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Ponter cercò di nascondere il proprio sbalordimento. I gliksin avevano un approccio stranissimo alle scienze!

— In ogni caso — continuò Arnold — alla fine abbiamo trovato le prove incontrovertibili alla deriva dei continenti. In mezzo agli oceani esistono aree in cui il magma fuoriesce dal mantello, creando nuove rocce.

— Avevamo supposto che esistesse qualcosa del genere — disse Ponter. — Dopotutto, se esistono zone in cui le rocce più antiche vengono spinte giù…

— Subduzione — disse Arnold.

— Come preferisce — disse Ponter. — Se esistono zone in cui le vecchie rocce sprofondano, se ne deduce che altrove ne emergano di nuove; anche se, ovviamente, non ne abbiamo mai viste.

— Noi abbiano raccolto dei campioni — fece Arnold. Stavolta la faccia strabiliata di Ponter era autentica.

— In mezzo agli oceani?!

— Sì — rispose Arnold, fiero che qui l’avesse vinta la sua versione della Terra. — E, se si osservano le rocce in corrispondenza dei crinali delle alture da cui sgorga il magma, si notano degli schemi magnetici simmetrici: normali su entrambi i crinali, invertiti a destra e sinistra, di nuovo normali a una distanza maggiore, e così via.

— Impressionante.

— Eh, anche noi abbiamo avuto i nostri momenti. — Arnold sorrise, con un chiaro invito a Ponter a fare altrettanto.

— Prego? — fece lui.

— Era un gioco di parole. Capisce, il “momento magnetico”, il prodotto tra la distanza tra i poli magnetici e la carica di ogni polo.

— Oh. — Non avrebbe mai capito la fissazione dei gliksin per i giochi di parole.

Arnold parve deluso dal fallimento della battuta. — In ogni caso, continua a sorprendermi il fatto che da voi il campo magnetico sia collassato prima del nostro. Voglio dire, mi è chiaro il modello proposto da Benoit, secondo cui i due universi si sono separati 40.000 anni fa, all’alba dell’insorgere della coscienza. Però non vedo come qualunque cosa i nostri due popoli possano aver fatto negli ultimi 400 secoli possa aver influito sulla geo-dinamo.

— Un vero mistero — disse Ponter.

Arnold si alzò in piedi. — Tuttavia, grazie a questo mistero, lei ha soddisfatto le mie curiosità oltre ogni più rosea previsione.

Ponter annuì. — Ne sono felice. Penso che dovreste… come dite, qui?… dovreste approdare sani e salvi al termine del collasso magnetico. — Gli fece l’occhiolino.

— Noi, almeno, ci siamo riusciti.

12

Mary tentava di concentrarsi sul lavoro, ma tutti i pensieri la riportavano a Ponter. Il che non era sorprendente, dal momento che stava appunto lavorando sul suo DNA.

Mary si buttava a pesce ogni volta che trovava un articolo divulgativo sul perché il DNA mitocondriale venga ereditato solo per via materna. La spiegazione più frequente si basa sul fatto che solo la testa dello spermatozoo penetra l’ovulo, mentre i mitocondri degli spermatozoi sono contenuti nella sezione mediana e nel flagello. Però, pur essendo vero che i mitocondri sono raccolti in quella parte degli spermatozoi, non è vero che solo la testa penetri l’ovulo. Sia le immagini al microscopio che gli esami del DNA infatti hanno dimostrato che negli ovuli fertilizzati dei mammiferi finisce anche del DNA mitocondriale proveniente dalla sezione mediana dello spermatozoo. La verità è che nessuno sa perché il DNA mitocondriale paterno non finisca incorporato nello zigote allo stesso modo di quello materno. Per qualche motivo, sparisce e basta: che sparisca perché non c’è mai entrato è una soluzione semplice e lineare, ma errata.

Tuttavia, siccome in ogni cellula ci sono migliaia di mitocondri e un solo nucleo, negli esemplari fossili è molto più facile recuperare DNA dai mitocondri che dal nucleo. Del resto da nessuno dei fossili di Uomo di neanderthal rinvenuti su questa Terra era mai stato estratto del DNA nucleare, per cui Mary si stava concentrando sull’esame dell’mtDNA di Ponter, confrontandolo poi con quello dei gliksin. Solo che non sembrava esistere nessuna sequenza genetica presente in Ponter e nei neanderthal fossili che non fosse presente anche nei gliksin, o viceversa.

Perciò, alla fine Mary prese a studiare il DNA nucleare di Ponter. Partiva dal presupposto che lì sarebbe stato ancora più difficile rinvenire delle differenze, e infatti, per quanto si fosse data da fare, non aveva individuato nessuna sequenza di nucleotidi che presentasse distinzioni di rilievo tra neanderthal e Homo sapiens sapiens.

Tutti i marcatori che usava si combinavano altrettanto bene con entrambi i tipi di DNA umano.

Stanca e frustrata, in impaziente attesa che Ponter venisse rilasciato dalla quarantena per poter rinsaldare la loro amicizia, Mary decise di produrre un cariotipo di DNA neanderthaliano. Si trattava di allevare in coltura delle cellule di Ponter fino al momento in cui stessero per suddividersi (l’unico momento in cui i cromosomi diventano visibili), quindi esporle alla colchicina in modo da immobilizzare i cromosomi a quello stadio. Fatto quello, Mary colorò artificialmente le cellule (la parola “cromosoma” in greco significa “corpo colorato”, proprio a causa della facilità con cui assume pigmenti). Dopodiché li dispose in ordine decrescente di lunghezza, com’era prassi, per enumerarli. Siccome Ponter era un uomo, possedeva sia cromosomi X che Y; e, proprio come in un maschio umano di questa Terra, l’Y aveva dimensioni di circa un terzo dell’X.

Mary mise in fila tutte le coppie di sequenze genetiche, le fotografò e stampò le immagini. Quindi cominciò a etichettarle a partire da quelle più lunghe, fino alle più corte: 1, 2, 3…

Era un lavoro facile, un’esercitazione a cui sottoponeva ogni anno i suoi studenti di Citogenetica. Nel farlo, la sua mente divagava un po’, provando a visualizzare Ponter, e Adikor, e i mammut, e una società senza agricoltura, e…

Merda!

Aveva combinato qualche casino, visto che i cromosomi X e Y di Ponter erano la ventiquattresima coppia anziché la ventitreesima.

A meno che…

A meno che Ponter non avesse tre cromosomi 21! In quel caso lui, e presumibilmente l’intero suo popolo, avevano ciò che nella specie di lei produceva la sindrome di Down! Assurdo. I sapiens sapiens con sindrome di Down hanno una serie di caratteristiche morfologiche che li contraddistinguono, e…

“Buon Dio, possibile che la differenza sia tutta qui?” pensò Mary. Nei Down si riscontra effettivamente una maggiore incidenza della leucemia… e non era stato quello a uccidere la moglie di Ponter? Inoltre, la sindrome è associata a livelli abnormi di ormoni tiroidei, responsabili degli effetti morfologici, in particolare a livello facciale. Possibile che l’intero popolo di Ponter fosse affetto da trisomia 21? Una piccola variante genetica, che nei neanderthal si manifestava in maniera diversa rispetto ai sapiens sapiens, poteva giustificare tutte le differenze fra i due tipi di umanità?

No, no, l’ipotesi non reggeva. Il principale effetto della sindrome di Down, tra j sapiens sapiens, è proprio il sottosviluppo della muscolatura, cioè tutto l’opposto della corporatura di Ponter.

Inoltre, Mary aveva lì, disposti davanti ai propri occhi, un numero pari di cromosomi; mentre la sindrome di Down deriva da un numero dispari. A meno che Mary non avesse prelevato per sbaglio alcuni cromosomi da un’altra cellula, pareva che Ponter avesse 24 coppie, per cui…

“Oh mio Dio” pensò Mary. “Oh mio Dio…”

La soluzione era ancora più semplice.

Sì, sì, sì!

Ci era arrivata!

L’Homo sapiens sapiens possiede 23 coppie di cromosomi. Tuttavia nei suoi parenti più prossimi su questa Terra, vale a dire le due specie di scimpanzé…