A bordo della sua BMW nera lasciò Seabreeze e raggiunse il campus lungo il fiume dell’Università di Rochester; il fiume in questione è il Genesee. Mentre la Synergy era in fase di organizzazione, erano bastate un paio di telefonate alle persone giuste per garantire al suo staff un diritto prioritario di accesso ai volumi della biblioteca dell’università. Lasciata la macchina al parcheggio di Wilmot, Jock si diresse all’edificio in mattoni della Carlson Science & Engineering Library, che prendeva il nome da Chester F. Carlson, inventore della xerografia. Sapeva che i giornali erano disponibili al piano terra; mostrò la sua tessera da VIP alla bibliotecaria, un donnone nero con i capelli raccolti in un fazzoletto rosso. Le disse che cosa gli serviva, e la donna si trascinò tra gli scaffali. Senza perdere un istante, Jock ne approfittò per scansionare con il proprio palmare alcuni articoli dal “New York Times” e dal “Washington Post” del giorno.
La bibliotecaria tornò cinque minuti dopo con le tre riviste arretrate da lui richieste (un numero di “Earth and Planetary Science Letters”, due di “Nature”), le quali, come aveva scoperto grazie a Internet, contenevano supplementi sull’inversione rapida del campo magnetico terrestre, autori: Coe et al.
Trovato un angolo appartato libero, Jock prese posto. Per prima cosa estrasse dalla ventiquattrore uno scanner portatile a batteria, che passò sulle pagine a cui era interessato, ricavandone immagini a 200 dpi che avrebbe letto a video più tardi con comodo. Rivolse perfino un sorriso al ritratto di Chester Carlson appeso sulla parete lì accanto: l’inventore avrebbe senz’altro apprezzato quella diavoleria tecnologica.
Quindi Jock si mise a leggere gli articoli originali su carta. La cosa più interessante, in quello pubblicato su “Earth and Planetary”, era che gli autori ammettevano senza problemi che le loro scoperte contrastavano con le nozioni acquisite, secondo cui un collasso magnetico dovrebbe richiedere interi millenni. Quella teoria, però, pareva basata non tanto su dati sperimentali quanto sulla vaga sensazione che il campo magnetico terrestre fosse difficile da capovolgere per le sue dimensioni. Coe e Prévot, al contrario, avevano raccolto prove a sostegno di collassi estremamente rapidi. 1 loro studi erano partiti dalle colate laviche presso le Steens Mountains nel sud dell’Oregon, dove un vulcano aveva eruttato 56 volte durante un’inversione di campo magnetico, fornendo praticamente delle istantanee del processo. Per quanto i ricercatori non avessero potuto determinare gli intervalli trascorsi tra un’eruzione e l’altra, sapevano però quanto tempo sarebbe occorso alla lava, in ogni eruzione, per raffreddarsi fino al punto di Curie: a quel punto la magnetizzazione delle rocce neonate sarebbe rimasta congelata, rivelando l’attuale orientamento e intensità del campo magnetico terrestre. Le analisi suggerivano che il campo fosse collassato in un periodo non più lungo di poche settimane, altro che millenni.
Su “Nature” Jock lesse quindi sia il pezzo di Coe e collaboratori, sia la recensione critica fattane da un certo Ronald T. Merrill, la quale non conteneva granché di più di ciò che Merrill definiva il principio di minor sbalordimento: un’asserzione dogmatica secondo cui era più facile ritenere che Coe e Prévot avessero preso un granchio, piuttosto che accettare una simile scoperta, per quanto non si riuscisse a trovare pecche nel loro lavoro.
Jock si allungò sulla sedia. A quanto pareva, le cose raccontate da Ponter a quel geologo canadese, Arnold Moore, potevano risultare ben fondate.
Il che significava che non c’era un attimo da perdere.
24
La Società di paleoantropologia teneva un meeting ogni anno, alternativamente in concomitanza con l’Associazione archeologi americani e l’Associazione americana di antropologia fisica. Quest’anno toccava alla prima, e la sede dell’incontro era il Crowne Plaza in Franklin Square.
L’agenda era molto semplice e lineare: 15 minuti a testa per le relazioni, con qualche occasionale buco per il dibattito. John Yellen, presidente della Società, faceva rispettare la tabella di marcia con rigore teutonico.
Dopo la prima tornata di scartoffie, molti dei paleoantropologi decisero di aggiornare la seduta al bar dell’hotel. — Sono sicura che sarebbero entusiasti di scambiare con te qualche chiacchiera informale — disse Mary a Ponter, mentre i due si trovavano nel corridoio che portava al bar. — Che dici, andiamo?
Piantato come una colonna accanto a loro c’era un agente dell’FBI, che era stato la loro ombra per l’intero viaggio.
Ponter allargò le narici. — C’è gente che fuma.
Mary annuì. — In un sacco di giurisdizioni, grazie al cielo, i bar sono rimasti l’unico posto pubblico in cui sia ancora consentito fumare. A Ottawa e altrove, è proibito perfino lì.
Ponter fece una smorfia. — Peccato che il meeting non si tenga a Ottawa.
— È vero. Ma se per te è insopportabile, non ci andremo.
Lui ci pensò. — Da quando sono qui, mi è venuta una serie di ideuzze per invenzioni, per lo più riadattando al mio pianeta alcune tecnologie gliksin. Immagino che a fare furore sarebbero soprattutto i filtri nasali, a tutela delle narici del mio popolo.
Mary fu d’accordo con lui. — Neanche a me piace l’odore del tabacco, per quanto…
— Entriamo — disse Ponter.
Mary si voltò verso l’agente dell’FBI. — Gradisci un drink, Carlos?
— Sono in servizio, signora — rispose lui deciso. — Ma lei e l’inviato speciale Boddit siete liberi di fare come vi pare.
Mary entrò per prima. Il salone era piuttosto scuro a causa del legno che rivestiva le pareti. Al bancone c’erano una decina di studiosi. Su un televisore sistemato in alto in un angolo scorrevano le immagini di una replica di Seinfeld. Mary riconobbe la puntata a colpo sicuro: era quando si scopriva che Jerry era un fanatico dentistofobo. Mary stava per inoltrarsi nel locale, quando Ponter le posò una mano su una spalla. — Quello non è il simbolo del tuo Paese?
Ponter stava indicando un’insegna elettrica che pubblicizzava la Molson Canadian. Pur non potendo leggere la scritta, aveva riconosciuto la foglia d’acero. — Oh sì — rispose Mary. — È questo a rendere famosa la mia terra qui: la birra. Cereali fermentati.
Ponter era ammirato. — Devi esserne orgogliosa.
Mary fece strada fino a uno dei gruppetti di persone che avevano preso posto sulle poltroncine intorno a un tavolo circolare. — Non ti dispiace, Carlos? — fece Mary.
— Io rimarrò qui — rispose l’agente. — Per oggi, ne ho sentite abbastanza sui fossili. — Andò al bancone e si accomodò su uno degli alti sgabelli, ma girò le spalle al barista per tenerli d’occhio.
Mary si rivolse agli occupanti del tavolo: — Possiamo aggiungerci alla comitiva?
I tre, due uomini e una donna, erano impegnati in un’accesa discussione, ma alzati gli occhi riconobbero subito Ponter. — Santo cielo, certo che sì! — esclamò uno degli uomini. Al tavolo c’era già una sedia libera; ne prese un’altra lì vicino.
— A che dobbiamo l’onore? — chiese l’altro uomo, mentre Mary e Ponter si sedevano.
Mary si era preparata a rispondere parte della verità: nei dintorni non c’era nessuno che fumava, e la disposizione delle sedie avrebbe impedito che si aggiungessero ulteriori avventori, non voleva che Ponter finisse soffocato dalla folla. Avrebbe però evitato di dire l’altra parte della verità: nel mezzo del locale c’era Norman Thierry dell’Università di Los Angeles, pomposo e sedicente esperto di DNA neanderthaliano, che sarebbe crepato dall’invidia per non potersi avvicinare a Ponter.
Alla fine, Mary si limitò a ignorare la domanda e andò avanti con le presentazioni. — Henry Cervo Che Corre — disse, indicando un nativo sulla quarantina. — Insegna indiano alla Brown University.