— Dunque rappresento la vita o la morte per Gaia, per l’intero mondo.
— Crediamo di sì.
Trevize si arrestò di colpo e si levò il cappello. Nel cielo stavano aprendosi squarci d’azzurro. — Ma adesso avete il mio voto favorevole: se mi ucciderete, non potrò più cambiarlo.
— Golan — mormorò Pelorat scioccato. — Che cosa terribile hai detto.
— Tipico di un Isolato — fece Bliss calma. — Devi capire, Trevize, che non ci interessi come persona, né ci interessa il tuo voto, ci interessa solo la verità, la realtà dei fatti. Sei importante solo come tramite per arrivare alla verità, e il tuo voto come espressione della verità. È questo che vogliamo da te. Se ti uccidessimo per evitare una modifica del voto, non faremmo altro che nascondere la verità a noi stessi.
— Se vi dirò che la verità sia sfavorevole a Gaia, accetterete tutti allegramente di morire?
— Non proprio allegramente, forse, però quasi.
Trevize scosse la testa. — Questa tua affermazione dovrebbe bastare a convincermi che Gaia sia un orrore e meriterebbe di morire. — Poi, tornando a guardare i gaiani che osservavano pazientemente (e, senza dubbio, ascoltavano), disse: — Perché sono sparsi in quel modo? E perché ne occorrono tanti? Se un osservatore assiste all’evento e lo immagazzina nella sua memoria, il ricordo non è disponibile per il resto del pianeta? Non può essere depositato in qualsiasi posto se volete?
Bliss rispose: — Ognuno di loro sta osservando l’evento da una prospettiva diversa, ed ognuno di loro lo deposita in un cervello leggermente diverso. Quando tutte le osservazioni verranno studiate, l’avvenimento risulterà maggiormente comprensibile esaminando la totalità delle osservazioni invece di una qualsiasi osservazione presa singolarmente.
— In altre parole, l’intero è superiore alla somma delle parti.
— Esatto. Hai colto il motivo fondamentale dell’esistenza di Gaia. Tu, come individuo umano, sei composto, diciamo, di cinquanta trilioni di cellule. Però, come individuo multicellulare sei molto più importante della somma dell’importanza individuale di quei cinquanta trilioni di cellule. Su questo sarai d’accordo, mi auguro.
— Sì, sono d’accordo.
Trevize salì a bordo della nave, e si voltò un attimo per un ultimo sguardo a Gaia. La breve pioggia aveva conferito una nuova freschezza all’atmosfera. Trevize vide un mondo verdeggiante, rigoglioso, tranquillo, pacifico; un’oasi di serenità tra i tumulti di una Galassia stanca.
E Trevize si augurò di cuore di non rivederlo mai più.
2
Quando il portello si chiuse alle loro spalle, Trevize ebbe la sensazione di avere escluso, se non un incubo, almeno qualcosa di estremamente anormale che gli avesse impedito di respirare liberamente.
Si rendeva conto che un elemento di quella anormalità era ancora con lui, incarnato da Bliss. Se c’era lei, c’era anche Gaia… tuttavia Trevize era anche convinto che la presenza di Bliss fosse essenziale. Era un altro responso della scatola nera, e lui sperava di non cominciare a credere troppo in quell’artificio.
Si guardò attorno, osservando la nave, e la trovò bellissima. Era sua da poco, da quando il Sindaco Harla Branno della Fondazione l’aveva costretto ad imbarcarsi e lo aveva spedito tra le stelle… un parafulmine vivente destinato ad attirare gli strali di quelli che la Branno considerava i nemici della Fondazione. L’impresa era stata ultimata, ma la nave era ancora sua, e lui non intendeva restituirla.
Era sua da appena pochi mesi, però ormai gli sembrava che quella fosse la sua casa, e ricordava solo in modo vago cos’era stata un tempo la sua casa su Terminus.
Terminus! Il perno scentrato della Fondazione, destinato, secondo il Piano Seldon, a formare un secondo e più grande Impero nel corso dei prossimi cinque secoli… solo che lui, Trevize, ora aveva mandato a monte tutto. Con la sua decisione, stava annullando completamente la Fondazione, e stava invece contribuendo all’attuazione di una nuova società, di un nuovo sistema di vita, di una spaventosa rivoluzione che sarebbe stata il fenomeno più ampio e sconvolgente mai verificatosi da quando si era evoluta la vita multicellulare.
Ora stava affrontando un viaggio destinato a dimostrargli la validità della sua scelta (od a continuarla).
Si accorse di essersi bloccato, immerso nei propri pensieri, e si scosse, irritato. Si affrettò a raggiungere la sala comandi e notò che il suo computer era ancora là.
Luccicava; tutto luccicava. La pulizia era stata accurata. I contatti che toccò, quasi a caso, funzionavano alla perfezione, anzi sembrava che fossero ancor più morbidi e scorrevoli di prima. Il sistema di ventilazione era così silenzioso che Trevize dovette posare la mano sulle feritoie per sentire il flusso d’aria.
Il cerchio luminoso sul computer brillava invitante. Trevize lo toccò, e la luce si diffuse, estendendosi sulla sommità della scrivania, e apparvero i contorni di due mani, una destra ed una sinistra. Inspirò profondamente, e si rese conto di avere trattenuto il respiro per qualche istante. I gaiani non sapevano nulla della tecnologia della Fondazione, ed avrebbero potuto danneggiare facilmente il computer senza volerlo. Finora, nessun danno… le mani c’erano ancora.
La prova cruciale consisteva nell’appoggiare sul ripiano le sue stesse mani comunque, e Trevize ebbe un attimo di esitazione. Avrebbe capito subito se ci fosse stato qualcosa che non andasse… ma in tal caso, cosa avrebbe potuto fare? Se fossero occorse delle riparazioni, sarebbe dovuto tornare su Terminus, dove sicuramente il Sindaco Branno gli avrebbe impedito di ripartire. E se non fosse ripartito…
Il cuore gli batteva forte; era inutile prolungare deliberatamente la tensione.
Tese in avanti le mani e le posò entro i contorni sulla scrivania. Subito, ebbe l’impressione che un altro paio di mani stringesse le sue. I suoi sensi si estesero, e Trevize vide Gaia in tutte le direzioni, verdeggiante e umida; vide i gaiani che stavano ancora osservando. Quando con la volontà alzò lo sguardo, vide un cielo nuvoloso. Altro intervento della volontà, e le nubi svanirono, e lui si ritrovò a contemplare una distesa ininterrotta di cielo azzurro, con il disco del sole di Gaia filtrato.
Poi, sempre dietro suo comando, la distesa azzurra lasciò il posto alle stelle.
Trevize le spazzò via, e vide invece la Galassia, simile ad una girandola osservata in prospettiva. Controllò l’immagine computerizzata, regolandone l’orientamento, alterando l’apparente sfasamento temporale, facendola ruotare prima in un senso, quindi in quello opposto. Individuò il sole di Sayshell, la stella più importante vicino a Gaia; poi il sole di Terminus; poi quello di Trantor; uno dopo l’altro. Viaggiò di stella in stella nella mappa galattica racchiusa nelle viscere del computer.
Infine, staccò le mani, lasciando che il mondo reale lo circondasse di nuovo… e si rese conto di essere in piedi, chino sul computer per il contatto manuale. Si sentiva irrigidito, e dovette distendere i muscoli del dorso prima di sedersi.
Fissò il computer avvertendo una calda sensazione di sollievo. Funzionava perfettamente. Anzi, la sua sensibilità sembrava anche maggiore, e Trevize provava per il computer qualcosa di definibile solo con la parola “amore”. Dopo tutto, quando Trevize stringeva le mani della macchina (di fronte a se stesso, si rifiutò di ammettere che le considerasse le mani di lei) lui ed il computer si fondevano, e la volontà di Trevize controllava un insieme più grande, ne faceva parte, viveva un’esperienza particolare. Lui e il computer provavano su scala ridotta (rifletté d’un tratto, turbato) quello che Gaia provava su scala planetaria.