— Che cosa è successo? — chiese di nuovo Louise.
Mary prese un respiro profondo ed espirò piano. Louise era quanto di più simile avesse a un’amica qui negli States. Keisha, la consulente per casi di violenza a cui si era rivolta a Sudbury, sembrava lontana anni luce. Ma…
No. Non voleva parlarne. Non se la sentiva di dare voce al proprio dolore.
0 al suo senso di colpa.
Però qualcosa doveva pur dire. — Non è niente — riuscì a spiccicare. — È solo… — Individuò sulla scrivania un rotolone di carta da cucina e ne usò un foglio per asciugarsi. — Solo una questione di uomini.
Louise annuì con aria da intenditrice, come di fronte a un… come lo avrebbe definito? Un affaire de coeur finito male. Mary sospettava che nel corso degli anni Louise, di fidanzati, ne avesse avuti parecchi. — Gli uomini! — disse, sollevando al cielo gli occhi castani. — Non si può vivere con loro, e non si può vivere senza di loro.
Mary stava per annuire, quando si ricordò che nel mondo di Ponter quel ragionamento non avrebbe funzionato. E poi, Cristo, mica era una liceale alla prima cotta. E neanche Louise, se era per quello. Però abbozzò:
— Quanti guai, di cui sono responsabili…
A sua volta Louise fu d’accordo, e rincarò la dose:
— Be’, certo non ci sono donne dietro la maggior parte degli attacchi terroristici.
D’accordo, pensò Mary, ma il problema era un altro.
— Non è questione di immigrati. Intendevo gli uomini di qui… degli Stati Uniti, del Canada.
Louise si accigliò. — Che è successo?
Alla fine, Mary sputò il rospo. Almeno in parte. — Ho ricevuto una telefonata dalla York University. Mi hanno detto che al campus c’è stata una violenza.
— Oh mio Dio — disse Louise. — Su una donna che conosci?
Mary scosse la testa, anche se si rese immediatamente conto di non sapere la risposta. “Cristo” pensò “e se invece fosse qualcuna che conosco? Una mia studentessa?”
— No — disse Mary, come se il gesto del capo fosse insufficiente. — Ma mi ha depresso. Tanto. — Osservò Louise: così giovane e carina. Abbassò gli occhi. — È una cosa così schifosa.
Louise annuì, con quell’aria esperta di prima. Come se… a Mary si annodò lo stomaco… come se avesse intuito a cosa alludeva Mary. Ma lei non avrebbe potuto approfondire l’argomento senza rivelare la propria storia, e non si sentiva pronta. Non ancora, almeno. — Gli uomini possono essere terribili. — Suonava tanto come uno slogan alla Bridget Jones, ma era la verità.
La porca verità.
15
Ponter Boddit e Tukana Prat diventarono (o, secondo altri pareri legali, vennero ufficialmente riconosciuti come) cittadini canadesi quella stessa sera al palazzo del Parlamento. La cerimonia venne officiata dal ministro federale dell’Immigrazione, alla presenza di giornalisti da tutto il mondo.
Ponter fece del suo meglio al rito del giuramento, imparato a memoria sotto l’egida di Hélène Gagné; pronunciò appena qualche parola in modo scorretto: — Eo giuro che manterrò fedeltà e pe-ena lealtà a Sua Maestà la Re-ge-na Elisabetta II, sovrana del Canada, e ai suoi eredi e successori, e che osserverò fedelmente le leggi del Canada, com-pe-endo i me-ei doveri di cittadino del Paese. — Hélène fu così entusiasta dalla performance di Ponter da mettersi spontaneamente ad applaudire al termine della formula, il che le procurò una severa occhiata da parte del ministro.
Tukana dovette lottare più di una volta con le parole, però alla fine ce la fece anche lei.
Al termine della cerimonia, rinfresco a base di vino e formaggio; dove Hélène notò che i neanderthal non assaggiarono nessuna delle due cose. Il loro popolo non consumava latte né i suoi derivati, così come non pareva apprezzare i cereali. Saggiamente, Hélène li aveva fatti cenare prima della cerimonia, per evitare che facessero piazza pulita della frutta e degli insaccati; Ponter sembrava un patito del prosciutto affumicato.
Ai due neanderthal erano stati forniti non solo il certificato di cittadinanza canadese ma anche la tessera sanitaria dell’Ontario e il passaporto. Il giorno dopo sarebbero volati negli Stati Uniti. Prima però, restava loro un dovere ufficiale da compiere in Canada.
— È stata di tuo gradimento, la cena dal Primo ministro canadese? — chiese Selgan, sempre sulla sua sella all’interno dell’ufficio rotondo.
Ponter annuì. — Altroché! C’era un sacco di gente interessante, e abbiamo divorato bistecche alte così, dagli allevamenti dell’Alberta… un’altra zona del Canada, mi pare. Tanta verdura, poi: alcuni generi li conoscevo, altri no.
— Non mi spiacerebbe provare quelle bistecche — disse Selgan.
— Ottima carne — disse Ponter — anche se sembra l’unico taglio di mammifero che consumano, oltre a una specie di cinghiale che hanno ottenuto tramite selezione artificiale.
— Ah. Be’, una volta o l’altra proverò anche quello. — Fece una pausa. — Dunque, facciamo il punto. Eri tornato sano e salvo sull’altra Terra, ma per il momento le circostanze ti avevano impedito di rivedere Mèr. Tuttavia, avevi incontrato le massime autorità del luogo in cui ti trovavi. Avevi mangiato bene, e ti sentivi… come? Soddisfatto?
— Immagino si possa dire così. Ma…
— Ma…?
— Ma il senso di soddisfazione non è durato a lungo.
Dopo la cena al numero 24 di Sussex Drive, Ponter era stato accompagnato in macchina all’hotel Chateau Laurier, e si era quindi ritirato nel dedalo di stanze che gli erano state riservate. Un posto opulento, per usare il termine gliksin più adeguato, con decorazioni che superavano di gran lunga qualunque ambiente avesse visto nel suo mondo.
Tukana aveva seguito Hélène, per ripetere per l’ennesima volta il discorso da tenere all’ONU il giorno successivo. Al Palazzo di vetro Ponter non avrebbe dovuto dire nulla, tuttavia passò la serata a leggere materiale sulla storia dell’organismo internazionale.
Detto così, non è esatto: né lui né Hak erano ancora in grado di leggere. In compenso il governo canadese gli aveva fornito un computer che si apriva come una vongola, e che conteneva un’intera enciclopedia; una fastidiosa voce meccanica pronunciava le parole che comparivano a video. Ponter rifletté che il suo popolo avrebbe potuto insegnare parecchie cose ai gliksin in materia di voci elettroniche. Comunque, Hak ascoltava la lettura e poi traduceva a Ponter.
All’inizio della sezione NAZIONI UNITE c’era un rimando allo Statuto, probabilmente il testo di fondazione. Ma l’incipit del documento aveva fatto inorridire Ponter:
Noi, popoli delle Nazioni Unite, determinati a preservare le generazioni future dal flagello della guerra, che per due volte nella presente generazione ha arrecato sofferenze indicibili all’umanità…
Due guerre, e nell’arco di una generazione! Di conflitti ne erano scoppiati anche nel mondo di Ponter, ma il più recente risaliva a 20 migliaia di mesi prima. Era stato un evento spaventoso, e le sofferenze che aveva prodotto erano purtroppo ben “dicibili”: ogni giovane veniva educato insegnandogli che la guerra aveva mietuto 719 vittime.
Un bilancio umano raccapricciante. E tuttavia i gliksin avevano combattuto non una, ma due guerre nel breve lasso di mille lune.
Però, da quanto tempo esistevano queste Nazioni Unite? Forse la “presente generazione” a cui si riferiva lo Statuto era passata da secoli. Ponter chiese ad Hak di ascoltare fino alla fine per scoprire se a un certo punto compariva la data di fondazione. E la trovò: 1945.
L’anno in corso, in base al calendario gliksin, iniziava con il numero 2. — Esattamente, quanto tempo è passato? — chiese Ponter.