— Lontani quanto? — chiese Pandaro. — Quanti mesi?
Ponter lanciò un’occhiata ad Adikor: dopotutto, era lui l’esperto di hardware. Ma Adikor, con un cenno del viso, gli indicò di continuare. Perciò Ponter rispose: — Direi almeno trecento, forse molti di più.
Pandaro allargò le braccia, come se la sua decisione fosse ovvia. — Bene, allora non c’è eccessiva fretta di affrontare il problema. Possiamo prenderci tutto il tempo per esaminare la cosa con cura, e…
— No! — esplose Ponter. Tutti gli occhi si puntarono su di lui.
— Prego? — disse la presidentessa, in tono calmo.
— Volevo dire… — farfugliò Ponter — è solo che… che non sappiamo che livello di riproducibilità abbia il fenomeno, a lungo termine. Potrebbero variare molte condizioni e…
— Comprendo il suo desiderio di portare avanti l’opera, scienziato Boddit — disse la presidentessa — ma qui c’è di mezzo la questione delle possibili infezioni, e della contaminazione, e del…
— Possediamo già la tecnologia per farvi fronte — la interruppe di nuovo Ponter.
— In teoria, sì — disse un’altra consigliera. — Ma, in pratica, la tecnologia Kajak non è mai stata sperimentata in circostanze simili. Non possiamo essere sicuri…
— Cos’è questa prudenza? — scattò Ponter, lasciando di stucco Adikor. Ma lui proseguì imperterrito: — Loro non si farebbero tanti problemi. Loro hanno scalato le montagne più alte del pianeta! Sono scesi in fondo agli oceani! Sono volati in orbita intorno alla Terra! Sono arrivati fin sulla Luna! Non c’era la codardia dei vecchi a…
— Scienziato Boddit! — La voce della presidentessa rimbombò come un tuono per l’aula.
Lui si morse la lingua. — So… sono spiacente, presidentessa. Non intendevo…
— Ritengo che sia fin troppo chiara la sua intenzione — rispose Pandaro. — Ma il nostro dovere è di essere cauti. Portiamo sulle spalle il peso dell’intero pianeta.
— Lo so — disse Ponter, sforzandosi di tenere un tono pacato. — Lo so, ma ci sono così tante cose in gioco! Non possiamo aspettare per mesi infiniti. Dobbiamo agire subito. Dovete agire subito.
Avvertì il tocco gentile di Adikor sul braccio. — Ponter… — gli sussurrò.
Ponter si divincolò. — Noi non siamo andati sulla Luna. Forse non ci arriveremo mai… né tanto meno su Marte o tra le stelle. Questa Terra parallela è l’unico altro mondo a cui il nostro popolo avrà mai accesso. Non possiamo lasciarci sfuggire questa opportunità!
Magari era una leggenda metropolitana, ma Mary Vaughan l’aveva sentita così spesso da cominciare a sospettare che fosse una storia vera. Si diceva che, quando a Toronto avevano deciso di costruire una seconda università, negli anni Sessanta, i progetti per il campus fossero stati presi da un ateneo del Sud degli USA. Era sembrata una strategia poco dispendiosa, ma non si era tenuto conto delle differenze climatiche.
I problemi erano sorti soprattutto d’inverno, troppi spazi vuoti tra un edificio e l’altro. Però con gli anni erano stati riempiti con nuove costruzioni, così che adesso il campus era ridotto a un ammasso di vetro, acciaio, mattoni e cemento.
Eppure qualche lato attraente agli occhi di Mary l’aveva conservato. La cosa più divertente era il nome dell’ala di fronte a cui stava passando proprio in quell’istante: la Schulich School of Business, pronunciato come shoe lick, leccare le scarpe.
Mancava ancora una settimana all’inizio delle lezioni; il campus era ancora quasi deserto. Per quanto fosse pieno giorno, Mary era in apprensione quando si spostava da un edificio all’altro, quando girava gli angoli o costeggiava i muri o si infilava nei sottopassaggi.
Del resto era lì che era successo. Era stata violentata lì.
Come la maggioranza delle università nordamericane, anche quella di York aveva in realtà più studentesse che studenti. Comunque, su oltre 40.000 giovani residenti, c’erano circa 20.000 possibili sospetti; ammesso che quel bastardo non arrivasse da fuori.
“Però, aspetta.” Il campus si trovava a Toronto, una delle città più cosmopolite del mondo. L’uomo che le aveva fatto quello era bianco, con gli occhi azzurri. Gran parte della fauna della York University non corrispondeva a quella descrizione.
In più, era un fumatore: a Mary era rimasto impresso nella memoria il puzzo di tabacco del suo alito. Per quanto avesse una fitta ogni volta che notava uno studente che si accendeva una sigaretta (erano tutti ragazzi nati negli anni Ottanta, ben due decenni dopo che il chirurgo americano Luther Terry aveva annunciato che il fumo è cancerogeno), era anche vero che ormai a fumare erano poche donne, e ancora meno uomini.
In conclusione, quello che l’aveva assalita non era un “uomo della folla”: apparteneva a un’eccezione tra le eccezioni tra le eccezioni. Maschio, bianco, occhi azzurri, tabagista.
Se mai lei fosse riuscita a scovarlo, poteva dimostrarne la colpevolezza. Non succedeva spesso che il mestiere di genetista avesse applicazioni pratiche nella propria vita, ma era tornato utile quell’orribile notte. Mary sapeva come conservare campioni di sperma, con del DNA che avrebbe aiutato nell’identificazione.
Continuò a percorrere il campus. Per il momento non era necessario farsi largo attraverso la folla; ma, tutto sommato, sarebbe stato quello a confortarla. La violenza era avvenuta durante le vacanze estive, quando in giro c’era pochissima gente. Il numero dà sicurezza, che si fosse nella giungla o a Toronto.
E ora si accorse che un uomo veniva dritto verso di lei. A Mary accelerò il battito, ma si forzò di non aumentare l’andatura. Non poteva passare il resto della vita a scantonare ogni volta che incrociava un uomo. Anche se…
Anche se si trattava di un bianco, non c’erano dubbi. Aveva i capelli chiari; lei però non aveva visto la capigliatura dell’aggressore a causa del passamontagna. Ma i biondi spesso hanno occhi azzurri.
Per un secondo, Mary abbassò le palpebre, cercando di chiudere fuori la luce del sole e tutto il resto del suo mondo. Forse avrebbe davvero dovuto seguire Ponter nell’universo neanderthaliano. Un pensiero che l’aveva pervasa mentre attraversava di corsa il campus della Laurenziana, alla ricerca di Ponter, precipitandosi poi a incontrarlo al fondo della miniera di Creighton, prima che il varco si richiudesse alle sue spalle. Se non altro, dall’altra parte poteva essere certa che il suo aggressore non fosse nei paraggi.
L’uomo si trovava ora a una decina di metri da lei. Era giovane, probabilmente un iscritto ai corsi estivi; indossava blue jeans e una T-shirt.
E occhiali da sole. Era una giornata estiva molto luminosa, e anche Mary aveva indosso i suoi. Impossibile riconoscere il colore dei suoi occhi. Ma, di certo, mai avrebbero avuto la brillantezza dorata di quelli di Ponter; Mary non aveva incontrato nessun altro essere umano con occhi del genere.
Si sentiva sempre più tesa man mano che lo sconosciuto si avvicinava.
Anche senza occhiali da sole, Mary non avrebbe scoperto di che colore aveva gli occhi. Al momento di incrociarsi sul marciapiede, lei voltò la testa da un’altra parte. Non ce la faceva a guardarlo.
“Fanculo” pensò Mary. “Merda. Fanculo.”
3
— Insomma — disse Jurard Selgan — nonostante il tuo… il tuo…
Ponter fece spallucce. —… Atto di prepotenza — disse.
— Qui non dobbiamo avere paura di chiamare le cose con il loro nome, giusto?
Selgan inclinò leggermente la testa in segno di assenso.