La voce di Bliss si fece leggermente più acuta e sonora. — Ti sbagli, se pensi che Gaia vegeti e si fossilizzi. Le nostre realizzazioni, le nostre usanze, i nostri punti di vista, tutto quanto viene sottoposto ad un esame di coscienza costante. Senza un motivo valido, non c’è nulla che persista solo per inerzia. Gaia impara tramite l’esperienza ed il pensiero, perciò cambia quando è necessario.
— Anche se quel che dici è vero, l’esame di coscienza e l’apprendimento devono essere molto lenti, perché su Gaia non esiste altro che Gaia. Qui, in regime di libertà, anche quando quasi tutti sono d’accordo, c’è sempre una minoranza che discordi, e in alcuni casi quella minoranza può darsi che abbia ragione. E se quei pochi sono abbastanza abili, abbastanza entusiasti, abbastanza giusti, alla fine vinceranno e nel futuro diventeranno eroi… come Hari Seldon, che ha perfezionato la Psicostoria, ha sfidato con le sue concezioni l’intero Impero Galattico, ed ha vinto.
— Ha vinto solo fino ad ora, Trevize. Il Secondo Impero pianificato da Seldon non si realizzerà: ci sarà Galaxia, invece.
— Ah, davvero? — disse Trevize con espressione truce.
— È stata tua la decisione, ed anche se continui a discutere con me sostenendo gli Isolati e la loro libertà di essere sciocchi e criminali, nei recessi della tua mente c’è qualcosa che ti ha costretto ad essere d’accordo con me/noi/Gaia quando hai fatto la tua scelta.
— Quello che si cela nei recessi della mia mente è proprio quel che cerco — disse Trevize ancor più arcigno. — Là, per cominciare — aggiunse, indicando lo schermo, dove una città si estendeva all’orizzonte, un agglomerato di strutture basse, salvo alcune eccezioni isolate, circondato da campi marroni coperti da uno strato di brina.
Pelorat scosse la testa. — Peccato. Volevo osservare la fase di avvicinamento, ma mi sono distratto ascoltando la discussione.
— Non importa, Janov — disse Trevize. — Guarderai quando ce ne andremo. Prometto che terrò la bocca chiusa, sempre che tu riesca a far tacere Bliss.
E la “Far Star” atterrò allo spazioporto guidata da un raggio a microonde.
6
Kendray aveva un’aria grave quando tornò alla stazione d’ingresso ed osservò la “Far Star” che passava. Al termine del suo turno era ancora chiaramente depresso.
Stava consumando il suo ultimo pasto della giornata quando uno dei suoi colleghi, un tipo allampanato con gli occhi ben distanziati, radi capelli chiari e sopracciglia così bionde da sembrare assenti, si sedette accanto a lui.
— Che c’è che non va, Ken?
Kendray arricciò le labbra. — Quella che è appena passata era una nave gravitazionale, Gatis.
— Quella strana con radioattività zero?
— Proprio per questo non era radioattiva. Niente combustibile: gravitazionale.
Gatis annuì. — Quella che ci avevano detto di tener d’occhio, giusto?
— Giusto.
— E l’hai beccata tu: il solito fortunato.
— Non tanto fortunato. A bordo c’era una donna senza documenti… ed io non ho denunciato la sua presenza.
— Cosa? Senti, non dirmi niente. Non voglio sapere: non una parola di più. Siamo amici, ma non ho intenzione di diventare complice del fatto.
— Non è questo che mi preoccupa. Non molto. Ho dovuto mandare giù la nave. Vogliono una nave gravitazionale… quella o una qualsiasi altra, lo sai.
— Certo, però almeno avresti potuto fare rapporto sulla donna.
— Non mi andava. Non è sposata. È stata presa a bordo solo per… per essere usata.
— Quanti uomini c’erano a bordo?
— Due.
— E l’hanno presa a bordo solo per… per quello. Devono essere di Terminus.
— Esatto.
— Se ne fregano di quel che fanno, su Terminus.
— Già.
— Disgustoso. E la fanno franca.
— Uno di loro era sposato, e non voleva che sua moglie venisse a saperlo. Se avessi denunciato la presenza della donna, la moglie l’avrebbe scoperto.
— Ma la moglie non è su Terminus?
— Certo, però l’avrebbe scoperto ugualmente.
— Gli starebbe bene a quel tipo se sua moglie lo scoprisse.
— Sono d’accordo… ma non volevo essere proprio io il responsabile.
— Se la prenderanno con te per non avere fatto rapporto. Volere risparmiare dei guai a quel tipo non è una scusa valida.
— Tu avresti fatto rapporto?
— Avrei dovuto farlo per forza, credo.
— No, non avresti dovuto. Il Governo vuole quella nave, se avessi insistito per fare rapporto sulla donna, gli uomini a bordo avrebbero cambiato idea ed invece di scendere qui sarebbero andati su qualche altro pianeta. Ed al Governo non sarebbe piaciuto.
— Ma ti crederanno?
— Penso di sì… Era molto carina, quella donna. Pensa, una donna del genere disposta ad andare con due uomini, e degli uomini sposati col coraggio di approfittarne… Sai, è allettante come idea.
— Non credo che tua moglie sarebbe contenta se sapesse che hai detto una cosa del genere, o che l’hai pensata.
Kendray replicò con aria di sfida: — Perché, chi andrà a riferirglielo? Tu?
— Dài, non dirlo nemmeno per scherzo. — L’espressione indignata di Gatis scomparve rapidamente, e Gatis disse: — Sai, mica gli hai dato una mano a quei tipi, lasciandoli passare.
— Lo so.
— Giù in superficie scopriranno subito tutto, e magari tu la passerai liscia, ma loro no.
— Lo so — annuì Kendray — e mi dispiace per loro. I guai che gli creerà la donna saranno poca cosa rispetto ai guai che gli creerà la nave. Il capitano ha fatto certi commenti…
Kendray si interruppe, e Gatis lo sollecitò smanioso: — Che commenti?
— Non importa — rispose Kendray. — Se dovesse spargersi la voce, io mi gioco le chiappe.
— Non dirò niente.
— Nemmeno io… Comunque, mi spiace per quei due uomini di Terminus.
7
Per chiunque fosse stato nello spazio ed avesse conosciuto la sua immutabilità, la parte veramente eccitante del volo spaziale arrivava quando si trattava di atterrare su un nuovo pianeta. Il terreno scorreva sotto la nave, lasciando intravedere scorci di terra e di acqua, aree e linee geometriche che forse corrispondevano a campi e strade. Si scorgevano il verde della natura che cresceva, il grigio del cemento, il marrone del terreno spoglio, il bianco della neve. E soprattutto, c’era l’eccitazione trasmessa dai centri urbani, città che su ogni mondo presentavano caratteristiche geometriche proprie e varianti architettoniche.
Su una normale nave, inoltre ci sarebbe stato il brivido del contatto col terreno e dello spostamento lungo una pista. Per la “Far Star” era diverso. Galleggiando nell’aria, rallentò bilanciando abilmente attrito e gravità, e infine si fermò sopra lo spazioporto. Il vento soffiava a raffiche, il che complicava le cose. Quando veniva regolata su una spinta agravitazionale particolarmente elevata, la “Far Star” oltre a presentare un peso estremamente basso diminuiva anche come massa. Se la massa si avvicinava troppo allo zero, il vento avrebbe trascinato via la nave immediatamente. Quindi, bisognava attenuare il campo agravitazionale ed usare delicatamente dei razzi direzionali per contrastare l’attrazione del pianeta e la spinta del vento, intervenendo con correzioni che combaciassero il più possibile con le variazioni di intensità delle raffiche. Senza un computer all’altezza, sarebbe stato impossibile farlo in maniera corretta.