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Si abbatté sull’attentatore schiacciandolo contro il marciapiede; i loro due corpi uniti scivolarono avanti di qualche metro. Tukana avvertì i passi dei poliziotti in avvicinamento. L’uomo tentò di torcere la schiena per sparare di nuovo; Tukana afferrò con la mano la molliccia nuca di quella testa fragile, e spigolosa, e…

Non le restava nessuna alternativa.

Nessuna.

Gli fece sbattere con violenza la testa contro la roccia artificiale che rivestiva il suolo. Il cranio si spaccò in due, aprendosi come un melone maturo.

Tukana si sentiva il cuore che martellava. Respirò per calmarsi.

All’improvviso si rese conto che tre dei quattro poliziotti li avevano raggiunti. Erano schierati di fronte a lei con le pistole spianate, puntate a due mani contro l’uomo a terra.

Rialzandosi, Tukana notò l’espressione di orrore dipinta sulla faccia di uno dei gliksin.

Il poliziotto di mezzo si chinò in avanti e vomitò.

Il terzo, a occhi spalancati, gorgogliò: — Cristo Signore!

Tukana abbassò lo sguardo sull’uomo che aveva sparato a Ponter. Morto. Morto. Decisamente, indubitabilmente morto.

Il lamento delle sirene si avvicinava.

18

— Situazione di crisi! — gridava Jock Krieger mentre percorreva a grandi passi i corridoi della sede Synergy di Rochester. — Tutti al salone conferenze!

Louise Benoit si affacciò dal laboratorio. — Che c’è?

— In sala conferenze! Subito! — ripeté Jock voltandosi verso di lei ma senza fermarsi.

Ci vollero meno di cinque minuti perché tutti si radunassero nell’ex soggiorno del palazzo di lusso. — Okay, squadra — disse Jock — è ora di meritarsi quel vostro stipendio da favola.

— Che cosa è successo? — chiese Lilly dell’ufficio imaging.

— Hanno sparato a Enne Uno a New York — disse Jock.

— Hanno sparato a Ponter! — esclamò Louise spalancando gli occhi.

— Già.

— E… ed è…

— Vivo. Non so altro sulle sue condizioni.

— E l’ambasciatrice? — chiese Lilly.

— Sta bene — rispose Jock. — In compenso, ha ammazzato l’attentatore.

— Oh mio Dio — disse Kevin, anche lui dell’immagina.

— Mi pare che conosciate tutti il mio curriculum — disse Jock. — Il mio campo sono le teorie dei giochi. Be’, la posta è appena diventata altissima. Adesso dovrà per forza accadere qualcosa di grosso. E noi dobbiamo riuscire a immaginare che cosa, in modo da mettere in guardia il Presidente, che…

— Il Presidente — sottolineò Louise.

— Esatto. La ricreazione è finita. La Casa Bianca deve scoprire come reagiranno i neanderthal, e come dovremo reagire noi a qualsiasi loro mossa. Bene, signore e signori: servono idee. Fatevele venire!

Tukana Prat osservava l’uomo che aveva ucciso. Nel frattempo la raggiunse anche Hélène Gagné, che la prese a braccetto e la aiutò a camminare, allontanandola dal cadavere.

— Non intendevo ucciderlo — disse Tukana, a voce bassa, quasi stordita.

— Lo so — rispose Hélène con dolcezza. — Lo so.

— Lui… lui ha tentato di uccidere Ponter. E poi me.

— Lo hanno visto tutti. Si è trattato di legittima difesa.

— Sì, ma…

— Lei non aveva scelta — disse Hélène. — Doveva fermarlo.

— Fermarlo, sì — disse Tukana. — Ma non… non…

Hélène fece compiere a Tukana una mezza rotazione e la afferrò per le spalle. — Si è trattato di legittima difesa, mi ha compreso? Non pensi neppure per un istante che sia stata qualsiasi altra cosa.

— Ma…

— Mi ascolti! È già una situazione abbastanza incasinata così!

— Io… io devo conferire con i miei superiori.

— Anch’io — disse Hélène. — E… — Le squillò il cellulare. Lei lo pescò dalla tasca e lo aprì. — Allò? Oui. Oui. Je ne sais pas. J’ai… un moment, s’il vous plait. — Coprì il telefonino con una mano e sussurrò a Tukana: — Il premier.

— Cosa?

— L’ufficio del Primo ministro. —Riprese a parlare al telefono: — Non. Non, mais… Oui, beaucoup de sang… Non, elle est saine et sauve. D’accord. Non, pas de problème. D’accord. Non, aujourd’hui. Oui, maintenant… Pearson, oui. D’accord, oui. Au revoir. — Richiuse il cellulare e lo ripose in tasca. — La riporterò in Canada non appena la polizia avrà terminato di interrogarla.

— Interrogarmi?

— Solo una formalità. Poi torneremo a Sudbury, in modo che lei possa fare rapporto sul suo mondo. — Hélène guardò l’ambasciatrice con il viso infiammato; sudava. — Cosa… cosa pensa che decideranno i suoi superiori?

Tukana si voltò di nuovo verso l’uomo ucciso, poi verso gli infermieri chini su Ponter, che giaceva riverso sulla schiena. — Non ne ho idea.

— Molto bene — disse Jock, camminando avanti e indietro per il lussuoso soggiorno di Seabreeze. — Sono solo due i punti fermi. Uno: la parte lesa sono loro. Dopotutto, senza nessuna provocazione, uno dei nostri ha piantato una pallottola in corpo a uno di loro. Due: siamo parte lesa anche noi. Okay, uno dei nostri ha sparato a uno dei loro, ma il neaderthal è vivo, e il gliksin è morto.

Louise scosse la testa. — Non mi va di considerare quel terrorista, o assassino, o cos’altro diavolo era, come “uno dei nostri”.

— Neppure a me — disse Jock — ma è quello il suo ruolo. Il gioco prevede gliksin contro neanderthal, e viceversa. E qualcuno dovrà pur fare la prossima mossa.

— Potremmo chiedere scusa — propose Kevin Bilodeau, appoggiandosi all’indietro sullo schienale della sedia. — Fare di tutto per dimostrare quanto siamo dispiaciuti.

— Io dico: aspettiamo di vedere cosa decideranno loro — fece Lilly.

— E se decidessero di andarsene sbattendo la porta? — chiese Jock, girandosi a guardarla. — Se staccassero la spina al loro dannato computer quantistico? — Tornò a fissare Louise. — Quanto vi manca per riuscire a replicare quella tecnologia?

Lei rispose con un pffft! — Stai scherzando? Abbiamo appena cominciato.

— Non possiamo permettere che si avvicinino al varco — disse Kevin.

— Sentiamo: che suggerisci? — grugnì uno dei sociologi dello staff, un corpulento cinquantenne bianco. — Di mandare l’esercito a fare un posto di blocco?

— Perché no? — disse Jock.

— Non starai dicendo sul serio! — scattò Louise.

— Perché, hai un’idea migliore? — replicò lui.

— Non sono degli idioti, chiaro? — rispose Louise.

— Sono sicura che abbiamo preso delle contromisure per impedirci di fare proprio questo.

— Forse, o forse no — disse Jock.

— Occupare militarmente il varco sarebbe il naufragio della diplomazia — disse Rasmussen, un tipo dall’aspetto rozzo, ma esperto di geopolitica. Il suo compito era immaginare la possibile suddivisione in Stati del mondo neanderthaliano, dato che la geografia fisica era identica. — Non rifacciamo la scenetta del canale di Suez.