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— Io? Benissimo, grazie. Ho avuto il mio quarto d’ora di notorietà, e francamente sono lieto che sia finita.

— Un quarto d’ora? — ripeté Tukana.

Ruben rise. — Uno dei nostri artisti aveva predetto che in futuro ognuno avrebbe goduto di un quarto d’ora di notorietà.

— Ah — disse Ponter. — Che genere di artista?

Ruben si stava evidentemente sforzando di trattenere un sorriso ironico. — Be’, era famoso soprattutto per aver dipinto delle lattine di minestra in scatola.

— Direi che, per lui, un quarto d’ora è stata una dose eccessiva — commentò Ponter.

— Bentornato nel nostro pazzo mondo! — rise di nuovo Ruben.

Arrivò il team del Laboratorio di Ottawa, seguito a ruota da quello di Atlanta. Due donne, una per gruppo, furono i primi esemplari di Homo sapiens sapiens a viaggiare fino all’universo dei neanderthal. Ogni tanto, una delle due si affacciava dal tunnel e chiedeva di passarle qualche strumento.

Ponter fece del suo meglio per pazientare nell’attesa, ma era una situazione frustrante. Là fuori c’era un intero mondo alieno ad attenderli! E sia lui che Tukana avevano già offerto svariati campioni di sangue e tessuti, oltre a sottoporsi a una visita medica completa effettuata da Ruben.

Nonostante la quarantena, però, i visitatori non mancavano. La prima persona che non appartenesse allo staff medico fu una pallida donna gliksin con corti capelli castani e occhialini rotondi. — Salve — disse, con un accento che Ponter riconobbe come franco-canadese in virtù delle conversazioni avute con Louise. — Mi chiamo Hélène Gagné, del ministero canadese per gli Affari esteri e il commercio internazionale.

Tukana fece un passo avanti. —Ambasciatrice Tukana Prat, in rappresentanza del Gran Consiglio dei Grigi che governa… be’, la Terra. — Fece un cenno in direzione di Ponter: — Mi accompagna Ponter Boddit, scienziato e inviato speciale.

— Benvenuti — disse Hélène. — Sono davvero felice di incontrarvi. Inviato speciale Boddit, le promettiamo che stavolta le cose procederanno in modo meno tempestoso che nell’occasione precedente.

Ponter sorrise. — La ringrazio.

— Prima di ogni altra cosa, signora ambasciatrice, desidererei rivolgerle una domanda. Se ho capito bene, la geografia del vostro mondo coincide con quella del nostro, è così?

Tukana Prat annuì.

— Molto bene. — Hélène portava una ventiquattrore, da cui estrasse una mappa fisica del pianeta, senza la suddivisione in Stati. — Potrebbe indicarmi il luogo in cui è nata?

Tukana prese la mappa, la scrutò e poi puntò il dito sulla costa occidentale. Hélène le passò un pennarello, togliendo il cappuccio. — Potrebbe indicare il punto? Con la massima esattezza possibile, per cortesia.

L’ambasciatrice apparve sorpresa; comunque, fece un puntino rosso sull’estremità settentrionale dell’isola di Vancouver.

— Grazie — disse Hélène. — E ora, metterebbe la sua firma accanto a quel punto?

— Firma?

— Hmm, cioè, scrivere il proprio nome.

Lei eseguì, tracciando una serie di simboli spigolosi.

Dalla ventiquattrore l’inviata ministeriale prese un timbro da notai, vidimò la mappa e vi aggiunse la data e la propria firma. — Perfetto, proprio come speravamo. Lei è nata in Canada.

— Sono nata a Podnilak — corresse Tukana.

— Oh sì, sì, ma si trova nell’area che in questo mondo corrisponde al Canada… isola di Vancouver, Columbia Britannica, per la precisione. Il che, in base a tutte le norme vigenti, fa di lei una canadese. Inoltre, già siamo al corrente che l’inviato Boddit è nato nei pressi di Sudbury, Ontario. Per cui, se non avete obiezioni in proposito, la prima cosa che faremo al termine della quarantena sarà di concedervi la cittadinanza del nostro Paese.

— Perché? — chiese Tukana.

Ponter intervenne prima che Hélène potesse rispondere: — Si tratta di una questione sollevata durante il mio primo viaggio. In questa versione della Terra sono necessari documenti per spostarsi da una nazione all’altra. Il più importante di questi documenti… — pausa, mentre Hak gliene ricordava il nome — è il passaporto, che non viene rilasciato a chi non possiede una cittadinanza.

— Esatto — confermò Hélène. — Durante la sua visita precedente, Ponter, abbiamo ricevuto parecchie seccature da altri governi, soprattutto gli Stati Uniti, per averla trattenuta per tutto il tempo in Canada. Bene, appena vi lasceranno andare via di qui, vi accompagneremo a Ottawa… la capitale del Canada… dove riceverete la cittadinanza in base all’articolo 5, comma 4 della legge canadese in materia, la quale prevede che il ministero competente possa concederla in casi straordinari. Niente paura, questo non vi impedirà di mantenere la cittadinanza in qualsiasi giurisdizione del vostro mondo, visto che il Canada riconosce da sempre la doppia cittadinanza. Tuttavia, quando viaggerete al di fuori dei confini canadesi, verrete registrati come Corpo diplomatico del nostro Paese, il che vi garantirà tutte le immunità e i privilegi del caso. Questo ci permetterà di aggirare infiniti cavilli burocratici, finché non verranno formalmente instaurati rapporti diplomatici tra il vostro mondo e ogni nazione del nostro.

— Ogni nazione? — disse Tukana. — Al presente, noi abbiamo un governo mondiale unificato. Voi no?

Hélène scosse la testa. — No. Possediamo un organismo chiamato Nazioni Unite, e vi condurremo anche alla sua sede immediatamente dopo la cena di rappresentanza con il nostro Primo ministro. Ma non si tratta di un governo mondiale: solo un’assemblea in cui i singoli governi possono discutere argomenti di interesse generale. Pian piano, il vostro governo dovrà essere ufficialmente riconosciuto da ognuna delle nazioni che compongono le Nazioni Unite.

— E quante ce ne sono? — chiese Tukana. Ponter sorrise. — Non ci crederesti mai.

— Attualmente — rispose l’inviata ministeriale — gli Stati membri sono 191. Capisce, ci vorranno anni al vostro governo per concludere trattati eccetera con ciascuno di essi. Però il Canada già li possiede, perciò, entrando almeno nominalmente nel nostro Corpo diplomatico, avrete il permesso di viaggiare in tutte quelle nazioni e incontrare i loro leader.

Tukana appariva un po’ confusa. — Immagino che non ci siano alternative.

— No, infatti.

— Ottimo — disse Ponter. — Allora, quando si esce?

— Spero presto — disse Hélène. — Ora che sono entrata in contatto con voi, neppure io potrò più allontanarmi fino al termine della decontaminazione. In ogni caso, il nostro personale medico sembra rimasto molto impressionato dalla vostra tecnologia.

La notizia rallegrò Ponter perché prospettava un rilascio veloce. Aveva trascorso in quarantena buona parte della sua visita precedente in Canada, e non ci teneva granché a ripetere l’esperienza, tanto meno nel sottosuolo.

Nel pomeriggio, Tukana si ritirò nella seconda stanza del bilocale per schiacciare un pisolino, com’era tipico di quelli della sua generazione. Ponter invece si esercitò con l’inglese insieme ad Hak, finché non tornò Ruben Montego in compagnia di un gliksin. In contrasto con lo scuro e calvo Ruben, costui era basso, capelluto e con la pelle ambrata. — Ciao, Ponter — disse il medico. — Ti presento Arnold Moore, geologo.

— Salve — disse Ponter. Arnold tese la mano, e Ponter gliela strinse.

— Signor Boddit, è un vero piacere conoscerla. Un grandissimo piacere.

Avendone abbastanza di annoiarsi, Ponter non poté resistere alla tentazione di esternare un po’ di sarcasmo.

— Mi ha toccato! Non teme per la sua salute?

L’ironia andò a vuoto. — È dal primo momento che ho saputo del suo ritorno che non vedevo l’ora di venire fin qui! Questo è un regalo stupendo che mi fa la vita! Stupendo! Ponter abbozzò un sorriso. — La ringrazio.