— Ma cazzo! — imprecò Jock, sferrando un calcio a un cestino della cartaccia. — Ma porca… — Scosse la testa.
— Tutta la teoria dei giochi si basa sull’individuazione delle mosse più probabili da entrambe le parti. Ma qui non è come giocare alla guerra nucleare, qui è come una partita a basket in cortile. Se noi non facciamo qualcosa, quelli sono capaci di riprendersi il pallone e tornarsene a casa, e tanti saluti!
Tukana aveva preso un volo dell’Air Canada dall’aeroporto JFK di New York al Pearson di Toronto, quindi un aereo dell’Air Ontario fino a Sudbury, sempre accompagnata da Hélène. All’aeroporto di Sudbury le attendeva un’automobile che le riportò alla miniera di Creighton. L’ambasciatrice era scesa nel sottosuolo in ascensore, aveva attraversato l’Osservatorio e ripercorso in senso inverso il tubo Derkers fino all’altro lato. Il suo lato.
Adesso si trovava nel Padiglione degli archivi a conferire con il consigliere Bedros, il quale era stato nominato supervisore della missione nella Terra dei gliksin, dato che il varco era situato nella regione di sua competenza.
Le immagini registrate nell’altro universo dal Companion, la cui memoria era stata potenziata allo scopo, erano state scaricate nell’archivio degli alibi di Tukana. Lei e Bedros avevano visto per intero il triste episodio proiettato sulla sfera olografica sospesa a mezz’aria.
— Non esiste il minimo dubbio sulla decisione da prendere — disse Bedros. — Appena Ponter si sarà rimesso abbastanza da poter lasciare l’ospedale, lo richiameremo indietro. E chiuderemo il collegamento con il mondo gliksin.
— Io non… non so se sia la reazione più giusta — disse Tukana. — Sembra che Ponter si ristabilirà completamente. A morire è stato un gliksin.
— Solo perché ha mirato male.
— Sì, ma se…
— Niente “se” né “ma”, ambasciatrice. Sto per chiedere al Consiglio di chiudere per sempre il varco, non appena sarà rientrato lo scienziato Boddit.
— Per favore. Questa è un’opportunità che non si ripeterà mai più.
— Quelli non si sono mai ripuliti il DNA! — ringhiò Bedros. — I caratteri ereditari più aberranti sono ancora ben rappresentati tra la popolazione.
— Lo so, ma ciononostante…
— E girano armati! E non per andare a caccia, ma per ammazzarsi tra loro! Quanti giorni gli ci sono voluti per aprire il fuoco su uno di noi? — Bedros scosse la testa. — Ponter Boddit ci ha riferito che cosa è successo alla nostra stirpe su quella Terra… ricordi? Lo aveva scoperto fin dal suo primo viaggio. Loro, i gliksin, ci hanno sterminati. Pensaci, ambasciatrice! Pensaci! Fisicamente, i gliksin sono deboli. Eppure sono riusciti a spazzarci via, pur con tutta la nostra forza fisica e le maggiori dimensioni del nostro cervello. Come possono esserci riusciti?
— Non saprei. In ogni caso, Ponter ha detto che quella era solo una delle ipotesi sul nostro destino su quel pianeta.
— Ci hanno annientati grazie alla loro astuzia — disse Bedros, come se Tukana non avesse profferito verbo. — Con l’inganno. Con una violenza inimmaginabile. I loro clan, armati di pietre e lance, devono essere penetrati nelle nostre valli e averci sopraffatti numericamente, finché il suolo non è stato intriso del nostro sangue, e di noi non ne è rimasto neppure uno. Eccola, la storia della loro civiltà!. È questo il loro stile! Sarebbe pura follia, da parte nostra, mantenere aperto quel varco.
— Il varco è situato in profondità tra le rocce, e non permette il passaggio a più di due persone per volta. Non credo proprio che dovremmo temere un…
— Mi pare di sentire, i nostri antenati che dicevano la stessa cosa, mezzo milione di mesi fa! “Toh guarda, un’altra specie umana. Be’, sono sicuro che non ci sia nulla di cui preoccuparsi. Dopotutto, gli accessi alle nostre vallate sono stretti”.
— Non sappiamo con certezza che cosa è accaduto — insistette Tukana.
— Perché correre il rischio? — chiese Bedros. — Perché correrlo anche solo per un giorno in più?
Tukana Prat spense l’olo-sfera e si mise a misurare il pavimento a grandi passi avanti e indietro. — Nel loro mondo — disse, in tono calmo — ho imparato cose dure da mandare giù. Ho scoperto che, in base ai loro standard, non sono granché come membro della diplomazia: faccio discorsi troppo succinti e troppo semplici. E poi, sì, lo ammetto, quella società ha tanti aspetti sgradevoli. Tu hai ragione a dire che sono violenti, e i danni che hanno procurato al loro ambiente sono incalcolabili. Ma in loro c’è anche qualcosa di grandioso. Ponter ha ragione quando afferma che un giorno raggiungeranno le stelle.
— Buon viaggio — commentò Bedros.
— Non essere cinico. Nel loro mondo ho visto opere d’arte di una bellezza stupefacente. Loro sono diversi da noi, e per temperamento e carattere riescono fare cose che noi non ci sogneremmo mai… cose straordinarie.
— Ma se uno di loro ha cercato di ammazzarti.
— Uno di loro. Uno su 6 miliardi. — Tukana tacque per alcuni istanti. — Sai qual è la più grossa differenza tra loro e noi?
Bedros era sul punto di fare del sarcasmo, ma si trattenne. — Sentiamo.
— Loro ritengono che ci sia uno scopo in tutto questo. — Con un ampio gesto abbracciò l’intero universo. — Ritengono che la vita abbia un senso.
— Solo perché si illudono che esista un’intelligenza che governa il mondo.
— In parte, sì. Ma si tratta di qualcosa di più profondo. Perfino i loro “atei”… quelli di loro che non credono in Dio… sono sempre alla ricerca di spiegazioni, di un significato. Noi esistiamo, ma loro vivono. Loro cercano.
— Anche noi cerchiamo. Facciamo progredire la scienza.
— Solo per motivi pratici. Se abbiamo bisogno di uno strumento migliore, studiamo finché non riusciamo a realizzarne uno. Loro invece si occupano di quelli che chiamano i massimi sistemi: perché siamo qui? A che serve tutto questo?
— Domande oziose.
— Sul serio?
— Certo che sì!
— Forse hai ragione tu — disse Tukana. — O forse no. Magari si stanno avvicinando alle risposte. Magari sono vicini a una nuova, grande luce.
— Che li farà smettere di scannarsi a vicenda? Di distruggere l’ecosistema?
— Come posso saperlo? Forse sì. In loro c’è del buono autentico.
— In loro c’è un’autentica pulsione distruttiva. L’unica possibilità che abbiamo di sopravvivere a un contatto con loro è che si auto-eliminino prima di eliminare noi.
Tukana chiuse gli occhi. — So che hai ottime intenzioni, consigliere Bedros, e che…
— Non ho bisogno della sviolinata.
— Non la stavo facendo. So che hai a cuore i migliori interessi del nostro popolo. E anch’io. Ma vedo le cose dalla prospettiva di una diplomatica.
— Una diplomatica incompetente — sibilò Bedros. — Lo dicono perfino i gliksin.
— I…io…
— O la tua diplomazia consiste nel massacrare gli indigeni?
— Ascolta, consiglierei quel fatto sconvolge me quanto te, e però…
— Basta così! — gridò Bedros. — Basta! Non avremmo nemmeno dovuto autorizzare Boddit a questa missione. È ora che qui tornino a comandare le teste più grigie e più sagge.
19
In silenzio, Mary entrò nella stanza in cui era ricoverato Ponter. Lo staff chirurgico non aveva avuto difficoltà a estrarre il proiettile: tutto sommato l’anatomia dei neanderthal, al di sotto del cranio, è quasi identica a quella dei sapiens, e inoltre i medici avevano potuto contare sulla costante assistenza di Hak. Ponter aveva perso una quantità di sangue che avrebbe richiesto una trasfusione; tuttavia si era preferito differirla finché non si fosse conosciuta meglio l’ematologia neanderthaliana. Nel frattempo a Ponter era stata inserita una flebo nel braccio, e i medici mantenevano regolari colloqui con Hak.