— Ma se continuiamo a tacere sarà peggio. Cominceranno a circolare voci tendenziose, e il nostro silenzio verrà condannato. Inoltre, bisogna mettere in guardia la popolazione. I mostri sono pericolosi.
— Fra pochi giorni — intervenne il generale Foote — le montagne pulluleranno di mostri adulti. Potremo ucciderne qualcuno, ma non certo tutti. L’unico modo di ottenere qualcosa è impegnare l’esercito in un’enorme battuta.
— Tenete presente che sono esseri intelligenti. Non si fermeranno tutti nello stesso posto, perché per loro sarebbe troppo pericoloso — disse Wolfe. — Inoltre, sono velocissimi. Ora di domani saranno arrivati fin su, nel New England, e giù, in Georgia. Dapprima resteranno nelle zone montuose dove potranno nascondersi più facilmente, ma in un secondo tempo si spargeranno ovunque.
— Fra quanto tempo credete che i piccoli saranno in grado di deporre le uova? — domandò Wilson.
— Chi lo sa! — rispose Wolfe allargando le braccia.
— Pressappoco?
— Mah… una settimana, forse due. Francamente non lo so.
— E quante uova depongono in ogni covata?
— Credo una ventina, ma non ne sono sicuro perché abbiamo trovato solo pochissimi nidi.
— E quando cominciano a uccidere?
— Subito. Appena nati. Devono mangiare per poter crescere. E per procurarsi il cibo devono uccidere. Dapprima animali selvatici e da cortile, e, se capiterà, esseri umani. Ma non subito, penso, perché uccidendo delle persone attirerebbero troppo l’attenzione. Sono troppo pochi, per ora, per sentirsi sicuri. Sono degli assassini, forse degli psicopatici, dal nostro punto di vista, ma certamente non sono stupidi.
— Possiamo impegnare le truppe — disse il Presidente. — Aerei ed elicotteri serviranno a individuarli dall’alto. Ho parlato poco fa con Sandburg per telefono. Fra poco sarà qui. Sa lui quel che si deve fare. Probabilmente dovremo chiamare gli uomini della riserva e parte di quelli di stanza all’estero. Non dimentichiamoci che oltre che dar la caccia ai mostri, dobbiamo occuparci del mantenimento dei campi dei profughi.
— E noi non vogliamo starcene con le mani in mano — disse Wolfe. — Dateci delle armi e ci uniremo ai vostri soldati. Noi conosciamo i mostri e purtroppo è colpa nostra se adesso sono qui. È nostro dovere…
— Ne parleremo dopo — lo interruppe il Presidente — non temete, con tutto il da fare che c’è, non resterete con le mani in mano. Ma ora come ora sarebbe rischioso mettervi in campo. L’opinione pubblica potrebbe reagire in modo sbagliato se vi armassimo… sono certo che mi capite. Per ora è meglio che contiamo solo sui nostri uomini.
— E la gente che vive sulle montagne? — domandò Wilson. — Bisogna farla sfollare?
— Non credo, Steve — rispose il Presidente. — Abbiamo già abbastanza da fare a sistemare i profughi. E poi, come diceva il dottor Wolfe, sono propenso a credere che, per i primi giorni, i mostri non saranno troppo aggressivi. Succederanno, forse, degli incidenti, ma faremo di tutto per evitarli.
— Ho parecchio da fare — disse il generale Foote alzandosi. — Questa sarà una giornata molto laboriosa, perciò, se non c’è altro…
Anche Wolfe si alzò. — Grazie per essere venuti — disse il Presidente stringendo la mano ai due uomini.
— Devo convocare subito la stampa o devo aspettare finché non avrete parlato col Segretario alla Difesa? — domandò Wilson alzandosi a sua volta.
Il Presidente ci pensò su un momento. — Credo che sia meglio farlo subito — disse poi. — I militari hanno posto la censura e i posti di blocco, ma non sarebbe possibile tenere a lungo nascosta la cosa. Alcuni rappresentanti dell’opposizione hanno chiesto di conferire con me. Penso che sia meglio divulgare la notizia prima della loro venuta.
— C’è ancora un’altra cosa — disse Wilson. — Siccome non era urgente, non ho voluto svegliarvi. C’è una borsa piena di diamanti…
— Diamanti? Cosa c’entrano adesso i diamanti?
— È una cosa un po’ imbarazzante — proseguì Wilson. — Ricordate la borsa che Gale aveva con sé?
— Conteneva dei diamanti?
— Era piena zeppa di sacchetti di pietre preziose. Gale ne ha aperto uno e me ne ha mostrato il contenuto. Diamanti splendidi. Ha detto che anche gli altri sacchetti contenevano diamanti, e gli credo. Pare che i profughi li abbiano portati per sdebitarsi in qualche modo con noi.
— Mi sarebbe piaciuto vedere la tua faccia quando ti ha mostrato i diamanti — disse il Presidente. — E tu cos’hai fatto?
— Ho chiamato Jerry Black e gli ho raccomandato di non perdere di vista Gale un minuto. Ho pensato che fosse meglio che continuasse a tenere lui le pietre, per il momento.
— Già, non vedo che altro avresti potuto fare. Ne parlerò al Segretario al Tesoro e controllerò col procuratore generale gli aspetti legali della questione, prima di accettare le pietre. Sai a che valore ammontino?
— Gale dice che ai prezzi attuali superano il trilione di dollari. Naturalmente bisognerebbe venderli poco per volta per non provocare il crollo dei prezzi. E non sono solo per noi. Gale li ha consegnati a noi dicendo di aver più fiducia nel governo degli Stati Uniti che in quello di altri Paesi, però con il ricavato della vendita si dovrebbe costituire un fondo comune.
— Ti rendi conto di che gatta da pelare ci hanno dato? Se la notizia trapela…
— Bisogna apprezzare il gesto — ribatté Wilson. — Loro l’hanno fatto per sdebitarsi in qualche modo e pagarsi il biglietto per il Miocene.
— Certo, capisco. Staremo a sentire che cosa ne dice Reilly.
34
Fin dalle prime ore del mattino, la folla aveva cominciato a radunarsi nel Parco Lafayette, al di là della strada, di fronte alla Casa Bianca. Era una folla calma e silenziosa, come quella del giorno prima, ma adesso campeggiavano qua e là dei cartelli. Su uno era scritto a grandi lettere rozze:
Su un altro:
E su un terzo:
Un giornalista si fece strada in mezzo alla calca puntando verso il giovanotto zazzeruto che reggeva il primo cartello.
— Cosa sta succedendo? — domandò. — Cosa volete?
— Non sai leggere? — replicò brusco l’altro — e sì che è chiaro.
— Non riesco a capire cosa volete dimostrare.
— Niente, stavolta non vogliamo dimostrare niente. Nel passato ci abbiamo provato, e cosa abbiamo ottenuto? Niente. Lui là — disse indicando la Casa Bianca — è sordo. Tutti sono sordi, oggi.
— Non vogliamo dimostrare né provare niente — disse di rincalzo una ragazza che stava lì vicino. — Ci limitiamo a dire che vogliamo andare nel Miocene.
— O anche nell’Eocene o nel Paleocene — aggiunse una seconda ragazza. — In qualunque posto purché sia lontano da questo schifo di mondo. Vogliamo ripartire da zero. Vogliamo costruire un mondo nuovo, come lo desideriamo noi. Sono anni che facciamo di tutto per cambiare la società, senza aver ottenuto un cavolo. Visto il risultato, pensiamo di piantare qui tutto e ricominciare daccapo da un’altra parte. Ma la società non ce lo permetterà di certo.
— Abbiamo trovato finalmente il sistema di farla finita qui. Se quella gente è capace di andare nel passato, non c’è motivo perché non ci andiamo anche noi — disse il giovane. — Secondo me, un mucchio di gente sarebbe felice di vederci andar via.
— Immagino che si tratti di un nuovo movimento — disse il cronista. — In quanti siete?