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Così, Ponter e Mary percorsero da soli il corridoio; passarono oltre il distributore di bevande fresche, poi oltre una serie di stanze; finché…

— Bene — disse Mary, con il cuore che le batteva impazzito. Frugò nella borsetta alla ricerca della chiave magnetica. — Io sono arrivata.

Guardò Ponter, che le restituì lo sguardo. Lui non tirava mai fuori la chiave in anticipo; era l’ultima cosa a cui pensava, proveniva da un mondo in cui poche porte avevano serrature, e quelle poche si aprivano automaticamente a un segnale del Companion.

Ponter non disse nulla.

— Ora — fece lei, imbarazzatissima — immagino che dovremmo darci la buonanotte.

Ponter ancora taceva; allungò la mano e, con gran destrezza, sfilò la tessera dalle dita di Mary, e la inserì nella fessura. Attese che comparisse il segnale sul display, quindi abbassò la maniglia e fece girare la porta sui cardini.

Mary d’istinto si guardò attorno per vedere se ci fosse qualcuno in corridoio. C’era solo l’immancabile agente dell’FBI. Il che le seccò parecchio, ma molto meno che se fosse stato uno dei colleghi paleoantropologi.

La mano di Ponter stava scivolando su per il braccio di lei, lentamente, delicatamente, fino a raggiungere la spalla. Quindi passò con grazia lungo una guancia, spostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

E poi, finalmente accadde.

Il volto di lui si accostò a quello di lei, le labbra si toccarono. Mary sentì una scossa di piacere attraversarle il corpo. Adesso le braccia di Ponter le cingevano i fianchi, e lei quelli di lui, e…

Mary non avrebbe saputo dire chi dei due conducesse il ballo, ma si spostarono lateralmente come in un ballo, sempre abbracciati. Superarono la porta, che Ponter chiuse silenziosamente con un piede.

Poi, con una mossa improvvisa, lui la prese tra le braccia, portandola come se pesasse non più di una bambina; e la depose con gentilezza sul lettone. Il cuore di Mary batteva all’impazzata. Erano vent’anni che non si sentiva più così; dalla prima volta con Donny, quando i genitori di lui erano andati via per il weekend.

Per un secondo Ponter restò immobile chino su di lei, con uno sguardo interrogativo; il tempo, eventualmente, di mettere freno alle cose. Mary, con un lieve sorriso, alzò le braccia e le avvolse attorno al collo taurino di lui, tirandolo a sé.

Lei già si vedeva in una di quelle scene a cui tante volte aveva assistito nei film, ma mai vissuto di persona: i vestiti che volano via magicamente, mentre i due rotolano tra le lenzuola…

Non era il caso. Mentre lui tentava goffamente di sbottonarle la camicetta, le venne in mente che era la prima volta che provava l’operazione con una camicia gliksin. Però era bella la sensazione che trasmettevano le sue forti nocche mentre premevano contro il seno di lei.

Da parte sua, Mary aveva sperato di cavarsela meglio, in virtù delle istruzioni ricevute da Hak nel giorno dell’attentato, su come si aprissero le maniche neanderthaliane. Solo che la volta scorsa era in pieno giorno, e qui regnava un buio quasi totale. Nessuno dei due aveva pensato di accendere la luce, entrando; ne filtrava solo un po’ dalle finestre, con i pesanti tendaggi marroni aperti.

Rotolarono e Mary si trovava sopra, adesso. Manovrò fino a ritrovarsi seduta sul torace di Ponter, quindi afferrò il primo bottone della camicetta. Si aprì senza difficoltà. Abbassando lo sguardo, lei notò il piccolo crocifisso d’oro (acquistato in sostituzione di quello che aveva donato a Ponter) nell’apertura triangolare che scopriva la sua carne pallida.

Aprì il secondo bottone. La camicetta si aprì ulteriormente, mostrando il suo semplice reggiseno bianco.

Mary voleva vedere l’espressione di Ponter, ma lui le guardava il seno, e la prominente arcata sopracciliare gli nascondeva gli occhi. Provava piacere o disgusto? Mary non sapeva quanto fossero formose le donne neanderthal ma, a giudicare dall’ambasciatrice Prat, dovevano essere piuttosto pelose, mentre il petto di Mary era glabro.

Poi, nella semioscurità, risuonò la voce di Ponter. — Sei bellissima.

A Mary scivolò via ogni timore, ogni inibizione. Si sbottonò completamente, quindi portò le mani dietro la schiena e sganciò il reggiseno. Lo lasciò scivolare giù; le mani di Ponter le accarezzarono lo stomaco, raggiunsero le mammelle, le sostennero a coppa, le soppesarono. Poi lui la fece abbassare, e retrocedere lentamente lungo il suo torso, finché la sua grande bocca non incontrò il seno sinistro di lei e lo risucchiò interamente tra le labbra, giocandovi con la lingua e facendola gemere di piacere.

La bocca di Ponter si spostò sul seno destro, tracciando un sentiero umido con la lingua da uno all’altro. Trovò il capezzolo destro, lo aspirò tra le labbra e lo succhiò delicatamente. Mary sentiva brividi percorrerle la spina dorale.

Per quanto Ponter fosse ancora completamente vestito, Mary poteva percepire l’erezione contro una coscia. Ebbe un desiderio pazzo di vederglielo. Aveva già visto Ponter nudo, durante la quarantena a casa di Ruben, ma non eccitato. Si risollevò sulle braccia, rubando il capezzolo di bocca a Ponter, e scivolò di lato a lui in modo da potergli raggiungere i fianchi. Si trovò in difficoltà* a slacciargli i pantaloni; lui si era tolto il cinturone fin dall’ingresso in camera, ma non c’era nessuna lampo, e l’erezione adesso era evidentissima.

Ponter rise, abbassò una mano e manovrò qualche laccio o altro, e all’improvviso i pantaloni furono sciolti in vita. Lui inarcò la schiena e se li tirò giù, e…

E Mary scoprì che i neanderthal non portano le mutande.

Il membro era lungo e robusto. Non circonciso, sebbene il glande purpureo avesse oltrepassato di molto il prepuzio. Fece scorrere il palmo della mano lentamente lungo il pene, sentendolo pulsare al ritmo del battito cardiaco.

Mary scivolò indietro di qualche centimetro, aiutando Ponter a togliere del tutto i pantaloni. I piedi erano avvolti nelle babbucce terminali, con solide cerniere che le univano ai pantaloni, ma lui fu rapido a disfarsene. Adesso era nudo dalla cintura in giù, Mary dalla cintura in su. Lei scivolò fuori dal letto; si sfilò le scarpe scalciando mentre si sbottonava la gonna, che lasciò sul pavimento. Abbassando gli occhi, rise: indossava mutandine beige che, in quella luce incerta, davano l’impressione che la pelle lì sotto fosse completamente uniforme e piatta. Infilò i pollici tra le anche e l’elastico, abbassò le mutandine e mostrò…

Aveva sentito che era di moda, per una donna, depilarsi quasi completamente il pube. La strisciolina scura che restava, nella definizione di Howard Stern, era la “pista di atterraggio”. Mary non andava oltre una potatura laterale quando si faceva la ceretta alle gambe; così, per la prima volta, Ponter vide della fitta peluria sul corpo di una donna gliksin. Infatti sorrise, considerandola una piacevole scoperta. Anche lui, rotolando, uscì dal letto e si alzò in piedi. Si toccò le spalline della camicia, e quella si aprì di scatto come la camicia di Hulk e cadde sulla moquette.

Adesso stavano in piedi uno di fronte all’altra, a un metro di distanza, completamente nudi a parte il Companion e la fasciatura alla spalla di Ponter. Lui accorciò di nuovo le distanze, riprese Mary tra le braccia e i due piombarono di lato sul materasso.

Mary lo voleva dentro… no, non ancora, non così presto. Avevano tutto il tempo del mondo. Tutta la stanchezza che aveva indotto Mary a venire a letto presto, era sparita. Ma… come lo facevano gli uomini di neanderthal? E se qualche movimento fosse considerato immorale o stomachevole? Decise di lasciare l’iniziativa a Ponter, il quale però era altrettanto titubante, per gli stessi motivi. Alla fine, Mary si sorprese a fare qualcosa che non ricordava di avere ordinato ai neuroni: si mise a leccare il torso tonico e peloso di Ponter, giù, giù, attraverso l’addome scolpito. Dopo qualche esitazione, dandogli il tempo di fermarla se necessario, spalancò la bocca e la fece scivolare sul pene.