— Meglio una gliksin quando i Due dovrebbero essere separati, che Daklar Bolbay in qualsiasi giorno del mese. Sono pronto a scommettere che lui la prenderebbe così!
Alla fine Mary e Ponter riemersero dalla camera d’albergo. Si erano persi le prime tre relazioni della mattinata, ma non c’era problema: prima che partissero da New York, Mary aveva scaricato da Internet il PDF con gli Abstract, e già sapeva che quelle conferenze avrebbero riguardato l’Homo erectus, più un tentativo di riesumare l’Homo ergaster come specie a sé. Da queste forme ancestrali non era mai stata ricavata una briciola di DNA, quindi Mary non nutriva nessun particolare interesse nella faccenda.
Mentre percorrevano il corridoio, si materializzò uno degli agenti dell’FBI. — Inviato speciale Boddit — disse — il corriere ha appena portato questa per lei da Sudbury.
L’uomo porse una valigia diplomatica. Ponter la prese, la aprì e tirò fuori la perla di memoria. Se la rigirò tra le dita. — Ora dovrei ascoltarla.
Mary fece un sorrisetto. — Be’, non mi va di restare a sentire mentre ti gridano contro. Andrò a dare un’occhiata ai pannelli in mostra.
Ponter ricambiò il sorriso e tornò alla stanza. L’agente restò di guardia in corridoio mentre Mary andava agli ascensori.
Ne arrivò uno. Mary scese al piano ammezzato in cui erano montati i pannelli dell’Associazione archeologi americani. Il loro turno sarebbe venuto solo il giorno dopo, e lei e Ponter non si sarebbero fermati per partecipare, ma molti relatori avevano già esposto il proprio materiale didattico. Mary restò a guardare un paio di pannelli sul vasellame Hopi.
Dopo un po’, però, cominciò a sentirsi preoccupata per Ponter. Tornò difilato al 12° piano.
L’agente era sempre lì in corridoio. — Cerca l’inviato Boddit, signora?
Lei annuì.
— È in camera sua — disse l’agente.
Mary la raggiunse; bussò. Dopo un istante, la porta si aprì. — Mèr! — esclamò Ponter.
— Ciao. Posso entrare?
— Certo.
La valigia di Ponter, quella trapezoidale che si era portato dietro dal suo mondo, era aperta sul letto. — Che stai facendo? — chiese Mary.
— I bagagli.
— Ti hanno ordinato di tornare indietro? Mi sembrava che tu avessi detto che non lo avresti fatto. — Mary era tesa. Certo, ora che per New York giravano una dozzina di neanderthal, non era più necessario che rimanesse lui per tenere aperto il varco, ma, be’, dopo quello che era successo la notte precedente…
— Nessuno mi ha ordinato niente — disse Ponter.
— La perla di memoria è stata inviata da mia figlia Jasmel Ket.
— Oh Dio, tutto okay?
— Sta benissimo. Ha appena acconsentito a diventare la compagna di Tryon, un giovane con cui usciva.
Mary sollevò un sopracciglio. — Vuoi dire che sta per sposarsi?
— L’equivalente, sì — rispose Ponter. — Devo tornare di là per la cerimonia.
— Quando sarà?
— Tra cinque giorni.
— Caspita — disse Mary. — Nel tuo mondo non si perde tempo.
— Anzi, Jasmel è perfino un po’ in ritardo. Si avvicina l’epoca in cui dovrà essere concepita la generazione 149. Per la verità, Jasmel non ha ancora scelto la futura compagna, ma questo è meno urgente.
— Hai già conosciuto il… Tryon?
— Sì, l’ho incontrato varie volte. È un bravo ragazzo.
— Hmm… Ponter, sicuro che non sia una trappola? Per costringerti a tornare indietro?
— Nessuna trappola. Il messaggio proveniva direttamente da Jasmel, e lei non mi mentirebbe mai.
— Allora, non mi resta che riaccompagnarti a Sudbury — fece Mary.
— Te ne sarò grato. — Ponter rimase in silenzio per qualche istante, immerso nei propri pensieri, poi disse:
— Tu mi… mi affiancheresti alla cerimonia di stipula del Legame? Di solito ci vanno i genitori degli interessati, ma…
Ma Jasmel era orfana di madre. A Mary spuntò un sorriso. — Sarebbe bellissimo. Solo… ci resta il tempo per la mia relazione accademica? È alle 2 e mezzo questo pomeriggio. Non per usare a tutti i costi una metafora militare, ma mi piacerebbe sganciare la bomba.
— Prego?
— Sarà roba esplosiva.
— Oh — disse Ponter, collegando i termini. — Sì, naturalmente.
La relazione di Mary era il clou del meeting. Dopotutto, stava per risolvere una delle grandi controversie dell’antropologia, dimostrando in modo definitivo che l’Homo neanderthalensis era una specie a sé. Di norma, avrebbe dovuto far precedere la conferenza dalla pubblicazione di un Abstract, che le avrebbe aperto la strada alla gloria, ma il suo nome era stato aggiunto in calendario all’ultimo momento. Comunque, il titolo della sua relazione: Il DNA nucleare fornisce la soluzione al dibattito sulla tassonomia dell’Uomo di neanderthal era più che sufficiente per fare il pienone in sala.
Ovviamente, tra i partecipanti era scoppiato il finimondo fin dall’istante in cui Mary aveva mostrato il lucido con il cariotipo di Ponter. Alla fin fine, la genetista ringraziò il cielo di dover partire per Sudbury con Ponter subito dopo i suoi 15 minuti di conferenza. Il quale Ponter, a commento della lunga presentazione che avevano riservato a Mary, l’aveva divertita dicendo: — Quel tizio che dipingeva minestra in scatola, sarebbe fiero di te.
Prima di lasciare l’albergo, Mary chiamò Jock Krieger alla Synergy. Jock si dichiarò entusiasta che lei si stesse trovando benissimo con Ponter, nonché elettrizzato dall’idea che stesse per avere la possibilità di visitare il mondo dei neanderthal. Però aveva una richiesta: — Vorrei che, mentre sei di là, facessi un piccolo esperimento per me.
— Quale? — disse Mary.
— Prendi una bussola, una normalissima bussola magnetica. Una volta di là, orientati con qualsiasi parametro in modo da essere sicura dove sia il nord: di notte puoi usare la stella polare, oppure di giorno puoi individuare l’est e l’ovest basandoti sull’alba e sul tramonto. Okay? Fatto quello, guarda in che direzione punta l’ago della bussola.
— Non dovrebbe puntare a nord?
— Ecco cosa ti perdi, a saltare le nostre riunioni — disse Jock. — I neanderthal sostengono che il loro pianeta ha già attraversato la fase di inversione magnetica che qui sta cominciando solo adesso. Vorrei che tu verificassi.
— Perché dovrebbero mentire su un fatto del genere?
— Sono sicuro che non intendano farlo, però potrebbero aver preso un abbaglio. Ricorda che non possiedono satelliti artificiali, ma è proprio in orbita che sono stati raccolti gran parte dei dati che possediamo sul campo magnetico terrestre.
— Va bene — disse Mary. Poi tacque, così fu Jock a chiudere la conversazione: — Perfetto. Allora, buon viaggio!
Nell’istante in cui Mary riabbassava la cornetta, in camera sua entrò Ponter per vedere se era pronta. — Mi sono accordata per lasciare a Rochester l’auto in noleggio — disse lei. — Non è troppo fuori rotta. Laggiù potremo prendere la mia macchina e dirigerci dritti a Sudbury, anche se…
— Anche se…?
— Be’, mi piacerebbe fare tappa a Toronto, sul tragitto per Sudbury. Non sarebbe una lunga deviazione e… be’, tu non potresti darmi il cambio alla guida.
— Hai ragione. Va bene — disse Ponter.
Ma Mary non aveva esaurito l’argomento: — E poi avrei anche… qualche commissione da fare.
Ponter rimase perplesso dal suo bisogno di giustificarsi. — Come dite voi: no problem.
Mary e Ponter arrivarono alla York University. Non c’era modo per evitare che Ponter venisse riconosciuto al primo colpo. D’inverno gli si sarebbe forse potuto calare un berretto di lana fino a coprire le arcate sopracciliari, e nascondere il resto sotto una sciarpa, ma se lo avesse fatto adesso, in autunno, avrebbe dato altrettanto nell’occhio. Inoltre, pensò Mary con un brivido, non voleva vedere addosso a Ponter nulla che ricordasse un passamontagna. Non voleva che lui avesse niente in comune con quello. Parcheggiarono nell’area visitatori, e presero ad attraversare il campus. — Qui non ho bisogno di guardie del corpo? — chiese Ponter.