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— Eppure, ti è venuta voglia di sfogliarlo?

— Be’, ce n’erano molte copie nella stanza in cui sono rimasto in attesa di Mèr. Una per ogni posto a sedere, mi pare.

— Hai poi ascoltato una versione audio, come suggeriva Mèr?

Ponter scosse la testa.

— Perciò, ancora ti chiedi quale sia quella famosa prova?

— Già. Sono curioso.

— Quanto curioso? — chiese Selgan. — Quanto è importante, per te?

Ponter fece spallucce. — Prima mi accusavi di essere di mentalità ristretta. Non è così. Se in quella pazzesca affermazione c’è del vero, voglio scoprirlo.

— Perché?

— Curiosità.

— Solo per quello?

— Certo — replicò Ponter. — Certo.

Il sergente alla reception continuava a squadrare Ponter. Poi disse: — Se conosce un centinaio di neanderthal in cerca di lavoro, li mandi qui ad arruolarsi.

Lui e Mary si trovavano alla centrale di polizia sulla Norfinch Drive, a pochi isolati di distanza dalla York University. Ponter abbozzò un sorriso, Mary ridacchiò. Il sergente era uno degli Homo sapiens più muscolosi che lei avesse mai visto, ma se si fosse organizzato un incontro di lotta tra lui e Ponter, non c’era dubbio su chi sarebbe stato favorito.

— Bene, signora, che cosa posso fare per lei?

— C’è stata una violenza carnale la settimana scorsa alla York University — disse Mary. — La notizia era riportata sul giornale del campus, l’“Excalibur”; perciò immagino che qualcuno abbia anche sporto denuncia qui.

— È competenza dell’investigatore Hobbes — disse il poliziotto. Quindi gridò: — Ehi, Johnny, puoi vedere se Hobbes è in ufficio?

Johnny a sua volta ripeté il richiamo alle proprie spalle. Pochi secondi dopo, arrivò un ufficiale in borghese, un bianco dai capelli rossi, sulla trentina. — Checcè? — disse. Poi, riconoscendo Ponter: — Oh porca puzzola!

Ponter sorrise con aria vaga.

— La signora — disse il sergente — vuole fornire informazioni sullo stupro della scorsa settimana alla York.

Hobbes indicò il corridoio. — Da questa parte, prego. — Mary e Ponter lo seguirono in una saletta per gli interrogatori, illuminata a neon. — Solo un attimo, cerco gli incartamenti. — Tornò poco dopo con un faldone che posò sulla scrivania. Si sedette, e all’improvviso spalancò gli occhi. — Cristo santo — disse a Ponler — non è stato lei, vero? Dovrò contattare Ottawa per…

— No — lo interruppe Mary in tono acido — lui non c’entra niente.

— Sa chi è stato? — chiese Hobbes.

— No… ma…

— Dica pure.

— Ma anch’io ho subito violenza al campus della York. Nei pressi dello stesso edificio, quello di Scienze naturali.

— Quando?

— Venerdì 2 agosto, verso le 9 e mezzo.

— Di sera?

— Sì.

— Mi racconti il fatto.

Mary tentò di rispondere con il massimo distacco, ma alla fine aveva le guance rigate di lacrime. Il che non doveva essere raro, lì dentro; sulla scrivania c’era un contenitore di fazzoletti di carta, e Hobbes gliene offrì uno.

Lei si asciugò gli occhi e si soffiò il naso. Hobbes aggiunse qualche altra annotazione agli incartamenti. — Va bene — disse — farò immediatamente…

In quell’istante qualcuno bussò alla porta. L’investigatore si alzò e andò ad aprire. Era un poliziotto in divisa, che gli mormorò qualcosa.

All’improvviso, lasciando Mary di stucco, Ponter s’impadronì del faldone e cominciò a fare scorrere rapidamente i fogli. Hobbes, forse a un cenno dell’altro poliziotto, si voltò. — Ehi! — gridò. — Non è autorizzato!

— Chiedo scusa — disse Ponter. — Ma non si preoccupi, non so leggere la vostra lingua.

Porse la documentazione, e Hobbes gliela strappò di mano.

— Che probabilità esistono che il colpevole venga arrestato? — chiese Ponter.

Hobbes restò muto per un po’. — In tutta franchezza? Non lo so. Adesso abbiamo due denunce per due violenze avvenute quasi nello stesso luogo nell’arco di poche settimane. Chiederemo alla polizia interna del campus di aumentare la sorveglianza. Chissà, con un colpo di fortuna…

“Fortuna…” pensò Mary. Cioè, se un’altra donna veniva aggredita.

— Tuttavia… — aggiunse Hobbes.

— Sì?

— Be’, se è uno che vive al campus, saprà dal giornale locale che il fatto è stato denunciato.

— Non pensa che lo prenderete — commentò Ponter, senza inflessioni ironiche.

— Faremo il possibile — rispose Hobbes.

Ponter annuì.

I due tornarono alla macchina di Mary. Stavolta lei si era ricordata di lasciare una fessura aperta, ma l’interno non era granché fresco lo stesso. Girò la chiavetta e azionò l’aria condizionata.

— Allora? — chiese Mary.

— Che cosa? — fece Ponter.

— Hai scansionato i documenti. C’è qualcosa di rilevante?

— Non saprei dire.

— C’è un modo per farmi vedere le immagini realizzate da Hak?

— Sì, ma non qui — disse Ponter. — Gli abbiamo potenziato la memoria, in modo che sia in grado di salvare tutti i dati che raccoglie in questo mondo. Però, finché non potremo scaricare la sua memoria nel mio archivio degli alibi a Saldak, non sarà possibile visionarla. Hak tuttavia può descrivere i dati in suo possesso.

Mary si abbassò verso il polso di Ponter. — Che ne dici, Hak?

Il Companion rispose attraverso l’altoparlante esterno: — Nel faldone c’erano undici fogli di carta bianca. Il rapporto tra altezza e larghezza di ogni pagina era di 0,77 a uno. Sei dei fogli sembravano moduli prestampati, con alcuni spazi in cui era stato inserito del testo scritto a mano. Non sono un esperto, ma mi è parso che fosse la stessa calligrafia con cui l’investigatore Hobbes prendeva i propri appunti. Però con un inchiostro di diverso colore.

— Ma sai dirmi che cosa c’era scritto? — domandò Mary.

— Potrei descrivere il testo. Voi leggete da sinistra a destra, è esatto? — Mary annuì. — La prima parola della prima pagina inizia con un simbolo composto da una linea verticale con in cima una barra orizzontale. Il secondo simbolo è un cerchio. Il terzo…

— Quanti simboli ci sono nel rapporto della polizia?

— Vediamo… 52.412 — rispose Hak.

Mary si accigliò. — Troppi, per ricostruire i caratteri uno per volta. Anche se ti insegnassi l’alfabeto. — Fece spallucce. — Be’, sarò curiosa di vedere che cosa c’è scritto, quando saremo nel tuo mondo. — Diede un’occhiata all’orologio sul cruscotto. — Meglio muoversi. È un bel pezzo, fino a Sudbury.

29

L’ultima volta che Mary e Ponter erano scesi insieme, in quell’ascensore a gabbia, lei aveva fatto del suo meglio per convincerlo che lui le piaceva, anzi le piaceva molto, ma che lei non si sentiva pronta per una relazione. Aveva raccontato a Ponter cos’era successo all’università, rendendolo l’unico confidente di quell’episodio, a parte la consulente Keisha. I sentimenti di Ponter rispecchiavano esattamente quelli di Mary: un senso di confusione, una rabbia profonda contro l’aggressore, chiunque fosse. E Mary aveva temuto di perdere Ponter per sempre.

Ora, mentre rifacevano l’interminabile tragitto verso la miniera di Creighton, a 2000 metri di profondità, Mary non poté fare a meno di ripensare a tutto ciò. Il silenzio imbarazzato di Ponter sembrava indicare che era così anche per lui.

Era stata avanzata l’ipotesi di installare un ascensore ad alta velocità per l’Osservatorio quantistico, ma ci si era imbattuti in problemi logistici spaventosi. Scavare un nuovo pozzo attraverso 2 chilometri di gabbro granitico sarebbe stata un’impresa colossale, e i geologi della Inco non erano neppure sicuri che fosse realizzabile.