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Però Driftwood aveva un vantaggio: gli affitti erano bassissimi. Per una persona che intendesse arrivare a fine mese con lo stipendio da assistente stagionale, e che non poteva permettersi nemmeno un’utilitaria, era l’unico posto abbordabile e raggiungibile a piedi.

Il palazzo in cui viveva Ruskin era una torre bianca, in mattoni, con balconcini arrugginiti pieni di cianfrusaglie; un terzo delle finestre erano sigillate con carta di giornale e nastro adesivo, o con fogli di alluminio. Aveva 15 o 16 piani, e…

— Aspetta! — esclamò Mary.

—… Che cosa? — chiese Ponter.

— Abita all’ultimo piano. Adesso ricordo: lo definisce sempre il suo “attico nei bassifondi”. — Pausa. — Il che non ci fornisce ancora il suo numero di alloggio, ma sono almeno due anni che sta là, perciò chi distribuisce la posta lo conoscerà bene. Noi accademici abbiamo la tendenza a ricevere pacchi di giornali e riviste.

— E allora? — chiese Ponter, che non aveva colto, — Se spediremo una lettera al “Dott. Cornelius Ruskin”, a questo indirizzo, indicando semplicemente “ultimo piano”, sono sicura che la riceverà.

— Ottimo — disse Ponter. — La spedizione è andata a buon fine.

36

Lo scultore di personalità Selgan restò per alcuni istanti a fissare Ponter. — Ti piace buttarla sull’ironico, vedo.

— Che vuoi dire?

— “La spedizione è andata a buon fine”… Mi hai detto di aver commesso un crimine nel mondo dei gliksin, e non è troppo difficile indovinare quale.

— Sul serio? Io invece temo che non tu non abbia capito.

Selgan fece spallucce. — Può darsi. Ma ho capito una cosa che forse è sfuggita a te.

Ponter digrignò i denti. — E sarebbe?

— Che Mèr aveva subodorato che l’avresti fatta pagare a Ruskin.

— No, affatto. Lei è completamente innocente.

— Credi? Una donna intelligente come lei… avrebbe bevuto la tua scusa di farti solo vedere dove abitasse Ruskin?

— Avevamo davvero intenzione di mandargli una lettera anonima! Proprio come stabilito. Mèr è una donna pura, senza peccato… è questo il significato del suo nome. Deriva dal nome della madre del suo Dio incarnato, una donna che aveva concepito senza macchia, senza essere contaminata dal peccato originale. Lo avevo imparato durante il mio primo viaggio. Mèr non avrebbe mai…

Selgan sollevò una mano. — Rilassati, Ponter. Non volevo suonare offensivo. Ti prego, procedi con la narrazione…

— Ponter? — disse Hak tramite l’impianto cocleare.

Ponter mosse appena appena la testa per indicare che aveva sentito.

— A giudicare dalla cadenza del suo respiro — proseguì Hak — Mèr è profondamente addormentata. Se ti alzi adesso, non se ne accorgerà.

Ponter si sfilò con delicatezza da sotto le lenzuola. I numeri digitali sulla sveglia segnavano “01:14”. Uscito dalla camera da letto di Mary, percorse il breve corridoio fino al salotto. Come d’abitudine, si infilò il cinturone medico. Verificò che in una delle tasche ci fosse la chiave magnetica di riserva dell’ingresso; ne avrebbe avuto bisogno al rientro.

Aprì la porta e la richiuse in silenzio, raggiunse gli ascensori e andò al piano terra, indicato dalla lettera “T” che aveva imparato a riconoscere.

Attraversato anche l’atrio dell’edificio, uscì dalla porta a vetri e fu all’esterno, nella notte.

Quant’era diversa dalla notte nelle sue città! Qui c’erano fonti d’illuminazione dappertutto: le finestre, le lampade montate in cima a quegli alti pali, i fari delle automobili. Sarebbe stato tutto più semplice se avesse regnato l’oscurità. Potter sapeva che, a una buona distanza, non risultava troppo diverso da un gliksin, perlomeno da un sollevatore di pesi; ma era infinitamente meglio che non lo vedesse nessuno.

— Molto bene, Hak — sussurrò. — E ora, in che direzione?

— A sinistra — rispose il Companion, sempre tramite l’impianto interno. — Mèr di solito prende una strada riservata alle automobili quando torna a casa dall’università.

— La quattro-zero-sette, la chiama.

— In ogni caso, per noi sarà meglio trovare una parallela, più sicura per i pedoni.

Ponter si mosse a passo di corsa. La destinazione si trovava a circa 8000 metri di distanza, quindi non avrebbe richiesto più di un decimo di giorno, andando di buona lena.

La notte era fresca; meravigliosamente fresca. Ma, per quanto nel suo mondo avesse già visto molte foglie secche, qui sembravano ancora tutte verdi. Sì, proprio verdi: anche in piena notte, l’illuminazione rendeva possibile distinguere i colori.

Ponter non si era mai sognato di uccidere nessuno, tuttavia…

Ma nessuno, prima di allora, aveva mai fatto del male in quel modo a una persona a cui lui volesse bene. E poi…

E poi, anche se fosse successo, in una società civile il colpevole sarebbe stato catturato subito, e alla sua sorte avrebbe pensato il governo.

Ma qui! Qui su questa delirante Terra al rovescio…

Non bastava mandare una lettera minatoria. Doveva assicurarsi che Ruskin non solo sapesse di essere stato scoperto, ma chi lo aveva scoperto. Ruskin doveva avere la certezza che non avrebbe mai potuto farla franca, se avesse commesso un altro crimine come quello. Solo allora (Ponter ne era sicuro) Mèr avrebbe potuto ritrovare quella pace che aveva perso. E solo allora lui, Ponter, avrebbe potuto verificare se ci fosse del vero in quell’affermazione di Hak: che il comportamento di Mèr nei suoi confronti fosse atipico.

Stava percorrendo, sempre a passo di corsa, una strada su cui si affacciavano villette a due piani, tutte con giardino e molte anche attorniate da alberi. A un tratto vide che gli stava venendo incontro una persona, un gliksin dalla pelle bianca, quasi calvo. Ponter attraversò di corsa la strada in modo da evitare un possibile testimone, e proseguì verso ovest.

— Prendi la prima intersezione a sinistra — disse Hak. — Mi pare che il viale residenziale sia senza uscita.

Ponter eseguì, infilandosi in un vicolo perpendicolare. Dopo un isolato, Hak lo fece svoltare a destra, così che era di nuovo in direzione dell’università.

Un gatto di piccole dimensioni gli schizzò davanti, con la coda dritta. Incredibile come questi umani avessero deciso di addomesticare i gatti, che erano inutili per andare a caccia e non riportavano neppure indietro un bastoncino. “Bah, ciascuno ha l’animale che si merita.” Proseguì. I suoi piedoni piatti rimbombavano sulla superficie lastricata.

Poco più in là, gli si avvicinò un grosso cane nero. Oh, questi erano comprensibili, come animali da compagnia! I gliksin ne possedevano di tante varietà diverse, probabilmente ottenute con incroci selettivi. Alcune specie sembravano poco adatte alla caccia, ma si vede che ai loro proprietari piacevano così.

Di pensiero in pensiero, gli tornò in mente l’incontro dei paleoantropologi a Washington. I suoi lineamenti erano del tipo che loro definivano “neanderthaliani classici”, e ben marcati per giunta. Quegli studiosi trovavano strano che al popolo di Ponter non si fossero ridotti nasi e arcate sopracciliari, e che le loro mandibole non si fossero protruse ridicolmente in avanti.

Proprio l’opposto. Dall’era in cui, circa mezzo milione di mesi prima, nel suo popolo si era manifestata la coscienza superiore e quindi i due universi si erano divisi, era stata la selezione sessuale a conservare, anzi a far sviluppare quei caratteri che ai neanderthal sembravano così attraenti.