che trattarmi come un essere umano. Lei ha proclamato, ripetutamente, che non ero niente prima dell’esperimento, e io so perché. Perché. se non ero niente, allora il merito di avermi creato spettava a lei, e questo faceva di lei il mio signore e padrone. La esaspera il fatto che io non dimostri ogni giorno e ogni momento la mia gratitudine. Ebbene, lo creda o no, le sono grato. Ma quello che ha fatto per me, sebbene meraviglioso, non le dà il diritto di trattarmi come un animale da esperimenti. Sono un individuo, adesso, e lo era anche Charlie prima di entrare in quel laboratorio. Sembra esterrefatto! Già, a un tratto scopriamo ch’io sono sempre stato una creatura umana, anche prima, e ciò mina il suo convincimento che chiunque abbia un quoziente di intelligenza inferiore a 100 non meriti alcuna considerazione. Professor Nemur, io credo che quando lei mi guarda si senta rimordere la coscienza.»
«Ho ascoltato abbastanza», è esploso lui. «Sei ubriaco.»
«Ah, no», gli ho assicurato. «Perché, se mi ubriacassi, lei vedrebbe un Charlie Gordon diverso da quello che ha finito con il conoscere. Sì, l’altro Charlie che procedeva nelle tenebre è ancora qui con noi. Dentro di me.»
«Gli ha dato di volta il cervello», ha detto la signora Nemur. «Parla come se esistessero due Charlie Gordon. Farebbe bene a visitarlo, dottore.»
Il dottor Strauss ha crollato il capo. «No. So quello che intende dire. La cosa è affiorata di recente durante le sedute psicanalitiche. Da un mese a questa parte, circa, vi è stata una singolare dissociazione. In numerose circostanze egli ha percepito se stesso com’era prima dell’esperimento, come un sìngolo e distinto individuo ancora esistente nella sua coscienza, quasi che il Charlie di un tempo stesse lottando per riacquistare il dominio fisico…»
«No! Non ho mai detto questo! Non sta lottando per riconquistare il dominio fisico. Charlie è presente, senz’altro, ma non lotta con me. Si limita ad aspettare. Non ha mai cercato di affermarsi, né ha mai tentato d’impedirmi di fare qualcosa ch’io volessi.» Poi, ricordandomi di Alice, ho rettificato: «Be’, quasi mai. L’umile e modesto Charlie del quale parlavate tutti quanti un momento fa, si limita ad aspettare con pazienza. Ammetto ch’egli mi piace sotto un certo numero di aspetti, ma l’umiltà e la modestia non sono tra essi. Ho imparato quanto poco possono procurare a una persona in questo mondo».
«Sei diventato cinico», ha detto Nemur. «L’occasione che ti è stata offerta non ha significato altro pef te. Il tuo genio ha distrutto la fiducia che avevi nel mondo e nei tuoi simili.»
«Questo non è completamente vero», ho risposto con soavità. «Ma ho imparato che la sola intelligenza non significa un corno di niente. Qui, nella sua università, l’intelligenza, la cultura, la conoscenza, sono diventate tutte grandi idoli. Ma io so adesso che voi tutti avete trascurato una cosa: l’intelligenza e l’educazione che non siano temperate dall’affetto umano non valgono nulla.»
Ho preso un altro martini sulla vicina credenza e ho continuato la predica.
«Non mi fraintenda», ho detto. «L’intelligenza è uno dei più grandi doni umani. Ma la ricerca della conoscenza esclude anche troppo spesso la ricerca dell’amore. Questa è un’altra cosa che ho scoperto per mio conto molto di recente. Gliela offro come un’ipotesi: l’intelligenza, senza la capacità di dare e di ricevere affetto, porta a un tracollo mentale e morale, alla nevrosi e forse anche alla psicosi. E io dico che la mente assorta e chiusa in se stessa come un fine centrato nell’io, a esclusione dei rapporti umani, può condurre soltanto alla violenza e al dolore… Quando ero mentalmente ritardato avevo molti amici. Ora non ne ho alcuno. Oh, conosco un mucchio di gente. Innumerevoli persone. Ma non ho alcun vero amico. Non come ne avevo alla panetteria. Non un amico al mondo che abbia qualche importanza per me, e nessuno per il quale io rivesta qualche importanza.» Ho scoperto che stavo incominciando a pronunziare male le parole e che mi girava la testa. «Questo non può essere giusto, le pare?» ho insistito. «Voglio dire, lei che cosa ne pensa? Crede che… sia giusto?»