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Ponter non dubitava che Mary avesse realmente sofferto il trauma di cui gli aveva parlato, ma quello doveva essere solo il motivo ufficiale per rifiutare le sue avance.

Ma no.

Non era così.

Era scoccata una vera, mutua attrazione. Attraverso i confini del tempo, oltre le barriere tra specie diverse. Era stata reale. Ponter ne era sicuro.

Ma, si fosse ristabilito il contatto, la cosa poteva funzionare sul serio? Ponter ricordava con tenerezza i momenti meravigliosi trascorsi con lei. Si trattava solo di memorie interiori, in quanto il suo Companion non aveva potuto inviare segnali all’archivio degli alibi situato “dall’altra parte”. Così, adesso Mary esisteva solo nell’immaginazione di lui, nei suoi pensieri e nei suoi sogni: non era restato nessun segno tangibile a cui collegare il suo ricordo, tranne qualche flash registrato dal robot che Adikor aveva allungato attraverso il varco per recuperare Ponter.

Meglio così, in definitiva. Un ulteriore contatto non avrebbe fatto altro che guastare quel sogno.

Tuttavia…

Tuttavia c’era la possibilità effettiva di ristabilire il varco.

In piedi nel piccolo atrio, Ponter aveva sollevato lo sguardo sul suo compagno Adikor Huld. E quello aveva annuito per incoraggiarlo. Era arrivato il momento di entrare in Camera di Consiglio. Ponter afferrò il tubo Derkers compresso che aveva portato con sé, e i due attraversarono la porta massiccia, pronti ad affrontare i supremi Grigi.

— La presenza, qui, dello scienziato Boddit — disse Adikor Huld, indicando il collega — è la dimostrazione che è possibile passare da questo universo all’altro, e tornare indietro senza danni.

Ponter lanciò un’occhiata ai venti Grigi, dieci uomini e dieci donne, due per ciascuno dei governi locali del pianeta. In alcuni tribunali i giurati maschili sedevano da una parte della stanza e quelli femminili dall’altra, ma il Gran Consiglio dei Grigi si occupava di questioni che toccavano l’intera popolazione mondiale, e qui maschi e femmine sedevano alternati in cerchio.

— È anche vero — aggiunse Adikor — che, tranne la figlia di Ponter, Jasmel, che ha infilato la testa nel varco durante le operazioni di recupero, nessun altro di noi ha avuto quell’esperienza. La prima volta che abbiamo creato il varco, è stato per puro caso: è stato un risultato inatteso dei nostri esperimenti con il computer quantistico. Ora però sappiamo che questo universo e l’altro, quello dominato dai gliksin, si trovano in una qualche relazione di sovrapposizione quantistica. Il varco, da questo lato, si va sempre ad aprire esattamente su quell’altro mondo, tra tutti gli universi paralleli che esistono secondo i fisici. Inoltre, per quanto possiamo dedurre dalle esperienze fin qui condotte, il varco rimane aperto finché viene attraversato da qualche oggetto solido.

Bedros, un anziano Grigio da Evsoy, rivolse ad Adikor un’espressione corrucciata. — E quindi, che cosa propone, scienziato Huld? Che facciamo scivolare nel varco una staccionata per mantenerlo aperto?

Ponter, che si trovava in piedi accanto ad Adikor, si voltò leggermente per impedire a Bedros di notare il suo sorrisetto.

Adikor non aveva la stessa opportunità: il Grigio lo stava guardando negli occhi, per cui distogliere lo sguardo sarebbe stato oltraggioso. — Mmm, no — mugugnò.

— Avevamo in mente una soluzione più… diciamo… versatile. Dern Kord, un ingegnere nostro amico, ha proposto di inserire nel varco un tubo Derkers.

Era il segnale per Ponter di mostrare l’oggetto. Ponter fece scorrere le dita all’interno della stretta imboccatura, e tirò. Il tubo, realizzato in metallo flessibile, si espanse con un click, fino a raggiungere un diametro superiore all’altezza umana. — Questi tubi — spiegò Ponter — vengono utilizzati per rafforzare i tunnel delle miniere in casi di emergenza. Una volta che si sono espansi, oppongono resistenza a richiudersi. Anzi, l’unico modo per riportarli alle loro dimensioni originarie è tramite un de-bloccatore che libera le serrature a ogni intersezione dei segmenti metallici a croce.

Va ascritto a suo merito che Bedros comprese al volo.

— E voi ritenete che uno di questi aggeggi possa mantenere aperto il varco per un tempo indefinito in modo da permettere alla gente di passare, quasi fosse un tunnel tra i due universi?

— Esatto — rispose Ponter.

— E le malattie? — intervenne Jurat, una 141 del governo locale. Era seduta sul lato opposto rispetto a Bedros, per cui i due scienziati dovettero voltarsi di 180 gradi. — Ho saputo che lei si è sentito male, mentre si trovava sull’altra Terra.

Ponter annuì. — Sì. Laggiù ho conosciuto una fisica gliksin che… — Dovette fermarsi, perché dal Consiglio si era levata una risatina. Già, lui si era abituato all’idea, ma si rese conto che alla sua specie l’affermazione suonava ridicola, come se avesse detto “un filosofo delle caverne”.

— Comunque — proseguì — ha suggerito che la separazione tra le due linee spazio-temporali sia avvenuta… be’, lei diceva 40.000 anni fa, che corrisponde a mezzo milione di mesi. Da allora i gliksin hanno cominciato a vivere in condizioni di sovrappopolazione, allevando vaste mandrie di animali per ucciderli e nutrirsi. Inoltre, presso di loro si sono sviluppate malattie contro cui noi non siamo immunizzati. È possibile che sia avvenuto anche il contrario, malattie nostre che loro non conoscono, ma è più improbabile, data la minore densità della nostra popolazione. Così ritengono laggiù. In ogni caso, occorrerà provvedere a qualche sistema di decontaminazione con cui trattare tutti coloro che viaggiano in entrambe le direzioni.

— Un momento — disse Jindo, che proveniva dal continènte a sud, oltre la zona equatoriale disabitata. Per fortuna sedeva proprio accanto a Jurat, così non costrinse i due scienziati a un altro giro su se stessi.

— Questo tunnel tra i due mondi va collocato in fondo alla miniera di nichel di Debrai, mille braccia al di sotto della superficie, è così?

— Sì — rispose Ponter. — Vede, a rendere possibile l’accesso all’altro universo è il nostro computer quantistico, che per funzionare dev’essere schermato dalle radiazioni solari. A fornire lo schermo è proprio la massa di roccia sovrastante.

Bedros fece un cenno perché Adikor si voltasse di nuovo verso di lui. — Il che significa — disse — che il passaggio da un mondo all’altro non sarà uno spostamento in massa.

Jurat raccolse il suggerimento di Bedros: — Perciò non dovremo temere un’invasione. — Adikor si girò di nuovo verso Jurat, mentre Ponter restò a fissare Bedros, che aggiunse: — Non solo tutti loro dovranno attraversare quello stretto tunnel, ma dovranno salire per un bel pezzo fino a raggiungere la superficie, prima di mettere piede tra noi.

Ponter annuì. — Esatto. Lei ha colto nel segno.

— Apprezzo l’entusiasmo con cui affrontate il vostro lavoro — intervenne Pandaro, presidentessa del Consiglio, una 140 galasoyana che finora non aveva aperto bocca. Era seduta a metà strada tra Bedros e Jurat, per cui Ponter ruotò verso sinistra e Adikor verso destra. Ora entrambi la fronteggiavano. — Ma ditemi se ho capito bene. In nessun modo i gliksin sono in grado di aprire un varco sulla nostra Terra, è così?

— È così, presidentessa — rispose Ponter. — Sebbene io non abbia assolutamente scoperto tutto sulla loro tecnologia di calcolo, posso dire che sono ben lontani dal realizzare un computer quantistico che sia anche solo paragonabile a quello costruito da me e Adikor.