Wilson dovette dominarsi per mantenere la calma. — Mettiamoci a sedere e parliamone — disse. — Ma a bassa voce. Non credo che ci sia nessuno, nei paraggi, ma è meglio essere prudenti.
Presero tre sedie e andarono a sedersi al buio.
— E adesso ditemi quali sarebbero i vostri progetti — disse Wilson.
— Abbiamo pensato che, vendendo oculatamente i diamanti, potreste rifarvi almeno in parte delle spese che incontrerete per aiutarci. Non solo voi, ma tutti i governi e i popoli della Terra. Potreste istituire un fondo comune, per esempio e, una volta vendute le pietre, potreste disporre del ricavato in modo…
— Ma…
— Prevengo la vostra obiezione. Volete dire perché non abbiamo distribuito i diamanti ai governi di tutte le nazioni, non è vero? I motivi che ci hanno indotto a non farlo sono due. Più gente viene informata, maggiori sono le probabilità che la notizia trapeli. Perché i diamanti si possano vendere a un prezzo sostenuto è meglio che solo pochi sappiano della loro esistenza. Noi del futuro, infatti, lo sappiamo solo in sei, e qui nel vostro mondo per ora siete voi il solo a esserne informato. E poi è una questione di fiducia. Dalle indagini storiche che abbiamo fatto, risulta che pochi sono i governi di questo periodo dei quali ci si possa fidare: il vostro e quello inglese. Dopo studi e discussioni abbiamo deciso per gli Stati Uniti. In un primo momento, avevamo pensato di affidare le gemme all’ONU, ma, a dirla schietta, non avevamo molta fiducia nell’ONU. Io ebbi così l’incarico di consegnare la borsa nelle mani del Presidente, ma poi, constatando come fosse già carico di preoccupazioni e problemi, e come le sue decisioni dipendessero dal giudizio di altri, ho cambiato idea.
— Io sono sicuro di una sola cosa — disse Wilson. — Non potete continuare ad andare in giro portandovi appresso questa borsa. È troppo rischioso. Bisogna metterla in un posto sicuro. A Fort Knox, magari, se il governo sarà disposto ad accettarla.
— Volete dire che sarebbe meglio se la mettessi sotto custodia, signor Wilson? No, non sono di questo parere.
— Santiddio, non lo so. Non so cosa sia meglio fare. — Prese il telefono e formò un numero. — Jane, sei ancora di turno? Sai se il Presidente si è ritirato?
— Sì, un’ora fa.
— Bene. Avrebbe dovuto coricarsi prima.
— Si tratta di una cosa importante, Steve? Ha lasciato detto di chiamarlo in qualunque momento.
— No, no, non è urgente. Credi di potermi pescare Jerry Black?
— Proverò. Dev’essere ancora nei paraggi.
Il silenzio della stanza era rotto solo dal ticchettio delle telescriventi. Alice si mosse inquieta sulla sedia e mormorò: — Ci spiace di avervi disturbato, signor Wilson. Ma non sapevamo proprio cosa fare.
— Oh, non preoccupatevi.
— Voi non sapete cosa significhi questo per noi — continuò la ragazza. — Gli altri lo sapranno dopo, ma noi ci sentiamo la coscienza a posto. Non siamo venuti come parassiti o mendicanti.
Si udirono dei passi nell’atrio e la porta si aprì.
— Cosa c’è, Steve? — domandò Jerry Black.
— Mi occorrono un paio di uomini — disse Wilson.
— Uno sono io — rispose Black. — Vado a cercartene un altro.
— Si tratta di un favore personale. Non è un incarico ufficiale e agisco di mia iniziativa. Così sarà almeno fino a domattina, quando avrò informato il Presidente.
— D’accordo. Poi deciderà il Presidente. Ma adesso cosa vuoi?
— Il signor Gale ha una borsa di cui non ti rivelo il contenuto. È meglio per te se non lo sai. Ma si tratta di una cosa importantissima. E voglio che sia messa in un posto sicuro finché non sapremo che uso farne.
— Presto fatto. Ma perché ti occorrono due uomini?
— Mi sentirei più tranquillo.
— Non preoccuparti. Provvedo subito. — E prese il telefono.
32
L’alba stava tingendo di grigio il cielo a levante, quando Enoch Raven si sedette alla macchina per scrivere. Dalla finestra si vedevano le verdi colline della Virginia, e in mezzo agli alberi e ai cespugli alcuni uccelli si erano già svegliati e cominciavano a cinguettare.
Enoch fletté alcune volte le dita sulla tastiera, poi cominciò a scrivere, senza mai interrompersi per pensare. Si era fatto una regola di pensare prima a tutto quello che doveva scrivere, rifinendolo e sviluppandolo in tutti i particolari, per poi battere a macchina senza interrompersi, dalla prima parola all’ultima.
Ecco cosa scrisse: “Il mondo si trova oggi a dover fronteggiare una crisi tanto grave quanto insolita e imprevista. Ma, comunque stiano le cose, dobbiamo cercare di risolverla, e al più presto. Il problema della sovrappopolazione era già molto grave, ma ora, dopo la venuta dei profughi dal futuro, nessuno può negare che la situazione non sia drammatica. Gli stessi profughi si rendono onestamente conto della gravità della situazione venutasi a creare con la loro presenza e ci daranno tutta la loro assistenza coi mezzi a loro disposizione, per risolverla. Per aiutarci cioè a costruire quei tunnel temporali con cui ci lasceranno per andare a stabilirsi in un passato più remoto. Ma la loro collaborazione e buona volontà non bastano, bisogna anche che ciascuno di noi si impegni. E quando dico ciascuno di noi, lo dico alla lettera, non è un modo di dire.
“Bisogna che siamo tolleranti, disposti al sacrificio e a sopportare taluni inconvenienti. È probabile che i cibi scarseggeranno e non saranno più buoni come prima. Dovremo aspettare prima di potere avere un’auto nuova, o una falciatrice o una lavastoviglie. Mentre in un periodo normale l’energia economica è volta alla produzione e alla distribuzione di beni di consumo e ai servizi di pubblica utilità, ora questa energia sarà volta a compiere ogni sforzo possibile per aiutare i nostri fratelli del futuro a recarsi in un passato più lontano e a rifornirli dei mezzi necessari per iniziare una nuova vita. A Detroit verrà forse dato l’incarico di fabbricare aratri, invece che automobili, per esempio. Il Presidente Henderson ha agito oculatamente nel promulgare il decreto di chiusura delle banche e delle borse e nell’ordinare il congelamento dei prezzi e dei salari, ma avrebbe dovuto anche formularne uno contro l’accaparramento. Capisco come sia difficile, sotto la pressione degli eventi, e con tali e tanti problemi da risolvere, agire per via burocratica in modo da provvedere subito al razionamento dei generi di prima necessità, ed è anche comprensibile come il signor Henderson, per motivi politici, sia stato riluttante a prendere misure così drastiche e antipopolari. Ma è proprio agendo drasticamente e prendendo provvedimenti antipopolari che potremmo più facilmente conseguire lo scopo che ci proponiamo.
“Inoltre, non sta a noi soli agire, e mi auguro che quando queste righe vedranno la luce, anche altri Paesi avranno adottato le misure necessarie a fronteggiare la crisi. Il problema che dobbiamo risolvere è un problema di portata mondiale, e tutti hanno il dovere materiale e morale di dare il loro contributo.
“La venuta dei profughi dal futuro, oltre ai problemi economici, ne ha sollevati altri di ordine morale, intellettuale e religioso, come dimostra, per esempio, l’azione intrapresa dal reverendo dottor Jake Billings, allorché è venuto a sapere che nell’immediato futuro l’umanità abbandonerà la fede religiosa. E questo non è che un esempio, a cui potranno indubbiamente seguirne altri che, tenetelo presente, anche se provocati da sentimenti sinceri, non serviranno però alla soluzione degli impellenti problemi materiali, e anzi potranno intralciarla.
“Inoltre, inutile nasconderlo, i provvedimenti che verranno — o non verranno — presi ad alto livello, saranno suscettibili di violente critiche, il cui unico risultato sarà, anche in questo caso, di intralciare o ritardare la soluzione dei problemi pratici. Gli uomini di Washington, di White Hall o del Cremlino potranno sbagliare, ma l’opinione pubblica di tutti i Paesi deve rendersi conto che non si tratta di errori provocati da intenti disonesti o stupidi, ma commessi in buona fede, con l’intenzione di agire per il meglio. Perché, qualunque decisione prendano, saranno spinti dal loro interesse — non dimentichiamo — oltre che dal desiderio di aiutare i profughi. Più presto riusciranno a partire, meglio sarà per tutti, popoli e governi. Comunque possiate pensarla o giudicare, non dovete dimenticarlo.