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Da dopo l’operazione, Ponter era rimasto perlopiù privo di sensi. Durante l’operazione invece era stato anestetizzato iniettandogli una sostanza contenuta nel suo cinturone medico, seguendo le istruzioni del Companion.

Mary osservava il torace poderoso di Ponter che si sollevava e abbassava. Ripensò alla prima volta che lo aveva visto: anche in quell’occasione era avvenuto in una camera d’ospedale. All’epoca, lo sguardo di lei era stupito di fronte a quell’evento che pareva impossibile: l’esistenza di un neanderthal moderno. Adesso però non vedeva in lui un esemplare di studio, né un fenomeno da baraccone, né un paradosso. Gli occhi di Mary erano lucidi di amore. E il cuore sembrava sul punto di spezzarsi.

Ponter sollevò le palpebre. — Mèr… — sussurrò.

— Non volevo svegliarti — disse lei, raggiungendo la sponda del letto.

— Ero già sveglio. Hak mi ha messo un po’ di musica. Poi, ho percepito il tuo profumo.

— Come ti senti? — chiese Mary, accostando al letto una seggiola metallica.

Ponter abbassò il lenzuolo. Il suo petto villoso era nudo, con una robusta fasciatura, macchiata di sangue rappreso, dalla spalla destra al torace.

— Vivrò — disse Ponter.

— Sono così addolorata per ciò che è successo — disse Mary.

— Come sta Tukana? — chiese lui.

Mary sollevò uri sopracciglio, sorpresa che non lo avessero informato. — Si è lanciata all’inseguimento dell’uomo che ti ha sparato.

Sull’ampia bocca di Ponter si intravide un sorriso. — Allora immagino che lui stia peggio di lei.

— Già — disse Mary, abbassando la voce. — Lo ha ucciso.

Per qualche secondo Ponter non reagì. Poi disse: — È raro che ci facciamo giustizia con le nostre mani.

— Mentre ti operavano, ho seguito un dibattito in televisione. L’opinione prevalente è che si sia trattato di legittima difesa.

— Perché, come lo ha ucciso?

Mary sollevò lievemente le spalle, rendendosi conto che non esisteva una maniera carina di dirlo. — Gli ha fatto sbattere la testa contro il marciapiede, e… l’ha spaccata.

Ponter tacque. Infine disse: — Che cosa le faranno, ora?

Mary aggrottò la fronte. Dopo aver letto una recensione entusiastica sul “Globe and Mail”, una volta aveva visto un poliziesco in cui un alieno veniva processato a Los Angeles con l’accusa di aver ucciso un essere umano. Ma qui c’era una differenza fondamentale.

— Gli ambasciatori non sono soggetti a molte leggi; la chiamiamo “immunità diplomatica”. Ne gode anche Tukana, in quanto era intervenuta alle Nazioni Unite in qualità di diplomatica accreditata dal Canada.

— Che vuoi dire?

Mary rimuginò alla ricerca di un esempio. — Nel 2001 un certo Andrej Kneyazev, del Corpo diplomatico russo in Canada, si ubriacò e investì in macchina due pedoni. Ma da noi non subì alcun processo, in quanto rappresentante ufficiale di un Paese straniero, anche se una delle due persone investite era morta. Questa è l’immunità diplomatica.

Da sotto le arcate prominenti, gli occhi di Ponter si spalancarono.

— In ogni caso — proseguì Mary — di fatto centinaia di testimoni hanno visto quell’uomo mentre ti sparava, e mentre apriva il fuoco anche contro Tukana, prima che lei… hmm… reagisse come ha fatto. Come dicevo, è probabile che passi in giudicato come un atto di legittima difesa.

— Sia pure così — mormorò Ponter — ma Tukana è una persona dal buon carattere. Tutto questo le peserà sulla coscienza. — Pausa di un istante. — Sei sicura che lei non corra rischi? — Sollevò la testa dal cuscino. — Dopo quello che è successo ad Adikor in mia assenza, temo di aver perso parecchia fiducia nel sistema giudiziario.

— Tukana è già tornata indietro, Ponter. Nel vostro mondo. Diceva di dover conferire con… come lo chiamate? Il Consiglio dei Grigi?

— Il Gran Consiglio dei Grigi — corresse lui — se intendi quello planetario. — Pausa. — Che cosa si sa dell’uomo rimasto ucciso?

Mary corrugò la fronte. — Si chiamava Rufus Cole. Si sta ancora indagando per scoprire se appartenesse a qualche organizzazione, e che movente avesse per attaccarvi.

— Che opzioni ci sono?

Mary fu presa in contropiede. — Come?

— Le opzioni. Gli eventuali motivi che poteva avere per attentare alle nostre vite.

Mary fece spallucce. — Forse era un fanatico religioso, scandalizzato dal vostro ateismo, o dalla vostra stessa esistenza, che mette in dubbio il racconto biblico della creazione.

Di nuovo, Ponter era esterrefatto. — Uccidermi non avrebbe cancellato il fatto che, prima, esistevo!

— Questo è ovvio, ma… be’, sto tirando a indovinare… magari Cole pensava che tu fossi uno strumento di Satana… — Mary si bloccò sentendo un bip. — Il diavolo, il maligno, l’avversario di Dio.

L’informazione incuriosì Ponter. — Dio ha un avversario?

— Sì. Voglio dire, è ciò che afferma la Bibbia. Però, a parte gli integralisti… quelli che prendono la Bibbia alla lettera… la maggior parte dei credenti non ritengono che Satana sia un personaggio reale.

— Perché no? — chiese Ponter.

— Be’, immagino perché si tratta di una credenza ridicola. Capisci, solo uno stupido potrebbe prendere sul serio un’idea simile.

Ponter aprì la bocca per dire qualcosa, poi parve ripensarci e tacque.

— Comunque — si affrettò ad aggiungere Mary, che non ci teneva a impelagarsi in quel discorso — l’attentatore poteva anche essere un agente segreto al servizio di un Paese straniero, o un terrorista. Oppure ancora…

Ponter sollevò un sopracciglio per invitarla a proseguire.

Mary fece di nuovo spallucce. — Oppure, semplicemente, un pazzo.

— Permettete ai pazzi di possedere armi?

L’istinto canadese di Mary le suggerì di rispondere che solo loro le usano, ma lo tenne per sé. — In realtà, c’è quasi da sperare che sia stato questo il movente. Se era un pazzo che agiva isolato, non c’è da temere che l’episodio si ripeta. Ma se apparteneva a un gruppo terroristico…

Ponter abbassò gli occhi. Così facendo, lo sguardo gli cadde sulla fasciatura. — Speravo che questo fosse un mondo in cui poter accompagnare le mie figlie in visita.

— Mi piacerebbe tanto incontrarle — disse Mary.

— Cosa sarebbe successo a quel… Rufus Cole… — Sbuffò. — Pensa! Per una volta che riesco a pronunciare senza difficoltà un nome gliksin, appartiene a uno che mi voleva morto! Sia come sia: cosa gli sarebbe successo, se non fosse stato ucciso?

— Sarebbe stato processato. E se fosse risultata la sua colpevolezza, probabilmente sarebbe stato condannato al carcere. — Hak emise un bip. — Una struttura di reclusione, in cui i criminali vengono tenuti separati dal resto della popolazione.

— Dici: “Se fosse risultata la sua colpevolezza”? Mi ha sparato!

— Sì, ma… ecco, se avesse agito per pazzia, sarebbe stata un’attenuante. Lo si sarebbe potuto dichiarare “innocente” per infermità mentale.

Ponter passava da una sorpresa all’altra. — Non sarebbe più sensato valutare l’infermità mentale di qualcuno prima di dargli una pistola?

Mary annuì. — Non troverai nessuno più d’accordo di me. Tuttavia, che piaccia o no, la situazione è questa.

— E se… e se io fossi rimasto ucciso? O Tukana? Che cosa avrebbero fatto a quell’uomo?