Robert J. Sawyer
Fuga dal pianeta degli umani
Oh, se fosse possibile che solo da qualche parte esistessero persone malvagie intente a commettere subdolamente il male, e bastasse separarle dal resto dell’umanità per poi eliminarle! Ma il confine tra buoni e cattivi passa attraverso il cuore di ciascuno. E chi eliminerebbe volentieri parte del proprio cuore?
Dedicato a Mark Askwit, maestro degli Universi multipli.
Nota dell’autore
La York University, l’Osservatorio quantistico di Sudbury e la miniera di Creighton esistono realmente. Tuttavia, tutti i personaggi del romanzo sono interamente frutto della mia immaginazione: qualunque somiglianza con le persone che nella realtà hanno o hanno avuto a che fare con queste o altre organizzazioni è frutto del caso.
Prologo
— Ho fatto una cosa orrenda — disse Ponter Boddit, a cavalcioni della sella nell’ufficio di Jurard Selgan.
Selgan era della generazione 144, cioè dieci anni più anziano di Ponter. Aveva capelli di un “grigio saggezza”; la scriminatura dei capelli si era allargata in una specie di fiume che scorreva lungo la fronte bassa e sfociava nell’arcata sopracciliare. — Va’ avanti — lo incoraggiò.
— Sentivo di non avere scelta — disse Ponter, abbassando lo sguardo. L’arcata sopracciliare sporgente era un ottimo scudo contro gli occhi di smeraldo di Selgan.
— Sentivo che dovevo farlo, ma…
— Ma ora ne sei pentito?
Ponter tacque, fissando il pavimento rivestito di muschio.
— Ne sei pentito?
— Non… non ne sono sicuro.
— Lo rifaresti, se ti ritrovassi nella medesima situazione?
Ponter emise un grugnito ironico dal naso.
— Che cosa ho detto di divertente? — chiese Selgan; nella sua voce c’era curiosità, più che irritazione.
Ponter alzò lo sguardo. — Pensavo che solo i fisici della mia risma si interessassero di esperimenti mentali.
Selgan sorrise. — Tra noi due non c’è poi quella gran differenza. Tutti e due siamo alla ricerca della verità, della soluzione dei misteri.
— Immagino di sì — rispose Ponter. Spostò lo sguardo sulle pareti lisce, dolcemente curvilinee, di quella stanza cilindrica.
— Non hai ancora risposto alla domanda — notò Selgan. — Lo rifaresti, capitasse di nuovo?
Ponter restò nel suo mutismo per un po’. Selgan rispettò il suo silenzio, gli diede il tempo di riflettere sulla questione. Alla fine Ponter disse: — Non so.
— Non lo sai, o preferiresti non dirlo? Ponter ripiombò nel silenzio.
— Desidero aiutarti — disse Selgan, cambiando posizione sulla propria sella. — Non ho nessun altro scopo. Non ti giudicherò, se è questo che temi.
Stavolta Ponter rise ad alta voce, ma in tono amaro. — È tutto qui il problema, eh? Nessuno ci giudicherà mai.
Selgan aggrottò le sopracciglia. — In che senso?
— Voglio dire: in quell’altro mondo… l’altra Terra… credono che esista un… be’, a noi manca il termine preciso; loro lo chiamano “Dio”. Un essere supremo e incorporeo che ha creato l’universo.
Selgan scosse la testa. — Come fa l’universo ad avere un creatore? Questo implicherebbe che abbia un inizio, ma non è così: l’universo esiste da sempre.
— Lo sai tu, e lo so io — rispose Ponter. — Ma loro no. Loro ritengono che l’universo abbia solo… be’, loro direbbero “dodici miliardi di anni”: più o meno, 150 miliardi di mesi.
— E prima che c’era?
Ponter corrugò la fronte al ricordo delle sue conversazioni con quella fisica gliksin di nome Lou Benoit… peccato che non riuscisse a pronunciare in modo esatto i nomi dell’altra Terra. — Affermano che prima di allora il tempo non esistesse. Il tempo ha cominciato a scorrere solo dopo la creazione.
— Un’idea stupefacente — commentò Selgan.
— Già — concordò Ponter. — D’altra parte, se accettassero l’eternità dell’universo, non rimarrebbe nessun ruolo per il loro Dio.
— Anche il tuo compagno è un fisico, vero? — chiese Selgan.
— Adikor Huld — ne precisò il nome Ponter. — Sì, lo è.
— Sicuramente tu e Adikor vi troverete spesso a parlare di fisica. Ma a me la questione interessa da un punto di vista diverso: tu hai citato questo… “Dio” in rapporto al concetto di giudizio. Spiegamelo meglio.
Per un po’ Ponter rimuginò in silenzio sul migliore approccio al tema. Poi disse: — Pare che la maggior parte di loro, degli altri umani, credano in ciò che definiscono “aldilà”: una vita dopo la morte.
— Ridicolo! — sbottò Selgan. — È una contraddizione in termini.
— Oh, certo — rispose Ponter con un sorriso. — Ma di assurdità del genere nel loro modo di pensare ce ne sono parecchie. E un fatto talmente diffuso che gli hanno dato un nome specifico, come se bastasse definire i paradossi per scioglierli. È una parola che faccio fatica a pronunciare; qualcosa tipo “ossa-mori”.
Anche Selgan sorrise. — Mi piacerebbe averne in cura uno, per scoprire come funzionino le loro menti. — Fece una pausa. — Questa vita dopo la morte, secondo loro, com’è?
— Qui viene il bello — rispose Ponter. — Può assumere due diverse forme, a seconda di come ci si è comportati nella vita. Se uno ha condotto un’esistenza virtuosa, allora viene ricompensato con una vita nell’aldilà incredibilmente piacevole. Ma se la vita… o anche un’azione fondamentale compiuta nell’arco della vita… è stata cattiva, allora l’esistenza successiva è piena di tormenti.
— E chi è a decidere?… Oh, aspetta, ho capito: è “Dio” a decidere, dico bene?
— Esatto. È questo ciò che credono.
— Ma perché? Perché dovrebbero credere in qualcosa di così grottesco?
Ponter alzò lievemente le spalle. — Resoconti di persone che si suppone abbiano comunicato con Dio.
— Resoconti? — disse Selgan. — C’è gente in grado di comunicare con Dio?
— Alcuni affermano di sì. Tuttavia non ho trovato prove schiaccianti.
— E Dio giudica ogni singola persona?
— Pare di sì.
— Ci sono 185 milioni di persone nel mondo, e ogni giorno ne muoiono migliaia.
— In questo mondo. Sull’altra Terra esistono sei miliardi di umani.
— Sei miliardi?! — Selgan scosse la testa. — E ognuno di loro, in qualche modo, al momento della morte viene assegnato a una delle due possibili vite nell’aldilà?
— Sì. Dopo il giudizio.
A Ponter non sfuggì la curiosa espressione che si dipinse sulla faccia di Selgan. Lo scultore di personalità era evidentemente affascinato dalle credenze gliksin, ma lo interessavano ancora di più i pensieri del suo paziente. — Giudizio — si rigirò la parola tra i denti, come un boccone succulento di carne.
— Infatti — riprese Ponter. — Capisci? Laggiù non possiedono impianti Companion, né archivi degli alibi. Non hanno registrazioni perfette di ogni azione compiuta. E non ce l’hanno, perché ritengono di non averne bisogno: credono che ci sia Dio a vegliare su tutti, a vedere tutto, perfino a custodire ogni singola persona. Perciò ritengono che sia impossibile scampare… impossibile scampare per sempre agli effetti di un’azione malvagia.
— Ma tu… hai fatto qualcosa di orrendo, dicevi? Ponter contemplò il proprio mondo attraverso la finestra.
— Sì.
— Laggiù? Su quell’altra Terra?
— Sì.