In entrambe le specie, le coppie sono 24.
Il genere Pan (scimpanzé) e quello Homo (tutti i tipi umani) hanno un antenato in comune. Nonostante la diffusa affermazione che “l’uomo discende dalla scimmia”, in realtà uomini e scimmie sono cugini. L’antenato comune, il sempre sfuggente anello mancante, mai individuato con certezza tra i reperti fossili, è vissuto in Africa circa 5 milioni di anni fa, secondo gli studi effettuati sulle differenze genetiche.
Ora, siccome gli scimpanzé hanno 24 coppie di cromosomi e gli umani 23, fino a quel momento ognuno era libero di decidere quante ne avesse l’antenato comune. Se ne avesse avute 23, allora, in un’epoca successiva alla biforcazione evolutiva, nel phylum degli scimpanzé un cromosoma si era sdoppiato. Se invece l’antenato avesse avuto 24 coppie, allora lungo la linea Homo due cromosomi si erano fusi tra loro.
Fino a quel momento, a quel preciso istante, nessuno nel mondo di Mary avrebbe saputo dire quale dei due fosse lo scenario evolutivo corretto. Ma adesso era lampante: gli scimpanzé comuni possedevano 24 coppie di cromosomi; i bonobo (l’altra specie) idem; e 24 anche i neanderthal, come Mary aveva appena scoperto. La fusione di due cromosomi in uno, nei sapiens sapiens, era avvenuta molto tempo dopo l’inizio della divergenza evolutiva dalle scimmie; anzi, addirittura dopo che il genere Homo si era suddiviso nelle due linee che lei stava analizzando, cioè circa 200.000 anni prima.
Ecco perché il popolo di Ponter aveva conservato una forza fisica degna di un gorilla, mentre i gliksin si erano ingraciliti. Questo spiegava anche la fisionomia scimmiesca dei neanderthal, con grosse arcate sopracciliari e assenza di mento. Geneticamente parlando, se non altro per numero di cromosomi, erano degli scimmioni. Qualcosa, nella fusione dei due cromosomi (il 2 e il 3, come Mary sapeva dai suoi studi di Genetica dei primati), aveva causato le differenze morfologiche tipiche degli attuali umani della sua Terra.
La causa specifica delle differenze era anche piuttosto facile da individuare: era la neotenia, cioè la conservazione in età adulta delle caratteristiche dell’infanzia. I piccoli scimpanzé, i bambini dei neanderthal e quelli dei gliksin avevano crani simili, con fronti lisce e verticali, senza particolari protrusioni del naso e della bocca. Man mano che crescevano, gli altri mutavano la forma della testa; solo i gliksin conservavano crani di tipo infantile.
Oh sì, il popolo di Ponter subiva una bella maturazione cranica! E la causa poteva essere proprio quel cromosoma di differenza.
Mary giunse le mani e intrecciò le dita, come per ringraziare il cielo. Ce l’aveva fatta! Aveva scoperto ciò per cui Jock Krieger l’aveva assunta, e ora…
E ora… “Mio Dio!”
Se variava il numero di cromosomi, allora la stirpe di Ponter e quella di Mary non erano solo etnie diverse, o due sottospecie della medesima specie. Erano due specie completamente diverse. Non c’era bisogno di raddoppiare l’aggettivo sapiens riferendosi ai gliksin, perché gli altri non potevano assolutamente essere Homo sapiens neanderthalensis. Piuttosto, seguivano una tassonomia tutta propria, quella dell’Homo neanderthalensis. Alcuni paleoantropologi sarebbero andati in visibilio alla notizia… Altri l’avrebbero presa malissimo.
Ma…
Ma…
Ma allora Ponter era di un’altra specie! Mary aveva visto Show Boat, quando lo avevano rappresentato a Toronto, con Cloris Leachman nel ruolo di Parthy. Sapeva che gli incroci genetici erano una gran bella cosa, ma…
Ma il termine “incrocio genetico” non si adattava a un’umana che si accoppiasse con uno che non apparteneva alla sua specie. Non che lei e Ponter lo avessero fatto. Chiaro.
No, il termine adatto era…
“Gesù…” pensò Mary.
Bestialità.
Però…
No.
Ponter non era una bestia. L’uomo che l’aveva violentata… uno della stessa specie di Mary, un Homo sapiens… quello era una bestia. Non Ponter.
Lui era un gentiluomo.
Un uomo gentile. Nobile.
I suoi cromosomi potevano essere quanti volevano. Ponter era un essere umano. Un uomo che lei non vedeva l’ora di riabbracciare.
13
Dopo tre giorni, gli esperti canadesi del Laboratorio per il controllo epidemiologico, e i loro corrispettivi yankee dei Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie, affermarono all’unanimità che l’ambasciatrice Tukana Prat e l’inviato Ponter Boddit non erano portatori di alcuna forma virale, e potevano uscire dalla quarantena. I due neanderthal, scortati da cinque militari e dal dottor Montego, avanzarono circospetti lungo il tunnel della miniera fino alla gabbia metallica dell’ascensore, con cui affrontarono il lungo tragitto fino alla superficie. Pareva che la notizia della loro risalita li avesse preceduti: il vasto salone in cui sbucava l’ascensore era stipato di minatori e altri dipendenti della Inco.
— Il parcheggio è diventato una sala stampa — li avvisò Hélène Gagné. — A lei, ambasciatrice Prat, toccherà ovviamente rilasciare una breve dichiarazione.
Tukana sollevò un sopracciglio. — Che genere di dichiarazione?
— Un saluto. La solita prassi ufficiale.
Ponter non aveva idea di che si trattasse, ma per fortuna non era compito suo. Hélène accompagnò lui e Tukana all’esterno del salone, nell’aria autunnale di Sudbury. La temperatura superava di almeno 2 gradi centigradi quella del mondo da cui arrivava Ponter; però era anche vero che erano trascorsi tre giorni, quindi quella variazione climatica non necessariamente dimostrava l’effetto serra.
Comunque Ponter scosse la testa, perplesso. La volta scorsa, quando era uscito dalla miniera, era in stato di incoscienza a causa della ferita alla testa. Adesso ebbe modo di constatare con i suoi occhi le dimensioni dell’impianto, come un’immensa ferita inflitta alla Terra; vasti spazi in cui tutti gli alberi erano stati sradicati; l’ampio… “parcheggio”, come lo chiamavano, in cui si ammassavano centinaia di veicoli privati.
E la puzza! L’improvvisa zaffata nauseabonda di questo mondo lo fece barcollare. Basandosi sulle descrizioni fornite da Ponter, la compagna di Adikor, Lurt, gli aveva anche elencato le probabili fonti di quell’odore della Terra gliksin: diossido di azoto, diossido di zolfo e altri veleni prodotti dalla combustione petrolchimica.
Ponter aveva preavvisato Tukana, la quale stava cercando di turarsi il naso con la massima discrezione possibile. Quanto a lui, il dolce ricordo che aveva degli amici di quaggiù gli aveva fatto dimenticare, o rimuovere, gli orrori che i gliksin avevano compiuto sulla loro versione del pianeta.
Alla sua scrivania, Jock Krieger stava navigando per le due Reti: il normale Internet e la vasta schiera di siti web governativi segreti, accessibili solo tramite linee dedicate in fibra ottica e previa autorizzazione.
A Jock non era mai piaciuto imbattersi in qualcosa che non comprendesse; l’ignoranza era l’unica cosa che gli desse la brutta sensazione di perdere il controllo della situazione. Perciò adesso si dava da fare per aggiornarsi sulla faccenda dei collassi geomagnetici, soprattutto dopo che, da Sudbury, si era diffusa la notizia che si trattava di fenomeni piuttosto improvvisi.
Si era aspettato di trovare migliaia di pagine web sull’argomento; ma, per quanto tutti i siti di informazione nell’ultima settimana avessero ammassato dati raccogliticci, perlopiù facendo copia-incolla delle opinioni dei soliti quattro esperti, esistevano pochi veri studi dedicati al fenomeno. Anzi, circa metà degli interventi provenivano da sedicenti scienziati creazionisti i quali si sforzavano di controbattere l’evidenza delle inversioni magnetiche di epoca preistorica, obiettando soprattutto che avrebbero richiesto un lasso di tempo eccessivo, dato che la Terra aveva solo poche migliaia di anni.