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Un attimo, aveva detto al funzionario della stazione di ingresso… Kendray, sì, sì chiamava così… aveva detto a Kendray di avere affari importanti con il Governo locale. Lo aveva sottolineato, nel tentativo di ottenere il permesso di ingresso. Kendray doveva avere riferito anche questo fatto, il che aveva suscitato ovviamente un interesse notevole.

Trevize non lo aveva previsto, mentre avrebbe dovuto prevederlo.

Dov’era finita la sua prodigiosa intuizione? Cominciava a credere veramente di essere la scatola nera che diceva Gaia? Stava lasciandosi attirare in un pantano per un eccesso di sicurezza basata sulla superstizione?

Come aveva potuto lasciarsi intrappolare da quell’idea folle anche per un attimo? Non aveva mai sbagliato in vita sua? Sapeva che condizioni meteorologiche ci sarebbero state il giorno dopo? Vinceva grandi somme ai giochi d’azzardo? No, e poi no…

Allora, era solo riguardo le cose in generale, i fatti vaghi, che aveva ragione? Come poteva saperlo?

Meglio lasciar perdere! Dopo tutto, dichiarando di avere importanti affari di Stato… no, aveva parlato di motivi di sicurezza della Fondazione…

Be’, dichiarando di essere lì per motivi di sicurezza della Fondazione, arrivando in gran segreto senza contatti ufficiali, era logico che avesse attirato l’attenzione. Già però finché non avessero saputo di che si trattasse, i Comporelliani avrebbero dovuto agire con la massima circospezione, avrebbero dovuto essere cerimoniosi, trattarlo come si convenisse ad un personaggio di primo piano. Non avrebbero dovuto rapirlo e ricorrere alle minacce.

Eppure, era proprio quello che avevano fatto. Perché?

Cos’era che li facesse sentire tanto forti e potenti da riservare una simile accoglienza ad un Consigliere di Terminus?

La Terra, forse? La stessa forza che nascondeva così efficacemente il mondo d’origine, persino ai grandi mentalisti della Seconda Fondazione, stava operando anche adesso per ostacolare fin dalla fase iniziale la ricerca di Trevize? La Terra era onnisciente? Onnipotente?

Trevize scosse la testa. No, quelli erano sintomi paranoici. Intendeva forse incolpare la Terra di tutto? Ogni comportamento strano, ogni circostanza avversa, ogni piccolo intralcio… doveva dipendere per forza dalle macchinazioni segrete della Terra? Cominciando a pensare in quel modo, poteva già considerarsi battuto!

Sentì che il veicolo rallentava, e fu riportato di colpo al presente.

Si rese conto di non avere osservato, neppure per un attimo, la città che avevano attraversato. Al che, si guardò attorno, con un pizzico di frenesia. Gli edifici erano bassi, ma era un pianeta freddo, e probabilmente gran parte delle strutture erano sotterranee.

Non vide traccia di colori, e questo gli sembrò contrario alla natura umana.

Di tanto in tanto, vedeva passare una persona, infagottata. Del resto la gente, come gli edifici, doveva essere per lo più sottoterra.

Il taxi si era fermato davanti ad una costruzione bassa ed ampia, situata in una depressione di cui Trevize non riusciva a scorgere il fondo. Passarono alcuni secondi, e il taxi continuava a rimanere immobile, come l’autista. Il suo cappello bianco di pelo sfiorava il tetto del veicolo.

Trevize si chiese per un attimo come facesse l’autista a salire e a scendere senza perdere il cappello, poi disse con la collera contenuta che era lecito aspettarsi da un funzionario altero e bistrattato: — Ebbene, autista, e adesso?

La versione comporelliana del campo di forza scintillante che separava il conducente dai passeggeri non era affatto rudimentale. Le onde sonore potevano attraversarlo, ma Trevize era certo che gli oggetti materiali con una certa forza d’impatto non l’avrebbero superato.

L’autista disse: — Qualcuno salirà a prendervi. Restate seduti e tranquilli.

Mentre parlava, tre teste sbucarono lentamente dall’avvallamento che ospitava l’edificio, seguite dal resto dei corpi. Chiaramente, i tre uomini stavano salendo con una specie di scala mobile, ma dalla posizione in cui si trovava Trevize non era in grado di notare i particolari.

Mentre i tre si avvicinavano, la portiera del taxi si aprì, lasciando entrare una ventata d’aria gelida.

Trevize smontò, stringendo il giaccone al collo. Gli altri due lo imitarono; Bliss con considerevole riluttanza.

I tre Comporelliani erano informi, indossavano indumenti rigonfi che probabilmente erano riscaldati elettricamente. Trevize provò un senso di disprezzo a quella vista. Certe cose erano superflue su Terminus, e l’unica volta che aveva preso in prestito un soprabito termico durante l’inverno sul pianeta vicino Anacreon, Trevize aveva scoperto che l’indumento tendeva a scaldarsi lentamente, così quando si era accorto di avere troppo caldo stava già sudando abbondantemente.

Mentre i Comporelliani avanzavano, Trevize notò indignato che erano armati, e non si curavano di nasconderlo. Anzi… Ognuno aveva un disintegratore in una fondina fissata esternamente.

Uno di loro, fermandosi di fronte a Trevize, disse con voce burbera: — Scusate, Consigliere — e gli aprì il giaccone con un movimento brusco. Allungò le mani e le spostò velocemente su e giù lungo i fianchi di Trevize, lungo la schiena, il torace e le cosce. Il giaccone venne scosso e tastato. Sopraffatto dalla confusione e dallo sbigottimento, Trevize si rese conto di essere stato perquisito con estrema efficienza solo ad operazione terminata.

Pelorat, il mento piegato e la bocca contratta in una smorfia, stava subendo un identico trattamento indegno per mano del secondo Comporelliano.

Il terzo si accostò a Bliss, che agì prima di lasciarsi toccare. Lei almeno sapeva cosa aspettarsi, perché si tolse il giaccone e per alcuni attimi rimase esposta al sibilo del vento coperta solo da indumenti leggeri.

In tono gelido quanto la temperatura, disse: — Vedete benissimo che non sono armata.

Era più che evidente. Il Comporelliano scosse il giaccone, come se dal peso fosse in grado di giudicare se contenesse un’arma (forse era in grado di stabilirlo), quindi indietreggiò.

Bliss tornò ad infilarsi il giaccone, avvolgendoselo bene addosso, e Trevize non poté fare a meno di ammirare il suo gesto. Sapeva quanto soffrisse il freddo Bliss, eppure la ragazza non si era lasciata sfuggire un solo tremito mentre era rimasta in camicetta e calzoni. (Poi Trevize si domandò se, in quella particolare emergenza, non avesse per caso assorbito calore dal resto di Gaia.)

Un Comporelliano li chiamò con un gesto, ed i tre forestieri esterni lo seguirono. Gli altri due Comporelliani si accodarono. Il paio di pedoni che erano per strada non si presero la briga di osservare cosa stava accadendo. O erano abituati a episodi del genere, o, più probabilmente, pensavano più che altro a raggiungere un ambiente chiuso quanto prima.

Trevize ebbe modo di constatare che quella lungo la quale i Comporelliani erano saliti poco prima fosse una rampa mobile. Ora stavano scendendo, tutti e sei, ed attraversarono un sistema di chiusura complicato quasi quanto quello di un’astronave… senza dubbio, per trattenere il calore all’interno, non l’aria.

E d’un tratto si trovarono dentro un edificio enorme.

5. Lotta per la nave

9

Lì per lì, Trevize ebbe l’impressione di trovarsi sul set di un iperdramma… per la precisione, sul set di un romanzo storico d’ambientazione imperiale. C’era un set particolare, con poche variazioni (forse ne esisteva uno solo ed era usato da tutti i produttori ipervisivi, per quel che ne sapesse Trevize), che rappresentava la mastodontica città-pianeta di Trantor nel periodo di maggior splendore.

C’erano larghi spazi, lo scalpiccio indaffarato dei pedoni, i piccoli veicoli che sfrecciavano lungo le corsie riservate.