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Proprio nel bel mezzo del roseto era stato piazzato un cannone, colle ruote sprofondate nel terreno, e intorno c’erano i serventi. La postazione era illuminata a giorno da un riflettore appeso a un albero, e bastava un’occhiata per vedere come erano stati ridotti i fiori.

Bentley partì furibondo alla volta del cannone, spingendo con una gomitata uno dei serventi; pareva un gallo da combattimento, quando si piazzò davanti a un giovane ufficiale.

— Avete avuto una bella faccia tosta a venir qui mentre il proprietario era assente… — cominciò.

— Siete voi il proprietario? — domandò il capitano che comandava la postazione.

— No. Ma sono il responsabile. Il proprietario mi ha incaricato di sorvegliare in sua assenza…

— Spiacenti, signore, ma abbiamo dovuto eseguire gli ordini — spiegò l’ufficiale.

— Avevate avuto ordine di piazzare il cannone proprio in mezzo all’aiuola di Eunice? — strillò Bentley.

— Non esattamente. Ma non abbiamo potuto evitarlo, dal momento che ci è stato ordinato di piazzare il cannone in modo da coprire l’imbocco del tunnel.

— Che idiozie! — esclamò Bentley. — Che bisogno c’era di coprire l’imbocco del tunnel con un cannone, quando continuano a uscire quei poveri disgraziati?

— Non lo so, nessuno si è preso la briga di spiegarmelo — disse l’ufficiale. — Ho ricevuto degli ordini e mi sono limitato a eseguirli, fiori o non fiori, proprietario o non proprietario.

— Bel modo di comportarsi. Non certo da ufficiale né da gentiluomo. Nessun ufficiale piazzerebbe un cannone in mezzo a un roseto e nessun ufficiale lo punterebbe contro un branco di profughi…

Un urlo lacerante costrinse Bentley a voltarsi, e così notò che stava succedendo qualcosa di terribile nel tunnel. Continuava a uscire gente, ma non più in file ordinate come fino a un momento prima. Uscivano di corsa, scavalcandosi l’un l’altro, e alle loro spalle, pronto a scagliarsi loro addosso, c’era un mostro che l’inorridito Bentley sul momento non riuscì nemmeno a distinguere. Ebbe una confusa impressione di denti aguzzi, di mascelle bavose, di artigli che sporgevano da enormi zampe pelose, di una potenza e di una ferocia terribili, e, quasi di riflesso, le sue mani corsero a una delle macchine appese al collo e se la portò agli occhi.

Attraverso l’obiettivo vide che il mostro non era uno solo, ma due. Uno stava per uscire dal tunnel, l’altro era subito dietro. Bentley vide volare per aria corpi come bambole di stracci, mentre altri restavano schiacciati sotto i piedi dei mostri. E vide anche dei tentacoli, e rimase incerto se quei mostri fossero animali o polipi.

Alle sue spalle risuonarono bruschi ordini, il cannone vomitò una vampata di fuoco che illuminò le case e i giardini circostanti. Seguì un violento schianto e ci fu un attimo di estrema confusione. Il tunnel era scomparso, con un’esplosione che fece eco a quella del cannone, ma che scosse i nervi in modo violento, e poi non restarono che corpi straziati, rottami e un mostro morto che fumava come se fosse bruciato. Ma se uno giaceva esanime ai piedi della quercia nel punto dove poco prima c’era lo sbocco del tunnel, l’altro era vivo, e per qualche istante ci fu un caos di mostri, cannoni, serventi e gente che scappava urlando di terrore.

Bentley, che era caduto, si rialzò barcollando e notò con una sola occhiata che tutti i serventi al pezzo erano morti, il cannone era stato rovesciato e fumigava, mentre dalla strada continuavano a provenire urli al passaggio di qualcosa che procedeva a velocità incredibile, enorme e scura, scavalcando una siepe, abbattendo un muretto, urtando contro una palizzata, che esplose in frantumi di legno dipinto di bianco.

Bentley si precipitò in cucina e afferrò il telefono pregando che funzionasse. Fece un numero.

— Global News — rispose una voce aspra. — Manning.

— Tom, qui Bentley.

— Sì. Cosa c’è? Dove sei?

— A casa di Joe. Ho notizie.

— Sei sobrio?

— Ho bevuto solo un paio di bicchierini prima di tornare a casa, e appena arrivato ho trovato un cannone in mezzo al roseto di Eunice.

— Lo sapevo già. Hanno fatto piazzare cannoni all’imbocco di tutti i tunnel. Non hanno detto perché.

— Il perché lo so io.

— Be’, questo comincia a interessarmi.

— Lo immagino. È uscito un mostro dal tunnel…

— Un mostro? Che specie di mostro?

— Be’, non saprei descrivertelo — disse Bentley. — Non ho avuto modo di vederlo bene. E poi erano due, non uno solo. Uno l’ha ammazzato una cannonata, ma l’altro è scappato dopo aver ucciso i soldati e rovesciato il cannone. È scappato distruggendo muri e palizzate. C’è un mostro in libertà…

— Calmati, Bentley — disse Manning. — Cerca di parlare più piano. Dunque, un mostro è riuscito a scappare…

— Sì, dopo aver ammazzato tutti i soldati e probabilmente altre persone. Il tunnel è scomparso e in giardino è rimasto un mostro morto.

— Cerca un po’ di spiegarmi che tipo di mostro è.

— Non posso — rispose Bentley. — Ma l’ho fotografato.

— Quello morto, immagino.

— No, quello vivo. Come vuoi che m’interessasse quello morto quando ce n’era uno vivo?

— Stammi a sentire, Bentley. Sei in condizioni di guidare?

— Certo. Non ho appena guidato fin qui?

— Bene. Manderò lì qualcuno. Tu vieni qui al più presto con le foto. E, Bentley…

— Sì?

— Sei sicuro di aver visto bene? C’è davvero un mostro?

— Sicurissimo, altroché! Dopotutto ho bevuto solo un paio di bicchierini.

21

Steve Wilson uscì nell’atrio alla ricerca di un panino e di un po’ di caffè. C’erano ancora una decina di giornalisti.

— Nessuna novità, Steve? — domandò Carl Anders dell’Associated Press.

Wilson fece un cenno di diniego. — Pare che tutto sia tranquillo. Se fosse successo qualche cosa, me lo avrebbero comunicato.

— E ce l’avreste detto?

— Ve l’avrei detto — asserì brusco Wilson. — Sapete bene che gioco pulito con voi.

— Davvero? E i cannoni?

— Una semplice precauzione. C’è qualche panino o li avete mangiati tutti?

— Là nell’angolo, Steve — disse John Gates del Washington Post.

Wilson mise due panini su un piatto e prese una tazza di caffè, poi andò a sedersi accanto a Gates.

Arrivò anche Anders, con una sedia, e Henry Hunt del New York Times, che si mise seduto accanto a Gates dal lato opposto di Wilson.

— È stata una giornata campale, Steve — disse.

— Dura — confermò Wilson masticando un boccone.

— E adesso cosa succede? — domandò Anders.

— Mah, non lo so di preciso, ma non credo niente di nuovo, se no lo saprei, e ve lo avrei detto.

— Potete parlare, no?

— Certo che posso parlare, ma non ho niente da dire.

— Ma la vostra opinione in merito a quello che sta succedendo qual è? — volle sapere Gates.

— È difficile spiegarlo. Troppo recente, ancora, e troppo insolito. Ma, comunque, sono giunto alla conclusione che quella gente viene davvero dal futuro. Se anche non fosse così, ormai ci sono e dobbiamo per forza fare qualcosa. Non importa da dove vengono.

— Quindi non siete ancora veramente convinto.

— Del fatto che vengano dal futuro? No, su questo ormai non credo di avere più dubbi. Perché dovrebbero mentire? Che cosa ci guadagnerebbero?

— Però…

— Un momento… quanto sto dicendo sono supposizioni mie e non voglio che ne facciate oggetto di illazioni avventate. Stiamo chiacchierando tra amici, d’accordo?