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Trevize era circondato dalla mitezza di Gaia. La temperatura, come sempre, era gradevole, e l’aria si muoveva piacevolmente, fresca ma non gelida. Il cielo era solcato da nubi che velavano il sole di tanto in tanto, e senza dubbio se il livello di vapore acqueo per metro di superficie fosse sceso sufficientemente in un punto o nell’altro, ci sarebbe stata abbastanza pioggia da ripristinare l’umidità atmosferica.
Gli alberi crescevano ad intervalli regolari, come in un frutteto, e crescevano così, senza dubbio, su tutto il pianeta. La terra e il mare erano forniti del giusto numero e della giusta varietà di forme di vita animale e vegetali, così da creare un equilibrio ecologico adeguato, e la quantità di tutte queste forme di vita, senza dubbio, oscillava con variazioni minime senza discostarsi mai troppo dall’optimum… E questo valeva anche per gli esseri umani.
Tra tutti gli oggetti che rientravano nel campo visivo di Trevize, l’unica nota stonata era la sua stessa nave, la “Far Star”.
La nave era stata pulita e sistemata con estrema efficienza da alcuni componenti umani di Gaia. Era stata rifornita di generi alimentari, l’arredamento era stato rimesso a nuovo o sostituito, le parti meccaniche erano state controllate. Trevize stesso aveva verificato attentamente il computer di bordo.
La nave non aveva bisogno di rifornimento di carburante, perché era una delle poche navi gravitazionali della Fondazione, alimentata quindi dall’energia del campo gravitazionale generale della Galassia, che era in grado di fornire energia a tutte le flotte dell’umanità per tutti gli eoni della sua probabile esistenza senza far registrare alcun calo apprezzabile di intensità.
Tre mesi addietro, Trevize era stato un Consigliere di Terminus. In altre parole, era stato un membro della Legislatura della Fondazione e, di conseguenza, un grande della Galassia. Erano passati solo tre mesi? Sembrava che fosse trascorsa la metà dei suoi 32 anni di vita da quando aveva occupato quella carica, da quando la sua unica preoccupazione era stata quella di chiedersi se il Piano Seldon fosse valido o no, se la regolare ascesa della Fondazione da villaggio planetario a grande complesso galattico fosse stata tracciata adeguatamente in anticipo o meno.
Eppure per certi versi, nulla era cambiato: lui era tuttora un Consigliere. Il suo status ed i suoi privilegi erano immutati, solo che Trevize non prevedeva di tornare su Terminus a rivendicarli. Come non si adattava al microcosmo d’ordine di Gaia, così non sarebbe più riuscito ad integrarsi nel caos immenso della Fondazione. Non aveva un posto di appartenenza, era un orfano ovunque andasse.
Serrò la mascella e si passò rabbiosamente le dita tra i capelli neri. Prima di perdere tempo a lagnarsi del proprio destino, doveva trovare la Terra. Se fosse sopravvissuto alla ricerca, allora avrebbe potuto sedersi a piangere. E forse avrebbe avuto motivi ancor più validi per farlo.
Con flemma e decisione, ripensò al passato…
Tre mesi prima, lui e Janov Pelorat, quello studioso competente e ingenuo, avevano lasciato Terminus. Pelorat era spinto dalla sua smania professionale di scoprire l’ubicazione della Terra persa nelle leggende, e Trevize si era accodato, sfruttando l’obiettivo di Pelorat per mascherare quella che considerava la sua vera meta. Non avevano trovato la Terra, ma avevano trovato Gaia, dopo di che Trevize era stato costretto a prendere la sua fatidica decisione.
Adesso era lui, Trevize, che aveva modificato i propri piani radicalmente, con un voltafaccia, e stava cercando la Terra.
In quanto a Pelorat, pure lui aveva trovato qualcosa di imprevisto. Aveva trovato Bliss, la giovane donna dai capelli neri e gli occhi scuri, la ragazza che era Gaia, proprio come Dom era Gaia… proprio come il granello di sabbia e lo stelo d’erba più vicino era Gaia. Pelorat, con l’ardore tipico della mezza età avanzata, si era innamorato di una donna che aveva meno della metà dei suoi anni, e la ragazza, strano ma vero, sembrava contenta così.
Era strano… però Pelorat era sicuramente felice, e Trevize pensò rassegnato che ognuno doveva trovare la felicità come meglio credeva. Era questo lo scopo dell’individualità… individualità che Trevize, per sua scelta, stava abolendo (era questione di tempo) in tutta la Galassia.
Il dolore ritornò. La decisione che aveva preso, che aveva dovuto prendere, continuava a tormentarlo e…
— Golan!
La voce interruppe i suoi pensieri, e Trevize alzò lo sguardo in direzione del sole, battendo le palpebre.
— Ah, Janov — disse con entusiasmo, con maggiore cordialità del necessario perché non voleva che Pelorat intuisse l’amarezza delle sue riflessioni. Riuscì persino a scherzare: — Vedo che ce l’hai fatta a staccarti da Bliss.
Pelorat scosse la testa. La brezza gli agitava i capelli bianchi e sericei, e il suo viso lungo conservava la stessa espressione solenne di sempre. — A dire il vero, vecchio mio, è stata lei a suggerirmi di venire da te per… per una cosa di cui voglio discutere. Non che non volessi vederti ugualmente, intendiamoci, ma pare che Bliss pensi più rapidamente di me.
Trevize sorrise. — Certo, Janov. Sei qui per salutarmi, immagino.
— Be’, non proprio. Se mai, è vero il contrario. Golan, quando noi due abbiamo lasciato Terminus, io mi prefiggevo di trovare la Terra. In pratica, ho trascorso la mia vita adulta dedicandomi a quell’impresa.
— Ed io continuerò, Janov: l’impresa è mia adesso.
— Sì, ma è anche mia… È ancora mia.
— Ma… — Trevize alzò un braccio indicando con un gesto ampio e vago il mondo circostante.
Parlando d’un fiato, Pelorat sbottò: — Voglio venire con te.
Trevize rimase allibito. — No, non parli seriamente, Janov. Tu hai Gaia, adesso.
— Tornerò su Gaia un giorno, ma non posso lasciarti partire da solo.
— Certo che puoi. So badare a me stesso.
— Senza offesa, Golan, ma tu non sai abbastanza. Sono io l’esperto di miti e leggende: posso guidarti.
— E abbandonerai Bliss? Via, non…
Un lieve rossore soffuse le gote di Pelorat. — In realtà, non è mia intenzione farlo, comunque lei ha detto…
Trevize corrugò la fronte. — Per caso, non starà cercando di sbarazzarsi di te, Janov? Mi aveva promesso…
— No, non capisci. Per favore, ascoltami, Golan. Ah, hai il brutto vizio di infiammarti e balzare alle conclusioni prima che gli altri abbiano finito di parlare. È una tua caratteristica, lo so, e d’altro canto pare che io incontri una certa difficoltà nell’esprimermi in modo conciso, ma…
— D’accordo — disse Trevize garbatamente — adesso dimmi pure quel che abbia in mente Bliss, nel modo che preferisci, ed io ti prometto che sarò paziente.
— Grazie, e dal momento che sarai paziente, credo di poter venire subito al dunque. Ecco, vuole venire anche Bliss.
— Bliss vuole venire? — disse Trevize. — No, sto infiammandomi di nuovo… Non mi infiammerò… Allora, Janov, perché Bliss vuole partire con noi? Te lo sto chiedendo senza urlare.
— Non me l’ha detto. Ha detto che vuole parlarti.
— Allora, come mai non è venuta di persona, eh?
— Penso… dico, penso… che sia convinta di non riscuotere le tue simpatie, Golan, e che esiti ad avvicinarsi a te. Ho fatto del mio meglio, vecchio mio, per assicurarle che tu non abbia nulla contro lei. Stento a credere che qualcuno possa giudicarla in modo men che positivo. Eppure, Bliss ha voluto che fossi io ad intavolare la discussione con te. Posso riferirle che sei disposto ad incontrarla, Golan?
— Certo, la vedrò subito.
— E sarai ragionevole? Vedi, vecchio mio, ha insistito parecchio. Ha detto che è una questione di capitale importanza, e che lei deve venire con te.