— E allora — disse Ponter, riabbracciandola — come stai?
Mary non capiva più se quel battito frenetico provenisse dal proprio cuore o da quello di Ponter. — Bene, adesso che sei qui.
L’aula delle assemblee generali dell’ONU consiste in una serie di semicerchi concentrici intorno a un palco. Ponter era stupito dalla varietà di fisionomie che vedeva. Già in Canada aveva notato una notevole varietà nel colore della pelle e nelle caratteristiche somatiche; anche negli Stati Uniti era così, per il poco di esperienza che ne aveva. Qui ebbe modo di constatare quella molteplicità di etnie che, secondo Lurt, era dovuta a periodi prolungati di isolamento geografico; partendo dal presupposto, avallato da Mary, che fossero anche possibili gli incroci genetici.
Con la differenza che qui i rappresentati di ogni singolo Paese avevano la pelle del medesimo colore. Perfino quelli di Canada e Stati Uniti erano tutti “bianchi”.
In più, Ponter era abituato, nel suo mondo, a Consigli composti o da persone dello stesso sesso, o da persone dei due sessi in percentuali uguali. Qui invece c’era un 95 per cento di uomini, con qualche donna qua e là. Era possibile che vigesse una gerarchia tra le “razze”, come le chiamava Mary, con al vertice gli umani di pelle chiara? E allo stesso modo, era concepibile che alle femmine gliksìn fosse accordato uno status inferiore, essendo ammesse solo raramente nella cerchia del potere?
Un’altra cosa che colpì Ponter fu l’età di molti diplomatici. Qualcuno era addirittura più giovane di lui! Una volta Mary gli aveva detto che si tingeva i capelli per nascondere quelli grigi, il che per Ponter era un’assurdità, come se uno volesse nascondere la propria saggezza. Gli uomini gliksin sembravano meno propensi a colorarsi i capelli… forse perché la loro saggezza veniva più spesso messa in dubbio. In ogni caso, anche all’ONU di teste brizzolate se ne scorgevano poche.
Le preoccupazioni sociologiche di Ponter si acquietarono un po’ quando vide che la massima autorità locale, che aveva la sorprendente carica di “amanuense-guerriero supremo”, era un uomo di pelle scura, con all’attivo un numero passabile di mesi. Hélene Gagné gli aveva sussurrato che quell’uomo aveva appena “vinto il premio Nobel per la pace”, qualunque cosa fosse.
Ponter sedeva tra la delegazione canadese. Purtroppo a Mary non era stato concesso un posto nella sala principale, per cui stava probabilmente seguendo l’assemblea da una delle gallerie per il pubblico, situate a un livello superiore. Al di sopra del podio era fissato un enorme simbolo azzurro delle Nazioni Unite. Per quanto, a livello cerebrale, Ponter accettasse la realtà di quel mondo, c’era ancora una parte di lui, sul piano emotivo, che riteneva che quella Terra non avesse nulla a che fare con la sua; eppure, quel simbolo conteneva al centro una mappa in proiezione del pianeta, in tutto simile a quelle che Ponter aveva visto in patria. Avvolta però dalle foglie di una qualche specie di pianta. Ne chiese il significato a Hélène, che gli spiegò che si trattava di ramoscelli d’ulivo, simbolo di pace.
La torre della pace, il premio per la pace, il ramoscello simbolo di pace. A dispetto del loro continuo coinvolgimento nella guerra, i gliksin sembravano pensare spesso alla pace. Parola che, con un certo conforto di Ponter, era anch’essa molto breve.
Dopo un lungo discorso introduttivo dell’amanuense-guerriero supremo, fu il turno di Tukana. Si alzò e raggiunse il podio, mentre i gliksin eseguivano la cosa chiamata “applauso”. Tukana portava una scatoletta in legno lucidato, che posò sul leggio.
Il Segretario generale le strinse le mano, quindi le lasciò campo libero.
— Vi saluto, popoli di questa Terra — disse il Companion di Tukana, traducendo le sue parole. — Vi porgo il saluto a nome del Gran Consiglio dei Grigi, e dell’intera popolazione del mio mondo.
Quindi, con un cenno in direzione di Ponter: — La prima volta che uno di noi è approdato qui, si è trattato di un caso imprevisto. Questa volta invece l’evento è stato voluto, e con grandi aspettative, da parte del mio popolo. Desideriamo vivamente stabilire relazioni stabili e pacifiche con ognuna delle nazioni qui rappresentate…
Continuò su quel tenore per un po’, affastellando luoghi comuni. Eppure i gliksin, notò Ponter, pendevano dalle sue labbra; tranne alcuni di quelli più vicini a lui, che lo scrutavano con discrezione.
— E ora — disse Tukana, come decidendo che era ora di venire al punto — è con immenso piacere che intendo avviare il primo scambio tra i nostri due popoli. — Si rivolse all’uomo di pelle scura, rimasto in piedi accanto al podio. — Se lei è pronto…
L’amanuense-guerriero supremo salì sul podio, portando anche lui una scatoletta in legno. Tukana aprì la propria, che le era appena stata fatta pervenire dal lato opposto del varco.
— In questo contenitore — disse l’ambasciatrice — si trova una copia esatta di un cranio rinvenuto nel nostro mondo. Su questa Terra ne è stata dissepolta la controparte, classificandola come AL 288-1: si tratta di un esemplare di Australopithecus afarensis, diventato famoso con il nome di “Lucy”. — Al Companion di Tukana era stato insegnato a pronunciare correttamente la “y”.
Per la sala si era diffuso un mormorio. A Ponter era stato spiegato il significato del gesto: in entrambi gli universi paralleli erano stati scavati dal terreno i reperti fossili di questa femmina pre-ominide adulta. Su questa Terra, la località del rinvenimento era stata Hadar, in Etiopia; il luogo neanderthaliano corrispondente si chiamava Kakarana. Su questa versione del pianeta, il cranio fossile era stato pesantemente danneggiato dall’erosione prima che Donald Johanson lo rinvenisse nell’anno gliksin 1974. Viceversa, sul pianeta di Ponter lo scheletro era stato scoperto prima che gli agenti atmosferici lo danneggiassero granché. Si trattava di un omaggio intelligente, pensò Ponter: lasciava intendere che in entrambi i mondi esistessero gli stessi depositi fossili e minerali, con gli indubbi benefici che avrebbe portato un baratto di informazioni.
— Accetto con gratitudine il dono, a nome di tutti i popoli di questa Terra — disse il Segretario generale. — In cambio, la prego di accettare questo dono da parte nostra. — Porse la scatola a Tukana, che la aprì e ne mise in mostra il contenuto. Sembrava una roccia avvolta in plastica trasparente. — Questo campione di breccia — spiegò l’uomo — è stato raccolto da James Irvin presso Hadley Rille. — Pausa a effetto, per gustare l’espressione interrogativa di Tukana. Poi, allegramente, spiegò: — Hadley Rille si trova sulla Luna.
Tukana strabuzzò gli occhi. Anche Ponter era sbalordito. Un pezzo di Luna! Come aveva potuto pensare di non avere fatto la cosa giusta, a stringere relazioni con questi umani?!
17
Mary scese di corsa la scalinata che portava al salone delle assemblee dell’ONU. Ponter e Tukana si stavano allontanando sotto la scorta di quattro poliziotti in uniforme. Mary provò a lanciarsi verso i due neanderthal, ma venne bloccata da uno dei piedipiatti: — Spiacente, signora.
Lei gridò: — Ponter! — e lui si voltò verso di lei. — Mèr! — Poi, con la traduzione di Hak: — Le consenta l’accesso, tenente. È un’amica.
Il poliziotto annuì e si fece da parte. Mary si affrettò a raggiungere Ponter, che le chiese: — Come ti pare che ce la siamo cavata?
— In modo brillante! — rispose lei. — Di chi è stata l’idea di donare una copia del cranio di Lucy?
— Di uno dei geologi della Inco.
Mary era ancora estasiata. — Una scelta azzeccatissima.
L’ambasciatrice Prat si voltò verso Mary: — Ci stiamo allontanando da questa struttura allo scopo di pranzare. Gradirebbe unirsi a noi?
Mary sorrise. La neanderthal non aveva forse troppa familiarità con le esigenze della diplomazia gliksin, ma era senz’altro molto cortese. — Sarebbe magnifico — rispose Mary.