— Sul serio? È una prospettiva affascinante — disse Mary.
— Lo so, perché anche il mio popolo fa lo stesso. Però, in modo diverso. Quando andiamo a caccia…
Mary colse al volo: — Quando andate a caccia, non scegliete la via più facile. Non fate precipitare i branchi dai dirupi, né li colpite con le lance da una distanza di sicurezza, come invece facevano i miei antenati su questa versione della Terra. No. Anche su questo pianeta, i tuoi antenati si cimentavano in scontri corpo a corpo con le prede, abbattendole una per una, e piantando loro addosso le lance da vicino. Immagino che questo veicoli lo stesso messaggio che fumare e bere: “Ehi, dolcezza, so procurarti la cena a mani nude. Perciò, anche se la faccenda si facesse difficile, e fossi costretto a cacciare in modo più prudente, sta’ sicura che il lardo non mancherà mai sulla tavola”.
— Esatto — approvò Ponter.
Mary annuì. — I conti tornano. — Indicò un tipo smilzo seduto sul lato opposto del locale. — Quell’uomo, Erik Trinkaus, ha scoperto che i fossili di molti neanderthal presentano le stesse contusioni degli attuali partecipanti ai rodei, come se fossero stati disarcionati dagli animali durante una lotta ravvicinata.
— Sì, assolutamente — disse Ponter. — Qualche volta anch’io sono caduto da un mammut, quando…
— Da… cosa?! — esclamò Henry.
— Da un mammut, quando…
— Un mammut! — ripeté Angela incredula.
Mary sorrise. — Ho come l’impressione che la conversazione durerà ancora un po’. Offro io il prossimo giro.
25
— Perdoni l’intrusione, ambasciatrice Prat — disse il giovane inserviente, entrando nel salone di cortesia al palazzo delle Nazioni Unite. — È arrivata una valigia diplomatica per lei da Sudbury.
Tukana Prat osservò i dieci illustri neanderthal seduti in varie posizioni nel salone, intenti a guardare fuori dalla vetrata o distesi supini sul pavimento. Sospirò. — Come temevo — disse nella propria lingua; poi, tradotta dal Companion, ringraziò l’inserviente e prese la valigia in pelle, su cui era inciso lo stemma del Canada.
All’interno c’era una perla di memoria. Tukana sollevò la mascherina del Companion e la inserì all’interno. Poi chiese all’impianto di trasmettere il contenuto dall’altoparlante esterno, in modo che sentissero tutti.
— Ambasciatrice Tukana Prat — tuonò la voce del consigliere Bedros — ciò che hai fatto è inqualificabile! Io… noi, il Gran Consiglio dei Grigi esigiamo il rientro immediato tuo e di coloro che hai convinto con l’inganno a seguirti. Noi siamo… — pausa; a Tukana sembrò addirittura di sentirlo deglutire per calmarsi — noi siamo molto preoccupati per la loro sicurezza. Tutti loro rivestono ruoli di enorme importanza nella nostra società. Voi tutti dovete tornare immediatamente indietro, non appena ricevuto questo messaggio!
Lonwis Trob scosse la venerabile testa. — Giovane scalmanato.
— Be’ — commentò Derba Jonk, l’esperta in staminali — finché noi resteremo di qua, non c’è pericolo che loro chiudano il varco.
— Non c’è dubbio — disse il poeta Dor Farrer sorridendo.
Tukana annuì. — Vi ringrazio ancora per avere accettato di seguirmi fin qui. Qualcuno intende eseguire l’ordine del consigliere Bedros?
— Stiamo scherzando? — rispose Lonwis Trob, rivolgendo su Tukana i suoi occhi meccanici blu. — Sono decine di mesi che non mi diverto così.
Tukana sorrise. — Molto bene. Allora passiamo al programma per domani. Krik, tu domattina dovrai partecipare a una trasmissione chiamata Good Morning America: stanno coprendo loro le spese per far trasportare fuori dal varco un corno glaciale… sì, già sanno che va tenuto sotto ghiaccio. Jalsk, verrà a incontrarti qui a New York la squadra di atletica americana di una cosa chiamata “Olimpiadi”; l’incontro si terrà domattina nel Centro sportivo dell’università. Ora a te, Dor: un gliksin di nome Ralph Vicinanza, un cosiddetto agente letterario, ti ha invitato a un pranzo di lavoro. Quanto al giudice Harbron e allo studioso Klimilk, domani pomeriggio terrete una conferenza alla Columbia Law School. Borl! Tu e un rappresentante delle Nazioni Unite parteciperete a uno spettacolo serale con David Letterman, che verrà registrato nel pomeriggio. Io e Lonwis siamo stati invitati a parlare, domani sera, al Rose Center for Earth and Space. Oltre, naturalmente, a tutti gli incontri programmati qui all’ONU.
Il mago dell’intelligenza artificiale, Kobast Gant, sorrise. — Il mio caro Ponter Boddit dev’essere ben felice della nostra presenza: gli portiamo via una bella fetta di lavoro. Detesta essere al centro dell’attenzione.
Tukana annuì. — Già. Dopo quello che gli è successo, ha diritto a un po’ di relax.
Alla fine Ponter, Mary e l’onnipresente agente dell’FBI lasciarono il bar e si diressero verso gli ascensori. Erano soli; nessun altro in attesa di salire ai piani superiori; il portiere notturno, seduto alla reception a decine di metri di distanza, era intento a leggere “USA Today” masticando una delle mele fornite gratis dall’hotel.
— Il mio turno è finito da un pezzo, signora — disse Carlos. — Al piano troverete l’agente Burstein, che veglierà sulla vostra incolumità.
— Ti ringrazio, Carlos — disse Mary.
Lui annuì, e parlò a un microfono che teneva sul bavero: — Roccia e la principessa in arrivo. — Mary sorrise. Quando aveva saputo che l’FBI avrebbe assegnato loro dei nomi in codice (una vera fígata), aveva chiesto di poterli scegliere lei. Carlos tornò a rivolgersi a loro due: — Buonanotte, signora. Buonanotte, signore. — Ma ovviamente non se ne andò; si allontanò solo di qualche passo e attese che arrivasse l’ascensore.
All’improvviso Mary avvertì una vampata di calore, sebbene qui la temperatura fosse più bassa che al bar. No, a innervosirla non era la prospettiva di rimanere da sola in ascensore con Ponter. Con un estraneo, sarebbe stato un incubo, che avrebbe ricordato per il resto della sua vita… ma con Ponter? No, mai.
Eppure, aveva caldo. Guardava in ogni direzione, tranne verso le iridi dorate di Ponter: le cifre digitali che indicavano a che piano si trovassero i cinque ascensori; l’avviso accanto alla pulsantiera, che indicava l’orario del brunch in hotel la domenica mattina; il numero di emergenza per chiamare i vigili del fuoco…
Uno degli ascensori arrivò al piano e si aprì, con un curioso rullo di tamburi. Ponter, galantemente, fece segno che passasse prima lei; Mary entrò salutando con la mano Carlos, il quale annuì vigorosamente. Ponter la seguì e rimase a fissare i pulsanti. I numeri riusciva a leggerli senza difficoltà: per quanto i neanderthal non avessero elaborato una scrittura alfabetica, avevano però un sistema decimale, incluso un simbolo per indicare lo zero. Allungò la mano e premette 12, sorridendo al vedere che il numero si illuminava.
Mary avrebbe preferito che la propria stanza non fosse anch’essa al 12° piano. Aveva spiegato a Ponter perché non esistesse il 13° ma, se fosse esistito, sarebbe andato bene anche quello. Superstiziosa non lo era di certo; anche se Ponter avrebbe probabilmente affermato di sì, perché per lui chiunque credesse in Dio era superstizioso.
Comunque, se lei fosse stata a qualsiasi altro piano, la buonanotte sarebbe stata più breve e più dolce da dare. Un gesto della manina e un “arrivederci a domani” da parte di chi fosse uscito per primo dall’ascensore.
Il grosso 8 digitale perse un segmento, diventando un 9.
“Ma così” pensò Mary “sarà tutto più complicato.”
L’ascensore si fermò, le porte si aprirono. Ad attenderli c’era l’agente Burstein. Mary lo salutò con un cenno del capo, con la mezza speranza che si aggiungesse a loro due per accompagnarli lungo il corridoio; ma il federale restò immobile presso gli ascensori.