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— Ci vorranno un sacco di soldi.

— Ho parlato con gente di cui mi posso fidare. Molti sono propensi a starci. Se la cosa sarà fattibile, non mancheranno certo i fondi.

Judy Gray salì sull’aereo e si mise seduta al suo posto. Guardò dal finestrino, vide i furgoni di servizio attraverso le lacrime che le appannavano gli occhi, le si asciugò col dorso della mano.

— Quell’animale — mormorò fra i denti. — Quel sozzo figlio di buona donna…

40

Tom Manning disse con circospezione al telefono: — Steve, ho sentito delle voci.

— Trasmettile per telescrivente — disse Wilson. — Se no, cosa stai lì a fare? Trasmettile a maggior gloria della vecchia Global.

— Adesso che hai fatto sfoggio del tuo penoso umorismo, possiamo passare alle cose serie?

— Se è un tentativo di incastrarmi per avere la conferma delle voci che hai sentito, non funziona.

— Mi conosci bene, Steve.

— Appunto perché ti conosco…

— D’accordo. Se la metti così… Cominciamo dal principio. Stamattina il Presidente ha ricevuto l’ambasciatore russo.

— L’ambasciatore ha già rilasciato una dichiarazione alla stampa.

— Sì, certo. Sappiamo quello che ha detto, e quello che hai aggiunto tu oggi pomeriggio. Il che è molto poco. Ma nessuno ha creduto una parola di quello che avete detto.

— Mi spiace, Tom. L’ambasciatore ha detto quel che era tenuto a dire, e io non so altro.

— Va bene, voglio crederti. Può darsi che non ti abbiano messo al corrente. Ma circolano delle voci spiacevoli all’ONU. Così almeno ha riferito il nostro corrispondente da New York. Mi ha telefonato, e io gli ho detto di non divulgare la notizia finché non ti avessi parlato.

— Tom, non ho la minima idea di che cosa tu stia parlando. Ti assicuro ancora una volta che non so altro. E non credo che ci sia altro.

— Bene, allora ti dirò cosa mi hanno riferito, Steve. Morazov ha conferito col Presidente e con Williams a nome del suo governo. I russi offrono di inviare truppe per aiutarci a debellare i mostri.

— L’hai saputo da una fonte attendibile? Sei sicuro al cento per cento?

— Mi sono limitato a riferirti quello che mi ha detto il nostro corrispondente da New York.

— Cioè Max Hale.

— Sì, è uno dei nostri uomini migliori. Abilissimo nello scoprire la verità.

— Sì, sì lo conosco.

— L’informatore di Hale gli ha detto che oggi stesso l’ONU sarà informata del nostro rifiuto di accettare l’aiuto russo, e verrà fatta richiesta perché ci si obblighi ad accettare l’invio di truppe di altre nazioni. Dice che, se non accetteremo, verremo accusati di negligenza.

— La solita farsa — commentò Wilson.

— Non è tutto. Se non accetteremo l’aiuto straniero e non riusciremo a tenere i mostri sotto controllo, verrà richiesto all’ONU che tutta la zona sia sottoposta a bombardamento atomico. Il mondo non può correre il rischio.

— Aspetta un momento — lo interruppe Wilson. — Non vorrai trasmettere quello che mi hai detto?

— No, almeno per adesso. Anzi, spero di non doverlo fare mai. Ti ho telefonato proprio per questo. Se le voci sono arrivate fino a Hale, è molto probabile — anzi certo — che anche altri vengano a saperle e le pubblichino.

— Sono sicuro che sono tutte invenzioni — ribatté Wilson. — Perdio, siamo tutti sulla stessa barca. Almeno in questo momento si potrebbero lasciare in disparte le schermaglie politiche. Tom, mi rifiuto di crederci.

— Non ne sai proprio niente? Sul serio?

— Te l’ho già detto.

— Sai — disse Manning — non vorrei essere al tuo posto neanche per un milione di dollari, Steve.

— Adesso riattacca, Tom, e aspetta a trasmettere. Dacci il tempo di controllare.

— Sta’ tranquillo. Aspetto; a meno che non succeda qualcosa che mi ci costringa, aspetto. Comunque ti terrò informato.

— Grazie, Tom. Un giorno…

— Un giorno, quando tutto questo sarà finito — disse Manning — andremo in un bar a prenderci una sbronza colossale.

— Prenota i posti — disse Wilson.

Dopo aver riappeso, chiamò la segretaria del Presidente. — Kim, sei ancora lì? Ho bisogno di vedere subito il Presidente. Cerca di farmi passare appena possibile. È una cosa urgente.

— Ci vorrà un po’ di tempo, Steve — rispose Kim. — È in corso una riunione.

In attesa della chiamata, Wilson si lasciò andare sulla sedia e chiuse gli occhi. Voleva concentrarsi, pensare, ma aveva troppo sonno. Si drizzò, aprendo gli occhi. Non era il momento di dormire, ma giurò a se stesso che quella notte sarebbe andato a casa a fare una bella dormita.

41

Il sergente Gordon Fairfield Clark disse al colonnello Eugene Dawson: — L’avevo sul mirino, e poi, zac, è sparito. Scomparso di punto in bianco. Sono pronto a giurare che non si è mosso. L’avevo già visto muoversi. I mostri sono velocissimi, è vero, ma sono riuscito a vederlo. Era come uno di quei fumetti dove il disegnatore, per indicare qualcosa che va in fretta, fa delle spirali. Ma quando stavo per sparargli, ed è scomparso, non ho visto nessun movimento indistinto. È scomparso, tutto qui.

— Vi aveva visto, sergente?

— Io non credo, signor colonnello. Ero ben nascosto e mimetizzato. E non mi sono spostato di un millimetro. Ho solo puntato il lanciarazzi.

— Allora avrà visto uno dei vostri uomini.

— Signor colonnello, i miei uomini li ho addestrati tutti io. Non occorre che vi dica altro. Mi conoscete e sapete che non sono né tenero né di facile contentatura. No, quando i miei uomini stanno nascosti, nessuno riesce a vederli o a sentirli.

— Pure, qualcosa dovrà bene aver visto, o sentito. Ha avuto sentore del pericolo ed è sparito. Siete sicuro di questa sparizione, sergente?

— Vi do la mia parola, signor colonnello.

Dawson stava seduto su un tronco d’albero. Si chinò a raccogliere un ramoscello e cominciò a piegarlo e a ridurlo in pezzetti. Clark stava accovacciato immobile vicino al lanciarazzi.

— Sergente — riprese il colonnello — non so proprio cosa diavolo fare né pensare. Nessuno sa cosa fare. Appena scoviamo un mostro, prima di fare in tempo a stenderlo, zac, quello scompare. Ne abbiamo scovati parecchi, e sono sicuro che siamo in grado di sterminarli, con tutti gli uomini e le armi che abbiamo. Ma finora non siamo riusciti a eliminarne uno che sia uno. Se ci fosse il tempo di far evacuare gli abitanti della zona, per poi bombardarla, tutto si risolverebbe in quattro e quattr’otto. Ma non c’è il tempo, e poi di sfollati da sistemare ne abbiamo già abbastanza.

— Ma anche se riuscissimo a farne fuori qualcuno, signor colonnello…

— Giusto. Se anche riuscissimo a far fuori quelli che abbiamo scovato e che sono scomparsi, il problema non sarebbe risolto. Ne resterebbero centinaia in libertà, e fra un mese diventeranno migliaia, e mentre noi cerchiamo di stanarli in montagna, loro magari scendono in pianura e distruggono qualche accampamento militare o s’intrufolano nelle città.

— Signor colonnello, è peggio che nel Vietnam, ve lo dico io. E sì che nel Vietnam c’era poco da scherzare.

— Finora nessuno è riuscito a farcela — disse il colonnello, alzandosi. — E anche questa volta riusciremo a cavarcela. Ma dobbiamo prima scoprire come. Tutte le armi e tutti i trabocchetti del mondo non serviranno, se non scopriamo il sistema di evitare che spariscano proprio quando li teniamo sotto tiro.

Anche il sergente si alzò, mettendosi sottobraccio il lanciarazzi.

— Be’, torniamo al lavoro — disse.

— Avete visto un fotografo, nei paraggi?

— Un fotografo? Che fotografo? Non ho visto nessun fotografo, io.