— Stanco? — chiese Hak.
— No.
— Bene. Sei a metà strada.
All’improvviso Ponter sobbalzò sentendo un latrato. Un altro grosso cane, stavolta marrone, stava avanzando verso di lui, e non scodinzolava. Sapeva di non poter sfuggire all’animale e si fermò. — Qui! Qui! — disse nella propria lingua, sperando che l’animale comprendesse il tono amichevole della voce. — Qui, cucciolo!
Il bestione continuò ad avanzare deciso, sempre abbaiando. Al secondo piano di una casa si accese una luce.
— Buono, cucciolo, buono! — disse Ponter, ma cominciava a innervosirsi. Anche se sapeva che era la strategia peggiore: come i barast, i cani riescono a percepire la paura altrui.
Perché quello ce l’avesse con lui, Ponter non ne aveva idea. Immaginava che l’animale non aggredisse ogni passante che incontrava, ma probabilmente era in grado (come Ponter) di distinguere a naso un gliksin da un barast. Certo, prima di allora non aveva mai fiutato un uomo dell’altro universo, ma lo interpretava comunque come un intruso.
Ponter si preparò ad afferrare il cane per la collottola non appena gli fosse balzato addosso. Quando…
Un lampo nella semioscurità. Uno schiocco secco, come una cintura di pelle sbattuta contro il ghiaccio.
Il cane emise un guaito di sofferenza.
Aveva spiccato il salto a una velocità sufficiente per essere intercettato dallo scudo di energia progettato da Goosa Kusk. L’animale, confuso e spaventato, e sanguinante dal naso (per quanto Ponter potesse fiutare), mise la coda tra le gambe e se la filò al galoppo. Ponter riprese fiato un attimo, poi ricominciò a correre.
— Molto bene — disse Hak dopo un po’. — Qui dobbiamo attraversare quella strada riservata ai veicoli, la quattro-zero-sette. Svolta a sinistra e raggiungi il ponte lì davanti. Attento a non farti investire.
Seguendo le istruzioni, Ponter fu presto sul lato opposto della superstrada, diretto a sud. In lontananza poteva intravedere le luci in cima alla CN Tower, nella zona costiera di Toronto. Mary gli aveva detto quanto fosse favoloso il panorama del lago da lassù, ma finora aveva sempre e solo visto quella struttura da lontano.
Attraversò un’altra grande arteria che, perfino a quell’ora, era piena di macchine che sfrecciavano ogni pochi istanti. E di lì a poco era al campus della York University. Hak lo guidò lungo vari edifici, parcheggi e spazi aperti, fino all’estremità opposta.
Dopo altre centinaia di metri di corsa, Ponter si ritrovò di monte a una viuzza sporca, nei pressi del palazzo in cui abitava Ruskin. Si chinò, appoggiando le mani alle ginocchia, ansimando. “Sto invecchiando…” pensò. Una piacevole brezza gli soffiava in viso, aiutandolo a rinfrescarsi.
Era possibile che in quel momento Mèr si fosse già svegliata e avesse notato la sua assenza; tuttavia, per la breve esperienza che lui aveva accumulato a letto con lei, Mèr aveva il sonno robusto; e mancavano quasi due decimi al sorgere del sole. Sarebbe rientrato prima di quell’ora, anche se non molto prima, e…
— Fermo dove sei! — sibilò una voce alle sue spalle. Qualcosa di duro gli venne appoggiato con forza alla schiena. Ponter comprese al volo la falla nell’invenzione di Goosa: oh sì, poteva deviare una pallottola sparata da lontano, ma era inutile contro un fucile che fosse già a contatto con il suo corpo.
Ma quello non era il Canada, dove circolavano pochissime armi? Il pensiero che sulla sua schiena fosse puntato solo un pugnale non fu però di grande conforto.
Ponter non sapeva come reagire. In quell’istante, nella luce incerta e di spalle, chiunque gli si fosse accostato non doveva ancora averlo riconosciuto. Però, appena avesse aperto bocca, anche sottovoce, e Hak avesse tradotto, la cosa sarebbe stata subito evidente.
— Che cosa vuoi? — chiese Hak, prendendo l’iniziativa.
— Il portafoglio — rispose la voce. Una voce maschile, dura, senza purtroppo il minimo segno di nervosismo.
— Non l’ho preso — disse Hak.
— Peggio per te. In mancanza di soldi, prelevo sangue.
In una lotta corpo a corpo, Ponter poteva abbattere qualsiasi gliksin; ma questo era armato. In quell’istante, Hak dovette accorgersi che Ponter non sapeva di che arma di trattasse. — Ha un coltello — gli disse nella coclea. — Lama in acciaio, a serramanico, lunghezza circa 30 centimetri; il manico, marchiato a fuoco, dà l’impressione di essere in legno laccato.
Ponter valutò l’ipotesi di girarsi di scatto, nella speranza che sarebbe bastata la sua faccia da barast a spaventare l’aggressore. Ma l’ultima cosa che desiderava era che qualcuno raccontasse in giro di averlo visto da quelle parti.
— Il gliksin continua a oscillare dalla gamba destra a quella sinistra — gli rivelò in segreto Hak. — Lo senti?
Ponter annuì impercettibilmente.
— Adesso è sulla sinistra… ora sulla destra… ora sulla sinistra… Hai memorizzato il ritmo?
Altro piccolo cenno.
— Che intendiamo fare? — sibilò il gliksin.
— Okay — disse Hak a Ponter. — Quando dirò “ora!”, colpisci con il gomito sinistro, con tutta la tua forza. Dovresti prenderlo al plesso solare. Come minimo, barcollerà all’indietro, permettendo allo scudo di proteggerti in caso cercasse di accoltellarti. — Hak passò all’altoparlante esterno: — Davvero, non ho soldi — e qui Ponter capì che Hak aveva commesso una svista, perché la lettera “i” di “soldi” era stata pronunciata grazie alla registrazione di una voce gliksin, non nel tono usuale di Hak.
— Cosa cazzo… — disse il rapinatore, colpito da quel suono imprevisto. — Girati, pezzo dimm…
— Ora! — disse Hak nella coclea.
Ponter fece scattare il gomito all’indietro a piena potenza. Si piantò nello stomaco del gliksin, che sputò fuori aria con un ooof! Ponter in un decimo di secondo si era voltato verso di lui.
— Oh Gesù! — esclamò il gliksin, vedendo la faccia ossuta e pelosa di Ponter. Poi, di colpo, scattò avanti. Abbastanza veloce da attivare lo schermo. Un lampo. La lama tintinnò a mezz’aria. Ponter allungò il braccio destro e afferrò l’aggressore per il collo da pulcino. Era un ragazzo con, forse, la metà degli anni di Ponter.
Per un attimo il neanderthal fu tentato di stringere la morsa, e sfondargli la laringe. No, non poteva farlo.
— Lascia andare il coltello! — disse Ponter. Il ragazzo abbassò gli occhi, imitato da Ponter. La lama si era piegata nell’impatto. Il neanderthal strinse leggermente la presa; simultaneamente il gliksin allentò la propria, e l’arma cadde al suolo con un clangore metallico.
— E adesso fuori dai piedi — disse Ponter. Hak tradusse: — Fuori dai piedi, e non raccontare a nessuno quello che hai visto!
Lo lasciò andare. Il gliksin tossicchiò per respirare.
Ponter sollevò il pugno. — Vattene! — Il ragazzo annuì e si eclissò, con una mano che stringeva lo stomaco dove aveva ricevuto la gomitata.
Ponter non perse altro tempo. Si lanciò per la striscia di cemento screpolato che conduceva all’edificio.
37
Attese pazientemente nell’atrio del palazzo, tra una porta a vetri e l’altra. Alla fine, dopo parecchie centinaia di istanti, qualcuno arrivò dagli ascensori. Ponter si voltò di schiena e restò lì a bighellonare. Quando il gliksin uscì dal corridoio, il neanderthal, senza fare mosse avventate, bloccò la seconda porta a vetri prima che si richiudesse. Attraversò velocemente il pavimento piastrellato (che era l’unico elemento nell’architettura gliksin in cui venisse impiegata la forma quadrata), e premette il pulsante di chiamata ascensore. La cabina da cui era appena uscito il gliksin era ancora al piano; si riaprì, e Ponter salì.