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All’inizio, i due poterono appena appena infilare una mano all’interno; ma, appena tirarono in direzioni opposte, il tubo cedette e cominciò ad ampliare il proprio diametro, emettendo una serie di click metallici.

Ponter inserì nella bocca espansa del tubo anche l’altra mano, e così Dern, e continuarono ad agevolare l’espansione. Ben presto il Derkers ebbe un diametro di circa un metro e mezzo; che però corrispondeva solo a un terzo della sua estensione massima, per cui i due scienziati proseguirono con l’operazione.

Erano entrati nella camera del computer anche i tre consiglieri, accompagnati da uno degli Esibizionisti. L’altro era rimasto sulla soglia, sul gradino superiore, evidentemente per battersela in caso di spiacevoli imprevisti.

Il vecchio Bedros aveva l’aria di uno che si sarebbe immischiato volentieri; che diamine, lì si stava scrivendo la Storia! Ponter gli fece cenno di avvicinarsi, così che ora l’allargamento del tubo era opera di sei mani. Sul monitor portatile Ponter vide che ai gliksin si abbassava quella loro mandibola assurdamente prominente.

Infine, operazione compiuta. Il tubo aveva raggiunto il diametro massimo, e la base era stata posata sul pavimento in granito della camera del computer. Ponter si voltò verso Tukana, facendole segno di muoversi per prima. — L’ambasciatrice sei tu — le disse.

La donna scosse la testa, coperta di capelli brizzolati.

— Ma loro conoscono te: sei una faccia amica.

— Come preferisci. — Dato un caloroso abbraccio ad Adikor, Ponter si diresse all’imboccatura del tunnel, e inspirò profondamente. Nonostante le immagini che aveva appena visto grazie alla telecamera della sonda, non poteva fare a meno di ricordare che cos’era successo la prima volta che si era introdotto nel mondo gliksin. Poi si mise a percorrere il tubo. Dall’interno, l’unico segno del varco era dato da un anello bluastro di luce che si intravedeva attraverso la membrana trasparente che univa i componenti metallici a croce. Pareva che, forzando a quel modo l’apertura del varco, sarebbe stato loro risparmiato lo spettacolo di vedere sezioni di se stessi durante l’attraversamento.

Ponter puntò verso l’anello blu; poi, con un gran passo, giunse dalla parte opposta. Attraverso l’apertura opposta vide in lontananza la parete dell’Osservatorio. Pochi istanti, ed eccolo all’uscita. Siccome Adikor e Dern lo tenevano bloccato all’altra estremità, il tubo si inclinò solo di poco sotto il peso di Ponter.

L’Uomo di neanderthal sporse la testa dal tunnel e rivolse lo sguardo sui gliksin là in basso. Si rese conto che in faccia gli si era dipinto un sorriso da un orecchio all’altro. Pronunciò alcune parole, che Hak tradusse al massimo volume consentito dai suoi altoparlanti:

— Qualcuno sarebbe così gentile da andare a prendere una scala?

10

Per la verità c’era una lunga scala sul lato neanderthaliano del varco, ma sarebbe stata scomoda da trasportare negli spazi ristretti della camera del computer. Per cui Ponter attese che i gliksin ne recuperassero una sul lato opposto del locale. Somigliava parecchio a quella che Ponter aveva usato per risalire verso casa.

Dopo qualche tentativo a vuoto, la scala venne appoggiata all’imboccatura del tunnel, il quale emergeva, agli occhi dei gliksin, da una sottile nebbiolina.

Alle sue spalle, Ponter notò che Dern e Adikor usavano strumenti elettrici per fissare il tubo Derkers al pavimento.

Una volta che la scala fu piazzata, Ponter indietreggiò per permettere ad Adikor e Dern di raggiungere quell’imboccatura. I due restarono per un po’ imbambolati a osservare l’interno dell’Osservatorio e gli alieni là sotto; quindi si misero all’opera con delle funi per assicurare al tubo la cima della scala. Ponter poté udire Adikor borbottare: — Incredibile… incredibile…

Poi Adikor e Dern tornarono all’altro lato, e Ponter avanzò di nuovo, accompagnato da Prat. Ponter si girò di schiena e cominciò a scendere con cautela la scala. Quando fu vicino al fondo, sentì mani gliksin che lo aiutavano negli ultimi movimenti. Fece due passi sul pavimento della camera di rilevazione, poi si guardò attorno.

— Bentornato! — disse uno dei gliksin; parola tradotta da Hak nell’impianto che Ponter portava installato nella coclea.

— Grazie — rispose Ponter. Osservò le facce che lo circondavano, ma non ne riconobbe nessuna. Il che non era sorprendente: anche se avessero chiamato qualche persona di sua conoscenza nell’istante stesso in cui era apparsa la sonda, sarebbe stata ancora in viaggio dalla superficie.

Allontanandosi dalla scala, Ponter sollevò la testa in direzione dell’imboccatura del tunnel. Fece un cenno all’ambasciatrice Prat, esortandola: — Scendi!

Lei si calò giù.

— Ehi, guardate! — esclamò un gliksin. — È una donna di neanderthal!

— Si chiama Tukana Prat — disse Ponter. — La nostra ambasciatrice nel vostro pianeta.

Tukana aveva raggiunto il suolo; si batté le mani per scuotere la polvere rimasta loro attaccata dalla scala. Un gliksin, uno dei due di pelle scura, fece un passo avanti; dopo qualche istante di incertezza, fece un inchino e disse: — Benvenuta in Canada, signora ambasciatrice.

Il problema di dover dipendere da Hak per le traduzioni era che tutto veniva filtrato dal suo senso dell’umorismo. — Volevamo chiedervi di portarci in cima alla vostra scala — disse Hak — ma vedo che lo avete già fatto.

Ponter conosceva abbastanza la lingua gliksin per capire che cosa stesse succedendo. Si diede una sberla al polso sinistro. — Ahia! — si lamentò Hak all’auricolare. Poi, dagli altoparlanti: — Pardon. Intendevo: la scala gerarchica.

L’uomo di colore rispose: — Be’, sono Gus Hornby, l’ingegnere capo. Inoltre abbiamo già avvertito a Ottawa la direttrice dell’Osservatorio, dottoressa Mah. Può essere qui entro oggi, se necessario.

— Mèr Vaughan è nei dintorni? — chiese Ponter.

— Mèr? Ah, Mary. La professoressa Vaughan. No, è andata via.

— E Lou Benoít?

— Louise, intende? Anche lei non è più qui.

— Ruben Montego, allora.

— Il medico? Certo, possiamo farlo venire qui.

— Per la verità — disse Ponter, tradotto da Hak — preferiremmo salire noi a incontrare lui.

— Oh… certo. — Lanciò un’occhiata al tunnel sospeso nel vuoto. — Partite dal presupposto che il varco resterà aperto?

Ponter annuì. — È ciò che speriamo.

— Perciò è possibile salire, così, semplicemente, e… e andare dalla vostra parte? — chiese uno degli altri gliksin.

— Sì.

— Potrei mica dare un’occhiata? — chiese ancora l’uomo. Aveva pelle chiara, capelli color carota e occhi azzurri.

Ponter si voltò verso Tukana, che gli restituì lo sguardo. Alla fine l’ambasciatrice disse: — Il mio governo desidererebbe conferire con qualche rappresentante ufficiale del vostro.

— Ah — disse Pel di carota. — Be’, io davvero non potrei ambire…

Ponter e Tukana attraversarono il locale, attorniati dalla folla di glìksin. Dalle pareti circolari pendevano ancora frammenti della sfera di acrilico; in giro si vedevano mucchi di componenti fotomoltiplicatori a forma di girasole.

All’estremità opposta del pavimento c’era un’altra scala, ancora più alta di quella collegata al tubo Derkers. Conduceva al portello d’ingresso della camera di rilevazione di neutrini, quello stesso portello che era esploso quando si erano materializzati Ponter e l’aria del suo mondo. Per primo salì Hornby, che infine si infilò per il portello. Tukana cominciò ad arrampicarsi anche lei per la scala.