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— Ha detto di chiamarsi Price e di dipendere da un’agenzia stampa — spiegò il colonnello. — Si è perso e ho già dato ordine che lo cerchino.

— Se lo trovo, gli metto il sale sulla coda — disse il sergente.

42

Il reverendo Jakc Billings stava conferendo con Ray MacDonald, che era stato il suo vice direttore nelle public-relations e che da mezza giornata aveva ricevuto l’incarico di dirigere la crociata.

— Non credo che quelle crocifissioni gioveranno alla nostra causa, Ray — disse il reverendo Billings. — Troppo brutali. Direi senz’altro controproducenti. Come ha scritto un giornale di Washington…

— Ne hanno già parlato i giornali? Non credevo che la reazione fosse così subitanea.

— Purtroppo invece c’è stata ed è molto spiacevole — disse il reverendo Billings. — Su quel giornale c’era scritto che la crocifissione è stato un tentativo di cattivo gusto. È saltato fuori che le braccia del giovane erano legate con cinghie alla croce, e non inchiodate. L’articolo aveva nel complesso un tono ironico, però…

— Ma si sono sbagliati — disse MacDonald.

— Perché non hanno adoperato i chiodi?

— No, non alludevo a questo. Anzi, è esatta la versione delle cinghie. I Romani non inchiodavano i crocefissi, ma li legavano.

— Volete venirmi a raccontare che i Vangeli mentono?

— Ma no! Volevo solo dire che abitualmente — ma non sempre, forse — legavano i condannati alla croce, non li inchiodavano. Abbiamo fatto delle ricerche, e…

— Le vostre ricerche non mi interessano — tagliò corto gelidamente Billings. — Quel che m’interessa è che avete dato la possibilità a un giornalista di fare dello spirito ai nostri danni. Ma chiodi o non chiodi, ho idea che tutto quanto fosse sbagliato dal principio. Perché, prima di agire, non ne avete parlato con me?

— Avevate tanto da fare e mi avete dato carta bianca, dicendo che io ho sempre delle idee brillanti e che vi fidavate di me.

— Ero preoccupato per quella telefonata di Steve Wilson — disse Billings. — Mi aveva sconvolto. Sono certo che la Casa Bianca ce l’ha con noi, e Wilson non perderà l’occasione di accusarci di aver voluto far sensazione a tutti i costi. Oggi ha appena accennato alla crociata, ma la prossima volta ci toglierà la pelle.

— Però abbiamo moltissima gente dalla nostra. Basta andare in campagna, nelle cittadine…

— Sì, lo so. La gente semplice, gli ignoranti. Quelli sono tutti dalla nostra, lo so, ma credete che la loro opinione valga qualche cosa? Che abbia del peso? Non tenete conto dell’influenza di molti pastori nelle chiese delle maggiori città? Immaginate cosa dirà il reverendo dottor Angus Windsor alla sua congregazione, ai giornali, al mondo? È stato lui a dare l’avvio a tutto questo, ma non è tipo da organizzare cortei con giovani che si trascinano appresso la croce per le strade e poi si fanno crocifiggere in piazza. Ho svolto per anni il mio ministero con dignità e adesso mi vedo decaduto al livello dei ciarlatani. E devo ringraziare voi per questo…

— Non è la prima volta che ricorriamo a messinscene del genere.

— D’accordo. Ma c’è modo e modo. Un po’ di senso della misura.

— Non vedo che senso della misura ci fosse, quando noleggiavamo aerei per tracciare scritte in cielo, organizzavamo parate e riempivamo le strade di cartelli.

— Quella era pubblicità onesta e legittima — precisò Billings — secondo la grande tradizione americana. Voi avete commesso lo sbaglio di scendere in piazza. Uno sbaglio pericoloso. Ci vogliono degli esperti del genere, come quei ragazzi che vogliono andare nel Miocene. Sono anni che quelli scendono in piazza, si può dire che ci sono nati. Voi, con la partecipazione a due scioperi, come avete potuto pensare di competere con loro?

— D’accordo, d’accordo, ma adesso cosa dobbiamo fare? Abbiamo sbagliato a scendere in piazza, ma cosa possiamo fare per attirare l’attenzione?

Il reverendo Billings fissava il muro con occhi vacui. — Non lo so — disse. — Proprio non lo so. Ma, qualunque cosa facciamo, ormai non credo che possa cambiare la situazione. Mi pare di sentire un rumore sgradevole: è la nostra crociata che finisce nella fogna.

43

Fu colpa del cane. Bentley Price non aveva toccato un goccio dal giorno prima. La strada era una stretta e tortuosa strada di montagna, e Bentley, esasperato fino ai limiti della sopportazione per quello che gli era successo, stava andando troppo veloce. Dopo ore di ricerca, aveva finalmente trovato il campo — non i soliti attendamenti ben curati dell’esercito, ma un semplice bivacco tirato su alla meglio — in un fitto bosco sul limitare di un torrente che scendeva impetuoso dai monti. Spinto dal senso del dovere e dalla perseveranza, si era appeso al collo un paio di macchine fotografiche e si era diretto faticosamente verso la tenda più grande, quando dalla tenda era uscito un colonnello che gli aveva intimato l’alt. Chi diavolo siete e dove pensate di poter andare, gli aveva domandato brusco il colonnello. Bentley gli aveva spiegato di far parte della Global News e di essere arrivato fin lì nella speranza di poter scattare qualche foto della caccia ai mostri, dietro ordine preciso del suo direttore. Al che, il colonnello aveva replicato che quella era zona vietata e che anzi si meravigliava che lui fosse potuto arrivare fin lì. Nessuno aveva cercato di fermarlo per impedirgli di procedere oltre? Certo, un paio di ragazzi lo avevano fermato per dirgli che doveva tornare indietro, ma lui non ci aveva fatto caso. Quando era di servizio, non badava mai a chi cercava di impedirgli di passare.

E allora il colonnello era passato alle maniere brusche. Con voce dura, tono militaresco e sguardo gelido, aveva detto che loro avevano già abbastanza rogne e non sentivano il bisogno di avere tra i piedi un cretino di fotografo in cerca di sensazioni. E se lui non avesse fatto subito dietrofront, lo avrebbe fatto scortare fuori dalla zona. Mentre il colonnello parlava, Price gli aveva scattato una foto, il che aveva — se possibile — peggiorato la situazione. Bentley, con la sua acuta sensibilità, se n’era subito reso conto e aveva dignitosamente battuto in ritirata. Quando aveva di nuovo incontrato i due soldati che avevano invano cercato di fermarlo, quelli si erano messi a ridere e gli avevano fatto marameo. Bentley aveva rallentato, incerto se scendere per cercare di farli ragionare, ma poi ci aveva ripensato. Non ne valeva la pena.

E, adesso, il cane.

La bestiola era schizzata fuori all’improvviso dai cespugli misti a canne che fiancheggiavano la strada. Aveva le orecchie basse, la coda fra le gambe e uggiolava in preda a un panico cieco. Gli si era parato davanti alla macchina a pochi metri, e lui stava andando troppo veloce. D’istinto, Bentley sterzò, la macchina uscì di strada finendo in un cespuglio. Bentley frenò e i pneumatici stridettero. Il muso della vettura sbatté violentemente contro il tronco di un vecchio noce e si fermò dopo un violento scossone. La portiera sinistra si spalancò, e Bentley, che si era sempre rifiutato di adoperare la cintura di sicurezza, venne lanciato fuori. La macchina fotografica che portava appesa al collo con una cinghia descrisse un arco e andò a sbattergli sull’orecchio sinistro con un colpo che gli fece rintronare la testa. Atterrò sulla schiena, rotolò su se stesso, e si mise carponi. Quando riuscì faticosamente ad alzarsi, vide che era finito sul bordo della strada.

E in mezzo alla strada c’era un mostro.

Bentley sapeva che era un mostro, perché il giorno prima ne aveva visti due. Questo era più piccolo, grande circa come un pony. Ma, nonostante le dimensioni ridotte, incuteva ugualmente un indicibile orrore.

Bentley Price, però, era fatto di una pasta diversa della maggioranza degli uomini. Non deglutì a vuoto, non gli si rivoltarono le budella. Le sue mani afferrarono con fermezza e precisione la macchina fotografica e la sollevarano fino agli occhi. Il mostro era inquadrato nel mirino, e lui scattò, ma, contemporaneamente allo scatto, il mostro sparì.