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— Che… — La voce di Ruskin sembrava quella di un ragazzino. — Che vuoi da me?

— Anzitutto, la verità. Voglio che tu confessi i tuoi crimini.

— Come se non sapessi che quell’affare che hai al braccio è un registratore.

— Confessa i tuoi crimini.

— Non ho mai…

— La polizia di Toronto possiede campioni del tuo DNA, provenienti dalla violenza su Remtulla.

Ruskin si fece coraggio e rispose: — Se sapessero che è il mio DNA, qui ci sarebbero loro, non tu.

— Se continui a negare, ti ammazzo.

Lui riuscì a scuotere lievemente la testa, pur nella morsa di Ponter. — Una confessione coercitiva non ha nessun valore.

Hak emise un bip, ma era facile indovinare il significato di “coercitiva”. — Benissimo, allora convincimi di essere innocente.

— Non devo convincere nessuno di un accidente.

— Sei stato sorpassato in carriera perché sei bianco e perché sei di sesso maschile — disse Ponter.

Ruskin tacque.

— Non sopportavi che altre persone… che delle donne fossero state promosse al posto tuo.

Ruskin si divincolava per liberarsi, ma Ponter non faceva alcuna fatica a trattenerlo.

— Volevi farle soffrire — continuò Ponter. — Volevi umiliarle.

— Provaci ancora, uomo delle caverne…

— Ti è stato negato ciò che desideravi, perciò ti sei preso ciò che andrebbe solo ricevuto in dono.

— Non era quello…

— Allora spiegamelo tu — disse Ponter, torcendogli un braccio. — Spiegami cos’era.

— Avevo tutti i numeri per entrare di ruolo — disse Ruskin. — Ma quelle continuavano a fregarmi. Quelle stronze continuavano a fregarmi e…

— E… cosa?

— E allora ho fatto vedere loro cosa sa fare un uomo.

— Tu sei la vergogna del genere maschile — disse Ponter. — Quante ne hai violentate? Quante?

— Solo…

— Oltre a Mèr e a Qaiser? Silenzio.

Ponter allontanò Ruskin dal muro, poi ve lo sbatté di nuovo contro. Le crepe nell’intonaco aumentarono. — Ce ne sono state altre?

— No. Solo…

Ponter aumentò la torsione del braccio di Ruskin. — Solo chi? Solo… chi? — Guaì per il dolore. — Chi? — ripeté Ponter.

Ruskin grugnì. Poi, a denti stretti: — Solo la Vaughan. E quella stronza d’una paki.

— Cosa? — chiese Ponter, dopo che Hak ebbe fatto bip. Aumentò la torsione.

— Remtulla! Ho stuprato Remtulla!

Ponter allentò, di poco, la morsa. — Adesso basta, mi hai capito? Non lo rifarai mai più. Io ti terrò d’occhio. Anche altri ti terranno d’occhio. Non lo fare mai più.

Ruskin emise un rantolo inarticolato.

— Mai più — disse Ponter. — Giuralo.

— M… mai… più… — rispose Ruskin, ancora a denti stretti.

— E non parlerai a nessuno della mia visita di stanotte. Se lo farai, ti consegnerò nelle mani della vostra giustizia. Hai capito? Hai capito?

Ruskin riuscì a fare un cenno di assenso.

— Molto bene — disse Ponter. Per un attimo, allargò le dita; ma all’improvviso sbatté con violenza l’uomo contro il muro. Stavolta caddero pezzi d’intonaco. — No, non va per niente bene — continuò; adesso stringeva i denti anche lui. — Non è sufficiente. Giustizia non è fatta. — Premette con tutto il suo peso, appoggiando l’inguine alla parte bassa della schiena di Ruskin. — Scoprirai che cosa significhi essere dalla parte della donna.

Ruskin si irrigidì. — No, merda, no, Cristo, quello no!

— È solo giustizia — disse Ponter, infilando una mano in una delle tasche del cinturone ed estraendo uno spruzzatore di gas compresso.

Un sibilo all’altezza del collo di Ruskin, che urlò: — Che cazzo è quello? Non puoi… E crollò privo di sensi. Ponter lo stese a terra.

— Hak — chiese — tutto bene?

— Mica male, la botta che ho preso — rispose il Companion. — Però non accuso danni.

— Chiedo scusa — disse Ponter, osservando Ruskin disteso supino su un mucchio di biancheria.

Gli allargò le gambe. Poi si mise a frugare all’altezza del bacino. Dopo un po’ capì come si aprisse la cintura; fatto quello, sbottonò i pantaloni e abbassò la lampo.

— Prima dovresti togliergli le scarpe — suggerì Hak.

Ponter annuì. — Giusto. Mi dimentico sempre che sono indipendenti. — Dopo una serie di esperimenti, riuscì a slacciarle. Togliendo le scarpe, quasi sternuti al sentire l’odore che proveniva dai piedi. In ginocchio, Ponter tornò alla cintura e sfilò i pantaloni di dosso al gliksin. Quindi toccò alle mutande.

Infine, Ponter osservò i genitali di Ruskin. — C’è qualcosa che non va — mormorò. — È come se fosse stato sfregiato. — Spostò il braccio in modo che anche Hak potesse vedere dalla lente.

— Stupefacente — disse Hak. — Manca il cappuccio cutaneo.

— Il che?

— Il prepuzio.

— Ma… tutti i maschi gliksin saranno così? — chiese Ponter.

— Questo li renderebbe unici tra i primati.

— Oh be’ — disse Ponter — non ha nessuna importanza, per ciò che sto per fare.

Cornelius Ruskin tornò in sé che era giorno; la luce che filtrava dalle finestre gli rivelò che era ancora mattina. Aveva la testa che gli martellava, la gola che gli bruciava, un gomito contuso, il fondoschiena dolorante, infine si sentiva come se gli avessero appioppato un calcio nelle palle. Provò a sollevare la testa, ma la nausea fu tale da costringerlo ad abbandonarla sul parquet. Un po’ più tardi ripeté il tentativo, riuscendo a puntellarsi su un gomito. Aveva indosso camicia e pantaloni, e anche calze e scarpe, ma queste ultime slacciate.

“Fanculo” pensò. “Vacca Eva.” Aveva sentito dire che i neanderthal erano omosessuali, ma, porca puttana, non era preparato a quello. Ruotò su un fianco, passando la mano sul retro dei pantaloni e pregando che non fossero impregnati di sangue. Dalla gola gli salì un conato di vomito. Lo respinse indietro deglutendo.

“Giustizia” aveva detto Ponter. Giustizia sarebbe stata avere un lavoro decente, invece di essere scavalcati da gente incompetente, solo perché donne e di una minoranza.

La testa gli martellava talmente che per un attimo pensò che il neanderthal fosse ancora lì, a sbattergli la padella sul cranio. Chiuse gli occhi per raccogliere le forze. Erano talmente numerosi i punti che gli facevano male che non riusciva a focalizzare niente.

Quel cazzo di idea romantica della giustizia di quell’uomo-scimmia! Solo perché lui l’aveva messo dentro alla Vaughan e alla Remtulla, per dimostrare loro chi fosse il boss, Boddit era arrivato alla conclusione che sarebbe stato coerente sodomizzarlo.

U che conteneva anche un chiaro avvertimento: tenere il becco cucito. Altrimenti, se avesse mai querelato Ponter, ecco che cosa gli sarebbe successo in carcere, dopo la condanna per stupro…

Ruskin inspirò profondamente e si portò la mano alla gola. Poté percepire al tatto i solchi lasciati dalle dita dell’uomo-scimmia. Cristo, doveva averlo ridotto a uno schifo.

Alla fine, il giramento di testa diminuì abbastanza da fargli tentare di alzarsi. Si aggrappò alla sporgenza del passavivande e si drizzò in piedi; restò lì un po’ ad attendere che da davanti agli occhi sparissero i lampi di luce. Piuttosto che chinarsi ad allacciarsi le scarpe, se le tolse scalciando.

Aspettò per un altro minuto buono, finché le pulsazioni alle tempie non furono abbastanza attenuate da non fargli temere di crollare se avesse staccato la mano dal sostegno. Barcollò per il breve corridoio fino al piccolo, lurido bagno che qualche inquilino precedente aveva dipinto di un verde squallido. Chiuse dietro di sé la porta per poter usare lo specchio (con un angolo rotto) che vi era avvitato. Slacciò la cintura, abbassò i pantaloni e rivolse la schiena allo specchio; facendosi forza, abbassò anche le mutande.