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— Alla luce di quanto ci è stato detto — dichiarò il Presidente — sarà meglio provvedere a quelle postazioni di artiglieria.

— Ma non abbiamo prove concrete… — cominciò il procuratore generale.

— Preferisco agire senza disporre di prove concrete, piuttosto che trovarmele davanti senza esser preparato — ribatté brusco Sandburg.

— Servitevi di questo telefono — disse il Presidente al Segretario alla Difesa, indicandogli un apparecchio. — Kim inoltrerà la chiamata.

— Quando Jim avrà finito, telefonerò io — disse il Segretario di Stato. — È meglio avvertire gli altri governi.

10

La signorina Emma Garside spense la radio e rimase a sedere in silenzio, eretta sulla sedia, con un senso di rispetto e ammirazione verso se stessa per la brillante idea che le era balenata. Non le capitava spesso (anzi, era la prima volta) di sentirsi così, perché, sebbene fosse orgogliosa, era anche portata alla timidezza nel pensare e nell’agire. Il suo era un orgoglio intimo, espresso in rari casi e in maniera molto velata solo alla signorina Clarabelle Smythe, la sua più cara amica. Era un orgoglio che Emma teneva chiuso in cuore, che la consolava, anche se a volte si ritraeva un pochino quando non poteva fare a meno di ricordare il ladro di cavalli e l’uomo che era stato impiccato per un nefando delitto. Emma non aveva mai accennato al ladro di cavalli e all’impiccato, con Clarabelle.

Il sole di quella domenica pomeriggio entrava dalle finestre che guardavano a ponente, cadendo sul tappeto logoro su cui dormiva acciambellato il vecchio gatto. Nel giardino sul retro della casa malandata un uccellino cinguettava con insistenza, accingendosi forse a un’altra incursione nella siepe di ribes. Ma Emma non ci badava.

Le era costato molto tempo, fatica, denaro, aveva scritto molte lettere e viaggiato, ma ne era valsa la pena. Perché nessun altro dei suoi concittadini era in grado come lei di risalire ai propri antenati, fino alla Rivoluzione e ancora più indietro, ai tempi degli inglesi e dei loro piccoli villaggi ormai sepolti nei secoli. E anche se fra gli antenati c’erano il ladro di cavalli e l’impiccato, oltre a qualche altro tipo un po’ dubbio e poco raccomandabile, esisteva in compenso una larga fioritura di proprietari terrieri e solidi agricoltori, e perfino, sullo sfondo, l’accenno a un castello, anche se lei non era mai stata in grado di provare che era esistito davvero.

E adesso! Era riuscita a riandare nel passato fin dov’era possibile, grazie all’abilità e ai documenti trovati. Ma ora — bastava averne il coraggio — avrebbe potuto procedere dalla parte opposta, nel futuro! Conosceva tutti i suoi antenati, e avrebbe avuto la possibilità di fare la conoscenza coi suoi discendenti. Se quella gente veniva davvero dal futuro, come aveva detto la radio, era una cosa fattibile. Sarebbe andata a cercare quelli che provenivano dalla zona del New England, e avrebbe cominciato a fare domande. Non sarebbe stato facile, forse. Avrebbe dovuto far molte domande. Scusate, ci sono dei Garside, dei Lambert o dei Lawrence nel vostro albero genealogico? Be’, se voi non ne siete sicuro, ma credete di sì, c’è qualcuno che potrebbe saperlo con maggior sicurezza? Oh, certo, è una cosa molto importante… non so dirvi quanto.

Continuò a restar seduta col gatto che dormiva e l’uccellino che cinguettava, dominata da quel senso della famiglia che l’aveva spinta per tanti anni e che adesso chissà fin dove l’avrebbe portata.

11

— Dunque — disse il Presidente, appoggiandosi allo schienale della poltrona — a quanto pare, fra cinquecento anni la Terra sarà assalita da esseri provenienti dallo spazio, e i suoi abitanti non avranno altra via di scampo che ritirarsi nel tempo. Questo, per sommi capi, corrisponde a quanto mi avete detto?

Gale annuì.

— Ma adesso che siete qui, cosa succederà? Avete fatto dei progetti o no?

— Ne abbiamo fatti, ma abbiamo bisogno di aiuto.

— Quel che vorrei sapere è perché siete venuti proprio nella nostra epoca — disse il procuratore generale. — Perché avete scelto proprio questo momento?

— Perché voi disponete della tecnologia e delle risorse che ci occorrono — disse Gale. — Abbiamo fatto un’accurata indagine storica, e questo momento, anno più anno meno, ci è sembrato quello più consono ai nostri scopi.

— A che tipo di tecnologia vi riferite?

— Una tecnologia capace di creare altre macchine del tempo. Noi disponiamo dei progetti, descrizioni e manodopera. Abbiamo bisogno del materiale e del vostro aiuto.

— Ma perché volete costruire altre macchine?

— Non abbiamo intenzione di rimanere qui — spiegò Gale. — Non sarebbe giusto da parte nostra mettere in crisi la vostra economia.

— E dove avete intenzione di andare?

— Molto più indietro nel tempo. Nel Miocene.

— Nel Miocene?

— Sì, è un’epoca geologica. Ebbe inizio pressappoco venticinque milioni di anni fa e durò una ventina di milioni di anni.

— Ma perché proprio il Miocene? Perché non dieci, o cinquanta o cento milioni di anni fa?

— Bisogna prendere in considerazione numerosi fattori — rispose Gale. — Abbiamo fatto degli studi accurati. Il motivo principale per cui abbiamo scelto quell’epoca è che l’erba comparve nel Miocene. Agli inizi del Miocene, secondo i paleontologi, che basano le loro convinzioni sullo sviluppo dei molari negli erbivori di quell’epoca. L’erba contiene minerali abrasivi che logorano i denti. Lo sviluppo dei molari con la corona molto alta, che crescevano nel corso della vita degli animali, verrebbe così a spiegarsi. Denti del genere sono proprio quelli che ci si aspetta di trovare negli erbivori. Inoltre, ci sono le prove che durante il Miocene una maggior aridità portò alla sostituzione delle foreste da parte di estese praterie che permettevano l’esistenza di grosse mandrie di animali ruminanti. Questo, secondo i paleontologi, ebbe inizio all’alba del Miocene, venticinque milioni di anni fa, ma noi abbiamo scelto venti milioni di anni fa nel caso che i paleontologi sbaglino, sebbene sia poco probabile.

— Se quella è la vostra meta — domandò il procuratore generale — perché vi siete fermati nel nostro tempo? Suppongo che i vostri tunnel temporali fossero in grado di portarvi fino al Miocene.

— Infatti avete ragione. Però ce n’é mancato il tempo, abbiamo dovuto muoverci di gran fretta.

— Cosa c’entra il tempo?

— Non possiamo andare nel Miocene senza le attrezzature e gli utensili, senza sementi e animali adatti ai lavori agricoli. Erano tutte cose di cui disponevamo nel nostro tempo, certo, ma sarebbero occorse settimane per preparare tutto il necessario e portarlo all’imbocco dei tunnel. Inoltre, sarebbe occorso molto tempo per il trasporto. Se avessimo potuto agire indisturbati, ci saremmo trasportati direttamente nel Miocene. Ma non è stato possibile; la pressione degli invasori non ce lo ha permesso. I mostri intuivano che c’era nell’aria qualcosa di nuovo, e appena avessero scoperto di cosa si trattava, sapevamo che avrebbero sferrato degli attacchi agli imbocchi dei tunnel. Siamo stati costretti quindi ad agire il più velocemente possibile, in modo da cercar di salvare quanta più gente potevamo. Per queste non abbiamo portato niente con noi.

— E vi aspettate che siamo noi a darvi tutto quello di cui avete bisogno?

— Reilly — disse pacatamente il Presidente — mi sembra che siate poco caritatevole. La situazione in cui ci troviamo non è stata provocata né prevista da noi, tuttavia ci siamo dentro e dobbiamo cercare di risolverla nel miglior modo possibile. Noi abbiamo aiutato e stiamo ancora aiutando nazioni meno fortunate. È un accorgimento politico, certo, ma l’America, per lunga tradizione, è sempre stata pronta a dare una mano a chi ne avesse bisogno. Questi che arrivano attraverso i tunnel temporali sono — immagino — gli americani del futuro, sangue del nostro sangue, e non vedo perché non dobbiamo fare per loro quello che abbiamo fatto per altri.