— Sì? Sì?
— Era Qaiser Remtulla.
— Chi?
— La mia diretta superiora. La mia amica. La preside della facoltà di Genetica alla York University.
— Mi dispiace — disse Ponter.
Mary chiuse gli occhi. — Anche a me… Se solo io avessi…
— Mèr — disse Ponter, posandole una mano sul braccio — il passato è passato. Non puoi cambiarlo. Ma forse c’è qualcosa che puoi fare per il futuro.
Lei alzò gli occhi ma non disse nulla.
— Leggi il resto del rapporto di polizia. Potrebbe contenere informazioni utili.
A Mary ci volle un po’ per riprendersi. Poi tornò all’ologramma e continuò a esaminarlo, nonostante le bruciassero gli occhi. Finché…
— Sì! — esclamò. — Sì! Sì!
— Cosa?
— La polizia di Toronto è in possesso di prove fisiche, per l’aggressione contro Qaiser. Un campione completo di materiali provenienti dallo stupro. — Fece una pausa. — Forse riusciranno a catturare il bastardo!
Ponter era perplesso. — L’investigatore Hobbes pareva dubitarne.
— Lo so, ma… — Sospirò. — No, probabilmente è come dici tu. — Per un po’ rimase in silenzio. — Non so se riuscirò mai più a guardare Qaiser negli occhi.
Mary non intendeva aprire la questione del suo rientro in patria, ma rivedere Qaiser implicava appunto quello. Le sue parole rimasero a mezz’aria tra lei e Ponter.
— Lei ti perdonerà — disse Ponter. — Il perdono è una virtù cristiana.
— Non è cristiana, è musulmana — disse Mary. Ma subito la mise in imbarazzo la propria ignoranza. Anche per i musulmani il perdono era un valore importante? Ma no, non era quello il problema: a condizioni invertite, lei, la cristiana Mary, avrebbe perdonato Qaiser?
— Che facciamo? — chiese Mary.
— Per l’aggressore? Tutto ciò che potremo, in qualunque circostanza potremo.
— No. No. Non riguardo a lui; riguardo a domani. Quando i Due diventeranno Uno.
— Ah — disse Ponter. — Già.
— Jasmel trascorrerà il periodo con Tryon, voglio sperare.
Ponter sorrise. — Sì, infatti.
— E Megameg l’hai appena vista.
— Non la vedrò mai abbastanza spesso… ma concedo il punto.
— Perciò in gioco non rimane che… Ponter sospirò. —… Daklar.
— Cosa intendi fare?
Ponter ci pensò. — Ho già violato le tradizioni venendo al Centro con un giorno di anticipo. Non credo che le cose peggioreranno di molto se andrò immediatamente da Daklar.
Il cuore di Mary ebbe un sussulto. — Solo tu e lei?
— Sì — rispose Ponter. — Solo io e lei.
In piedi davanti alla porta dell’ufficio di Daklar, Ponter cercò di raccogliere tutto il coraggio che aveva. Si sentiva come se lo avessero di nuovo catapultato nel mondo gliksin: tutte le donne di passaggio gli lanciavano occhiate stranite.
Avevano ragione loro, del resto; lui avrebbe dovuto arrivare lì solo il giorno seguente. Ma non poteva aspettare. Si era ripetuto mille volte il discorsetto tra sé e sé, nel lungo percorso a piedi dal Padiglione degli alibi, ma adesso non sapeva da che parte cominciare. Forse, se…
D’improvviso, la porta si ripiegò su un lato. — Ponter! — esclamò Daklar. — Mi pareva di aver percepito il tuo odore!
Aprì le braccia, e Ponter le si avvicinò per stringerla. Però lei si accorse che la schiena di lui si era irrigidita. — Che c’è? Che è successo? — chiese.
— Posso entrare?
— Sì, naturalmente. — Daklar rientrò in ufficio, un ambiente semicircolare scavato dentro il tronco di un albero enorme. Ponter la seguì, facendo richiudere la porta.
— Non sarò qui… qui, in questo mondo… quando i Due diventeranno Uno.
Daklar spalancò gli occhi. — Ti hanno richiamato sull’altra Terra? È capitato qualcosa di grave laggiù?
Ponter sapeva che di eventi gravi, laggiù, ne succedevano di continuo; ma scosse la testa. — No.
— Allora, Ponter, le tue figlie ci terrebbero tanto a rivederti.
— Jasmel non vorrà vedere nessuno tranne Tryon.
— E Mega?
Ponter annuì. — Lei ci rimarrà male. Sì.
— E… io?
Ponter chiuse gli occhi per qualche secondo. Poi disse: — Mi dispiace, Daklar. Davvero.
— È a causa di lei, vero? — disse Daklar. — Quella donna gliksin.
— Ha un nome: si chiama… — e avrebbe tanto voluto poterlo pronunciare come meritava — Mèr.
Daklar afferrò la palla al balzo. — Ma ascoltati! Ma se non riesci neppure a pronunciare il suo nome! Ponter, non potrà mai, mai, funzionare tra voi due. Venite da due mondi diversi… Lei non è neanche una di noi!
Ponter alzò le spalle. — Lo so. Ma…
Daklar emise un sonoro sospiro. — Ma ci vuoi provare lo stesso. Gristle, Ponter, voi uomini non finirete mai di stupirmi. Lo ficchereste dentro qualsiasi cosa!
In un flash, Ponter tornò a 229 lune prima, quando si trovava con Adikor all’Accademia delle scienze, quando avevano avuto quella stupida lite, quando lui aveva provocato Adikor finché Adikor non aveva alzato il pugno contro di lui. Aveva perdonato il compagno da molto, molto tempo. Ma adesso capiva. Capiva che cosa significasse essere così infuriati da vedere la violenza come unica soluzione.
Uscì come un bisonte dall’edificio, cercando qualcosa da distruggere.
34
Mary e Ponter tornarono al computer quantistico. Ad attenderli c’era un 143 dall’aria molto distinta, che Ponter riconobbe all’istante. — Goosa Kusk! — disse, sopraffatto dallo stupore. — È un onore poterla conoscere.
— Grazie — rispose lui. — Mi è giunta voce di quel brutto pasticcio accaduto nell’altro mondo: il tale che ti ha colpito con un’arma a proiettili, e tutto quanto.
Ponter annuì.
— Be’, mi ha contattato Lonwis Trob, suggerendo un’idea su come evitare che si ripetano episodi del genere. La sua ipotesi era simpatica, ma ho deciso di realizzare un’invenzione diversa. — Da un tavolo prese un oggetto metallico piatto e allungato. — Questo è un generatore di campo di forza. È in grado di individuare qualsiasi proiettile in avvicinamento non appena entri nel raggio d’azione del tuo Companion, innalzando una barriera elettrica nel giro di pochi nanosecondi. La barriera avrà un’estensione laterale di sole tre spanne e durerà un quarto di battito; un periodo più lungo richiederebbe troppa energia. Però è assolutamente rigida e impenetrabile: qualunque oggetto la colpisca, verrà respinto. Se qualcuno ti lancerà uno di quei proiettili metallici, la barriera gli farà deviare traiettoria, e lo stesso varrà per lance, coltelli, pugni di ferro e così via. Viceversa, qualsiasi oggetto che si muova più lentamente non la azionerà, quindi non ti impedirà il contatto con le persone. Ma se a qualche altro gliksin verrà l’insano proposito di ucciderti, be’, dovrà studiare un metodo migliore.
— Cavoli — disse Mary. — Sbalorditivo.
Goosa fece spallucce. — Semplicemente, scientifico.
— Si rivolse di nuovo a Ponter: — Ecco, va allacciata al braccio, dalla parte opposta del Companion, vedi? — Ponter sollevò il braccio sinistro, e Goosa gli fissò l’apparecchio. — Questo cavetto in fibra ottica va collegato alla porla esterna del Companion… fatto!
Mary osservava meravigliata. — È come un air-bag ambulante — disse. Poi, notando l’espressione di Goosa: — Non che funzioni nello stesso modo. Gli air-bag sono sistemi di sicurezza che si gonfiano all’istante in caso di collisione di un’automobile a velocità elevata. Però il principio, in fondo, è lo stesso. — S’illuminò.