Strauss si è avvicinato e mi ha preso per un braccio.
«Charlie, forse faresti bene a coricarti per un po’. Hai bevuto troppo.»
«Perché mi guardate tutti quanti in quel modo? Che cosa ho detto di male? Ho fatto qualcosa di male? Non volevo dir niente che non fosse giusto.»
Ho sentito le parole impastarmisi nella bocca, come se mi avessero iniettato novocaina nella faccia. Ero ubriaco… completamente andato. In quel momento, quasi come se fosse scattato un interruttore, stavo osservando la scena dalla porta della sala da pranzo, e ho potuto vedere me stesso come l’altro Charlie… lì, vicino alla credenza, con il bicchiere in mano, gli occhi sbarrati e spaventati.
«Cerco sempre di fare quello che è giusto. Mia madre mi ha sempre insegnato a essere gentile con la gente perché in questo modo, diceva, non ci si mette nei guai e si hanno sempre molti amici.»
Ho capito, dai suoi movimenti a scatto e dai suoi contorcimenti, che doveva andare in bagno. Oh, Dio mio, non lì davanti a loro. «Mi scusino, prego», ho detto, «devo andare…» In qualche modo, in quel torpore ebbro, sono riuscito ad allontanarlo da loro e a guidarlo verso il bagno.
È arrivato in tempo, e dopo qualche secondo ero nuovamente in me. Ho appoggiato la gota alla parete e poi mi sono lavato la faccia con acqua fredda. Ero ancora stordito, ma sapevo che mi sarei sentito meglio.
In quel momento ho veduto Charlie guardarmi dallo specchio dietro il lavabo. Non so come ho saputo che si trattava di Charlie e non di me. Un non so che nell’espressione ottusa, interrogativa della sua faccia. Gli occhi di lui erano sbarrati e spaventati, come se a una mia parola avesse potuto voltarsi e fuggire lontano nella dimensione del mondo rispecchiato. Ma non è fuggito. Si è limitato a fissarmi, a bocca aperta, con la mascella ciondolante.
«Ciao», ho detto, «sicché ti trovi finalmente a faccia a faccia con me».
Si è accigliato appena un poco, come se non avesse capito quello che volevo dire, come se avesse voluto una spiegazione ma non sapesse come chiederla. Poi. rinunciando, ha sorriso di sbieco con un angolo della bocca.
«Resta qui davanti a me», ho urlato. «Sono stufo marcio di essere spiato dalle soglie e dai luoghi bui dove non posso raggiungerti.»
Continuava a fissarmi.
«Chi sei tu, Charlie?»
Null’altro che il sorriso.
Ho annuito e lui ha risposto annuendo.
«Allora che cosa vuoi?» ho domandato.
Si è stretto nelle spalle.
«Oh, andiamo», ho detto, «devi pur volere qualcosa. Mi hai seguito…»
Ha abbassato gli occhi e io mi sono sbirciato le mani per vedere che cosa stesse guardando. «Le rivuoi, non è vero?»
«Vuoi che me ne vada di qui per poter tornare a ricominciare dove eri rimasto. Non posso rimproverarti. Si tratta del tuo corpo e del tuo cervello… e della tua vita, anche se tu non sei mai riuscito a farne un grande uso. Non ho il diritto di togliertela. Nessuno lo ha. Chi può dire che la mia luce sia migliore della tua tenebra? Chi può dire se la morte è migliore della tua tenebra? E chi sono io per dirlo…? Ma posso dirti qualcos’altro, Charlie.» Mi sono raddrizzato, indietreggiando dallo specchio. «Non ti sono amico. Ti sono nemico. Non rinuncerò alla mia intelligenza senza lottare. Non posso tornare in quella caverna. Non c’è alcun luogo in cui io possa andare adesso, Charlie. Quindi devi star lontano. Rimani nel mio subcosciente al quale appartieni e finiscila di seguirmi. Non mi arrenderò… qualunque cosa possano pensare tutti quanti. Per quanto questo significhi rimaner solo. Terrò quello che mi hanno dato e farò grandi cose per il mondo e per gli altri esseri come te.»
Mentre mi voltavo verso la porta, ho avuto l’impressione che tendesse la mano verso di me. Ma tutta questa dannata cosa era una sciocchezza. Avevo soltanto bevuto troppo e quel che vedevo era la mia immagine riflessa nello specchio.
Quando sono uscito, Strauss voleva mettermi in un tassi, ma ho insistito nel dire che potevo benissimo arrivare a casa per mio conto. Mi occorreva soltanto un po’ d’aria fresca e non volevo essere accompagnato da nessuno.
Volevo andare solo.
Stavo vedendo me stesso come realmente ero diventato: Nemur lo aveva detto. Un bastardo arrogante ed egocentrico. A differenza di Charlie, ero incapace di farmi degli amici o di pensare agli altri e alle loro difficoltà. Ero interessato a me stesso e soltanto a me stesso. Per un lungo momento mi ero veduto in quello specchio attraverso gli occhi di Charlie… mi ero contemplato, e avevo constatato che cos’ero divenuto in realtà. E mi vergognavo.
Ore dopo, mi sono trovato davanti a casa mia, sono salito di sopra e ho percorso il corridoio fiocamente illuminato. Passando davanti all’appartamento di Fay ho visto che la luce era accesa e mi sono diretto da quella parte. Ma proprio mentre stavo per bussare l’ho udita ridacchiare e mi è giunta la risata di risposta di un uomo.
Era troppo tardi.
Sono entrato silenziosamente nel mio appartamento e sono rimasto per qualche tempo al buio, senza avere il coraggio di muovermi, senza avere il coraggio di accendere la luce. Sono semplicemente rimasto immobile e ho sentito il vortice negli occhi.
Che cosa mi è accaduto? Perché sono così solo al mondo?
4,30 antimeridiane La soluzione mi si è presentata proprio mentre stavo appisolandomi. Si è fatta luce in me! Tutto concorda e ora vedo quel che avrei dovuto sapere sin dall’inizio. Non più sonno. Devo tornare al laboratorio e paragonare quanto ho scoperto con i risultati della calcolatrice. Questa, finalmente, è la falla nell’esperimento. L’ho scoperta.
Che cosa sarà adesso di me?
26 agosto LETTERA AL PROFESSOR NEMUR [COPIA]
Caro professor Nemur,
in plico a parte le spedisco una copia del mio rapporto intitolato «L’effetto Algernon-Gordon: studio della struttura e della funzione dell’accresciuta intelligenza», che potrà essere pubblicato se lei lo riterrà opportuno.
Come sa, i miei esperimenti si sono conclusi. Ho compreso nel rapporto tutte le mie formule, nonché le analisi matematiche dei dati nell’appendice. Naturalmente queste ultime dovrebbero essere controllate.
I risultati sono chiari. Gli aspetti più sensazionali della mia rapida ascesa non possono oscurare i fatti. La tecnica basata sulla chirurgia e le iniezioni, creata da lei e dal dottor Strauss, deve essere considerata di scarso o nessun valore pratico, attualmente, ai fini dell’accrescimento dell’intelligenza umana.
Passiamo in rassegna i dati concernenti Algernon: sebbene il topo sia ancora fisicamente giovane, è regredito mentalmente. L’attività motoria è menomata; si ha una riduzione generale delle funzioni glandolari; una perdita accelerata di coordinazione; e spiccati indizi di amnesia progressiva.
Come dimostro nel mio rapporto, queste e altre sindromi di deterioramento fisico e mentale possono essere previste con risultati statisticamente significativi mediante l’applicazione della mia nuova formula. Sebbene lo stimolo chirurgico al quale siamo stati assoggettati entrambi abbia dato luogo a una intensificazione e a un’accelerazione di tutti i processi mentali, l’inconveniente, ch’io mi sono permesso di chiamare «effetto Algernon-Gordon», è la logica durata dell’intera accelerazione dell’intelligenza. Le ipotesi qui dimostrate possono essere riassunte con estrema semplicità nei seguenti termini:
L’INTELLIGENZA INDOTTA ARTIFICIALMENTE SI DETERIORA CON UNA RAPIDITÀ DIRETTAMENTE PROPORZIONALE ALLA QUANTITÀ DELL’ACCRESCIMENTO.
Fino a quando sarò in grado di scrivere, continuerò a esporre i miei pensieri e le mie idee in questi rapporti sui progressi. È uno dei miei pochi piaceri solitari ed è senz’altro necessario al completamento di questa ricerca.
Tuttavia, stando a tutti gli indizi, il mio deterioramento mentale sarà rapidissimo.
Ho controllato e ricontrollato i dati una dozzina di volte nella speranza di trovare un errore, ma mi spiace dire che i risultati restano validi. Eppure sono lieto del poco che qui aggiungo alla conoscenza del funzionamento della mente umana e delle leggi che governano l’accrescimento artificiale dell’intelligenza umana.
L’altra sera il dottor Strauss diceva che un insuccesso sperimentale, la confutazione di una teoria, sono importanti per il progredire della scienza quanto lo sarebbe un successo. Ora so che questo è vero. Mi spiace, tuttavia, che il mio contributo in questo settore debba poggiare sulle ceneri dell’opera di lei e dei suoi collaboratori, e in particolare di coloro che tanto hanno fatto per me.
Suo, sinceramente
CHARLES GORDON
Allegato: 1 rapporto
copie: per il dottor Strauss
per la fondazione Welberg