Pelorat attese, quindi fece: — Bene, adesso che te l’ho detto, cara, perché non mi dici che sei un essere umano naturale e che non c’è bisogno che io mi dibatta in situazioni ipotetiche?
— No, non farò nulla del genere. Hai definito un essere umano naturale come un oggetto che ha tutte le proprietà di un essere umano naturale. Se ritieni che io abbia tutte queste proprietà, allora la discussione è chiusa. Siamo giunti alla definizione operativa, e deve bastarci. Dopo tutto, chi mi dice che tu non sia un semplice robot indistinguibile da un essere umano?
— Io te lo dico: non sono un robot.
— Ah, ma se fossi un robot indistinguibile da un essere umano, potresti essere stato progettato in modo tale da affermare di essere un essere umano naturale, potresti addirittura essere stato programmato in modo tale da crederlo tu stesso. La definizione operativa è tutto quel che abbiamo, che possiamo avere.
Bliss circondò con le braccia il collo di Pelorat, e lo baciò. Il bacio diventò sempre più appassionato, e si protrasse finché Pelorat riuscì a dire con voce alquanto soffocata: — Avevamo promesso a Trevize di non creargli imbarazzo trasformando questa nave in un covo per amanti in luna di miele…
Bliss disse in tono carezzevole: — Lasciamoci andare, e dimentichiamo le promesse, non pensiamoci.
Turbato, Pelorat ribatté: — Ma non posso farlo, cara. Lo so che ti infastidirà, Bliss, ma io penso in continuazione, e sono costituzionalmente contrario a lasciarmi trasportare dai sentimenti. È un’abitudine vecchia quanto me, probabilmente molto noiosa per gli altri. Le donne con cui ho vissuto, prima o poi, si sono sempre lamentate di questo. La mia prima moglie… oh, ma immagino che sarebbe poco conveniente discutere di…
— Certo, poco conveniente, ma non del tutto sconveniente. Nemmeno tu sei il mio primo amante.
— Oh! — esclamò Pelorat, piuttosto perplesso. Poi, notando il sorrisetto di Bliss disse: — Volevo dire, certo che no. Non mi aspettavo di essere… In ogni modo, alla mia prima moglie non piaceva.
— Ma a me piace. Trovo attraente il tuo atteggiamento sempre meditabondo, pensoso.
— Non riesco a crederci, ma avrei un altro pensiero. Robot o umano, non importa. Su questo siamo d’accordo. Comunque, come sai sono un Isolato. Non faccio parte di Gaia, e quando siamo in rapporti intimi tu provi sentimenti esterni a Gaia anche quando mi lasci fondere con Gaia per un breve periodo di tempo, e può darsi non si arrivi alla stessa intensità emotiva che invece proveresti se fosse Gaia ad amare Gaia.
Bliss disse: — Pel, amare te presenta dei lati deliziosi: io non cerco altro.
— Ma non si tratta solo di amarmi. Tu non sei solamente te stessa. E se Gaia considerasse questo fatto una perversione?
— In tal caso, lo saprei, perché anch’io sono Gaia. E dal momento che con te provo piacere, pure Gaia lo prova. Quando facciamo l’amore, tutta Gaia è partecipe della sensazione a vari livelli. Quando dico che ti amo, significa che Gaia ti ama, anche se il ruolo immediato è assegnato solo alla parte rappresentata da me… Sembri confuso.
— Essendo un Isolato, Bliss, non afferro del tutto.
— Si può sempre fare un’analogia col corpo di un Isolato, Pel. Quando fischietti un motivo, il tuo intero corpo, cioè tu come organismo, vuole fischiare il motivo, ma il compito diretto spetta alle tue labbra, alla lingua ed ai polmoni: il tuo alluce destro non fa nulla.
— Potrebbe battere il tempo.
— Ma battere il tempo con l’alluce non è indispensabile all’atto del fischiare. Battere il piede non è l’azione stessa ma una reazione, e in effetti tutte le parti di Gaia potrebbero reagire in un modo o nell’altro ai miei sentimenti, come io reagisco ai loro.
Pelorat disse: — Immagino sia inutile sentirsi imbarazzati per questo.
— Sì, perfettamente inutile.
— Però provo uno strano senso di responsabilità. Quando cerco di renderti felice, in pratica è come se cercassi di rendere felice ogni organismo di Gaia.
— Fino all’ultimo atomo… Ma ci riesci. Incrementi il senso di gioia comune che io ti lascio percepire brevemente. Certo, il tuo contributo è troppo piccolo per essere facilmente misurabile, però esiste, il che dovrebbe accrescere la tua gioia.
Pelorat disse: — Peccato che non abbia la certezza che Golan sia abbastanza preso dalle manovre iperspaziali da restare in sala comandi per un po’…
— Vorresti concederti una luna di miele, vero?
— Sì.
— Allora prendi un foglio, scrivi sul foglio “Reparto Luna di Miele” ed attaccalo fuori sulla porta, così se lui vorrà entrare sarà un problema suo.
Pelorat lo fece, e fu durante le piacevoli procedure successive che la “Far Star” effettuò il balzo. Né Pelorat né Bliss se ne accorsero, del resto non se ne sarebbero accorti nemmeno se avessero prestato attenzione.
2
Erano trascorsi solo pochi mesi da quando Pelorat aveva conosciuto Trevize e aveva lasciato Terminus per la prima volta. Fino ad allora, per oltre mezzo secolo (tempo galattico standard) di vita, non si era mai staccato dalla superficie del pianeta.
Nel suo intimo, in quei mesi Pelorat era diventato un vecchio lupo dello spazio. Aveva visto tre pianeti dallo spazio: Terminus stesso, Sayshell e Gaia. E sullo schermo adesso ne vedeva un quarto, quantunque attraverso un congegno telescopico controllato dal computer: quel quarto pianeta era Comporellen.
E per la quarta volta Pelorat si sentì vagamente deluso. Chissà perché, continuava a credere che guardare un mondo abitabile dallo spazio significasse vedere il profilo dei suoi continenti sullo sfondo del mare circostante, o nel caso di un mondo asciutto, i contorni dei suoi laghi all’interno della massa di terra.
Non succedeva mai.
Se un mondo era abitabile, aveva un’atmosfera oltre ad una idrosfera. E se aveva sia aria che acqua, aveva ammassi di nubi; e se c’erano nubi, la vista era ostruita. Ancora una volta, Pelorat si ritrovò a guardare dei vortici bianchi che lasciavano scorgere di tanto in tanto una chiazza d’azzurro o di marrone ruggine.
Accigliato, si chiese come fosse possibile identificare un mondo osservandolo su uno schermo a 300 mila chilometri di distanza. Com’era possibile distinguere un vortice di nubi da un altro?
Bliss fissò Pelorat preoccupata. — Che c’è, Pel? Sembri infelice.
— È che tutti i pianeti sono uguali visti dallo spazio.
Trevize disse: — E allora, Janov? Anche tutte le coste di Terminus sembrano uguali all’orizzonte, a meno che non si sappia cosa cercare… un particolare picco montuoso, od un isolotto al largo dalla forma caratteristica.
— Lo so, grazie — replicò Pelorat chiaramente insoddisfatto. — Ma che riferimenti si possono cercare in una massa di nubi in movimento? Ed anche provando, prima di trovarli, ci si sposta probabilmente nel lato notturno.
— Guarda più attentamente, Janov. Se segui la disposizione delle nubi, vedi che tendono a formare una massa che gira attorno al pianeta e che ha un centro: quel centro corrisponde più o meno ad uno dei poli.
— Quale? — chiese Bliss interessata.
— Dato che, rispetto a noi, il pianeta ruota in senso orario, noi ci troviamo per definizione sul polo sud. Dato che il centro è ad una quindicina di gradi dal terminatore, la linea d’ombra del pianeta, e dato che l’asse planetario è inclinato di ventun gradi rispetto alla perpendicolare del piano di rivoluzione, siamo o a metà primavera o a metà estate, a seconda che il polo si stia allontanando dal terminatore o si stia avvicinando. Il computer può calcolare la sua orbita e comunicarmelo subito, se dovessi chiederlo. La capitale si trova a nord dell’equatore, quindi là è autunno od inverno inoltrato.