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Infine si guardò intorno, le mani sui fianchi. Ci avrebbe pensato qualcun altro a ricavare la sequenza genetica di quella colomba migratrice, il lavoro che Mary seguiva prima di partire per Sudbury. Quasi tutte le piante presenti in laboratorio erano sue, ma poteva contare su Daria per innaffiarle.

Insomma, tutto in ordine. Prese la cassetta del latte, che adesso pesava parecchio, e si diresse all’uscita. Ormai…

No. Mancava qualcosa.

Avrebbe potuto lasciare lì quelle cose, immaginava; nessuno le avrebbe buttate via in sua assenza. Del resto, c’erano ancora perfino dei campioni lasciati lì dal vecchio Daniel Colby, che era morto due anni prima.

Mary posò la cassetta e raggiunse il frigo per materiale biologico. Aprendo il portello, venne investita da una folata di aria gelida.

Eccoli. Due contenitori con l’etichetta “Vaughan-666”.

In uno c’erano le sue mutandine di quella notte. E nell’altro…

Nell’altro, la porcheria che lui le aveva eiaculato dentro.

No. No. Non li avrebbe presi. Qui sarebbero stati benissimo. E poi non voleva neanche toccarli. Richiuse il frigo e si voltò indietro.

Proprio in quell’istante Cornelius Ruskin sporse la testa in laboratorio. — Ehilà, Mary!

— Ciao, Cornelius.

— Volevo solo dirti che qui sentiremo un po’ tutti la tua mancanza e… be’, volevo ringraziarti per il corso.

— Piacere mio — rispose Mary. — Non potevo pensare a nessuno più qualificato di te per quel posto. — Non era solo cortesia di maniera, era sul serio ciò che pensava. Cornelius era stato il classico ragazzo prodigio; dopo la laurea di primo grado all’Università di Toronto si era specializzato a Oxford studiando al Centro per le biomolecole antiche.

Mary fece un gesto per recuperare la cassetta. — Lascia che la porti io — si offrì lui. — Stai andando alla macchina?

Lei annuì. Cornelius sollevò la cassetta nel modo anatomicamente corretto, piegando le ginocchia e tenendo il busto verticale, poi si tirò su. Uscirono in corridoio. Li incrociò Jeremy Canyon, uno studente che non seguiva i corsi di Mary. — Buongiorno, professoressa Vaughan — disse. — Salve, signor Ruskin.

Mary notò che Cornelius si sforzò di sorridere. Il titolo di professore spettava solo ai docenti di ruolo, ed era fin troppo evidente quanto Cornelius lo desiderasse per sé.

I due insegnanti scesero la scalinata e si trovarono nell’afa di agosto. Raggiunsero il parcheggio in York Lanes, dove lui la aiutò a mettere gli oggetti nel bagagliaio. Lei lo salutò, montò in macchina e mise in moto verso la sua nuova vita.

7

— Interessante la rapidità con cui hai dato inizio a una nuova relazione — commentò Selgan, mantenendo un tono neutrale.

— Non stavo dando inizio a nessuna relazione! — scattò Ponter. — Conoscevo Daklar da oltre 200 mesi.

— Già — disse Selgan. — In fondo, era già stata la compagna della tua compagna.

Ponter incrociò le braccia. — E allora?

— E allora, già la conoscevi — rispose Selgan annuendo.

— Infatti —. disse Ponter in tono difensivo.

— In tutto quel tempo di familiarità con Daklar, avevi mai avuto fantasie su di lei?

— Cosa? Intendi fantasie erotiche?

— Sì.

— Certo che no.

Selgan alzò le spalle. — Non sarebbe poi così insolito. Un sacco di uomini hanno fantasie sulle compagne delle loro donne.

Ponter rimase in silenzio per alcuni istanti, poi a voce bassa ammise: — Be’, c’è una bella differenza tra qualche pensierino e una reale fantasia…

— Ovviamente — disse Selgan. — Ovviamente. Hai avuto spesso pensierini su Daklar?

— No — ringhiò lui. Per un po’ si richiuse nel mutismo, poi aggiunse: — Be’, il valore di “spesso” è molto soggettivo. Voglio dire, certo, ogni tanto, suppongo, ma…

Selgan sorrideva. — Come dicevo, non c’è nulla di insolito. Esiste anche un sacco di pornografia su questo tema. Hai mai partecipato a…

— No!

— Se lo dici tu — commentò Selgan. — Ma percepisco un senso di disagio. C’è stato qualcosa, in questo mutamento dei rapporti con Daklar, a inquietarti. Che cosa?

Ponter tacque.

— Forse — suggerì lo scultore di personalità — ti sentivi un po’ in colpa, perché non era passato molto tempo dalla morte di Klast?

Ponter scosse il capo. — Non era per quello. Klast era morta. Svanita per sempre. E stare con Daklar mi aiutava a riappropriarmi di Klast. Dopotutto, lei era l’unica persona ad avere di Klast una conoscenza profonda quanto me.

— Molto bene. Allora permettimi di farti un’altra domanda.

— Potrei impedirtelo? — disse Ponter.

— No — rispose Selgan, sorridendo. — A quel punto, tu non sapevi che decisione avrebbe preso il Gran Consiglio dei Grigi relativamente alla riapertura del varco sul mondo dei gliksin. Il tuo disagio era legato alla sensazione di essere infedele a Mèr, intrattenendoti con Daklar?

Ponter fece una risata di scherno. — Lo vedi? Te l’avevo detto: voi scultori della personalità siete sempre alla ricerca della rispostina ad hoc. Non avevo nessun legame con Mèr Vaughan. Non mi ero impegnato con lei a nessun livello, il mio disagio…

E qui Ponter staccò la spina. Selgan attese per un po’ che terminasse il discorso, ma non accadde nulla. — Ti sei bloccato — gli disse. — C’era una frase nella tua testa, che hai deciso di non esprimere ad alta voce. Che cosa riguardava?

Ponter inspirò profondamente, senz’altro allo scopo di inalare i feromoni di Selgan per subodorare che genere di trappola gli stesse predisponendo. Purtroppo per lui, Selgan possedeva una non comune capacità di tenere sotto controllo le esalazioni corporee; che poi era il suo segreto come terapeuta. Selgan stavolta attese a lungo, finché Ponter non riprese la parola: — Non ero infedele a Mèr. Lo ero nei confronti di Adikor.

— Il tuo compagno — disse Selgan, come per fissare bene i contenuti.

— Sì.

— Il tuo compagno, quello che ti aveva riacciuffato da quell’altro mondo, dove c’era Mèr Vaughan…

— Sì. No. Voglio dire, lui…

— Lui fece la cosa giusta, questo è indubbio — disse Selgan. — Eppure, in profondità, c’era una parte di te che… che..?

Ponter chiuse gli occhi. — Che provava risentimento contro di lui.

— Per averti riportato in patria. Ponter annuì.

— Per averti staccato da Mèr. Altro cenno affermativo.

— Per averti staccato da colei che poteva sostituire Klast.

— Nessuna può sostituire Klast — scattò di nuovo Ponter. — Nessuna!

— No, certamente — si affrettò a rispondere Selgan, sollevando le mani con i palmi in avanti. — Perdonami. E tuttavia ti piaceva… a una parte di te, piaceva… flirtare con Daklar, la donna che, in tua assenza, quasi quasi riusciva a far castrare Adikor. Come se il tuo inconscio volesse punirlo, no? Fargliela pagare per averti strappato da quell’altra Terra.

— Ti sbagli.

— Già — ironizzò Selgan. — Come sempre, del resto.

Alla fine, i Due avevano cessato di essere Uno. Ponter e Adikor, come gli altri uomini, tornarono all’Anello esterno della città. Mentre l’hover-bus li riaccompagnava a casa, Ponter non fece parola della storia con Daklar. Non che Adikor non potesse tollerare che Ponter trascorresse del tempo con una donna: essere gelosi delle relazioni del tuo compagno con persone dell’altro sesso era il massimo della goffaggine.

Ma Daklar non era una donna come un’altra.

I due scienziati non avevano ancora messo piede fuori dal bus che Pabo, la grossa cagna fulva di Ponter, si lanciò fuori della porta per correre a salutarli. A volte veniva anche lei al Centro con loro; stavolta però l’avevano lasciata a casa, e l’animale riusciva tranquillamente a cacciare per conto proprio.