Temeva che anche sulle natiche ci fossero dei solchi come sulla sua gola, ma lì non vide nessun segno, tranne una contusione laterale; quella però doveva averla prodotta la caduta, quando Ponter aveva sfondato la porta.
Ruskin afferrò uno dei glutei e lo tirò da parte per vedere lo sfintere. Non sapeva bene che cosa attendersi. Sangue? No, pareva essere tutto a posto. Gli sembrò strano che un’aggressione così massiccia non avesse lasciato tracce, però era così. Per quanto potesse vedere a occhio nudo, il suo posteriore era intatto.
Ancora perplesso, si trascinò verso il water, con pantaloni e slip alle caviglie. Si mise di fronte alla tazza e prese delicatamente il pene, che direzionò e…
— No!!
No. No. No. Cristo santo di Dio, no!
Ruskin si tastò sotto l’inguine, si chinò, poi si raddrizzò e tornò barcollando allo specchio.
“Dio, Dio, Dio…”
Si vedeva bene ogni dettaglio: gli occhi azzurri spalancati per l’orrore, la mandibola cascante, e…
Si curvò verso lo specchio per cercare di vedere lo scroto. In quel punto, c’era una linea verticale, come…
Com’era possibile?
Come una sutura chirurgica.
Tastò di nuovo alla ricerca delle borse molli e rugose, nell’estrema speranza di essersi sbagliato.
Non si era sbagliato.
No, santo cielo benedetto.
Ruskin vacillò, si aggrappò al lavandino e cacciò un urlo animalesco.
I suoi testicoli erano spariti.
38
Jurard Selgan rimase in silenzio per parecchi secondi. Ovviamente, le cose che Ponter gli stava raccontando erano strettamente confidenziali: i colloqui tra un paziente e lo scultore di personalità erano coperti dal segreto professionale. Selgan non si sarebbe mai sognato di divulgare gli eventi di cui veniva a conoscenza, e nessuno era autorizzato a visionare le immagini delle sedute di terapia negli archivi degli alibi. Tuttavia, ciò che aveva combinato Ponter…
— Non ci si fa giustizia con le proprie mani — disse Selgan.
Ponter annuì. — Come ho detto all’inizio, non sono fiero di quella azione.
Selgan mantenne la calma. — Hai anche detto che, tornando indietro, lo rifaresti.
— Lui ha compiuto il male — disse Ponter. — Un male molto peggiore del mio. — Allargò le braccia come per invocare clemenza. — Aveva fatto soffrire delle donne, e ne avrebbe fatte soffrire altre, lo l’ho fermato. Non solo perché adesso lui sapeva che io ero in grado di fiutare le sue tracce, ma anche per quello stesso motivo per cui qui sterilizziamo gli uomini violenti: dopotutto, amputando loro i testicoli, non ci limitiamo a evitare che i loro geni si trasmettano, ma facciamo precipitare i loro livelli di testosterone, cancellando il desiderio di aggredire.
— Ed eri sicuro che, se non avessi agito tu, non lo avrebbe fatto nessuno…
— Infatti! L’avrebbe fatta franca. All’inizio Mèr pensava di essere in una posizione di vantaggio, in quanto lo stupratore non sapeva di avere a che fare con una genetista. Ma Mèr si sbagliava: l’aggressore sapeva esattamente con chi aveva a che fare. E sapeva come evitare di essere condannato per i suoi crimini.
— Proprio come tu sapevi — disse Selgan, sempre in tono asettico — che nessuno ti avrebbe mai condannato per averlo castrato.
Ponter tacque.
— Mèr lo sa? Glielo hai detto?
Ponter scosse la testa.
— Perché no?
— Perché no? — gli fece eco Ponter, incredulo. — Perché no? Perché avevo commesso un reato, un’aggressione con lesioni personali. Non volevo che lei finisse coinvolta. Non volevo che nessuno mettesse lei di mezzo, in caso di denuncia.
— Solo per questo?
Ponter non rispose, dedicandosi a contemplare le lisce pareti circolari dell’ufficio.
— Allora?
— E poi, ovviamente — disse Ponter — non volevo che crollasse la stima che Mèr ha di me.
— La sua stima avrebbe potuto aumentare — disse Selgan. — Dopotutto lo hai fatto per lei, per proteggere lei e altre possibili vittime.
Ponter scosse la testa. — No. Si sarebbe sentita delusa. Si sarebbe arrabbiata.
— Perché?
— Mèr è cristiana. Il filosofo di cui lei segue gli insegnamenti sosteneva che il perdono è la massima virtù.
Selgan sollevò uno dei suoi sopraccigli grigi. — Alcune cose sono difficili da perdonare.
— Pensi che io non lo sappia? — scattò Ponter.
— Non mi riferivo alla tua azione. Pensavo a ciò che lui… il maschio gliksin… ha fatto a Mèr.
Ponter inspirò profondamente, cercando di calmarsi.
— Quel… Ruskin è l’unica persona che tu abbia castrato?
Ponter si voltò verso di lui. — Ma certo!
— Ah — fece Selgan. — Solo che…
— Che cosa?
Selgan per il momento ignorò la domanda. — Hai raccontato a qualcuno, a parte me, ciò che hai fatto?
— No.
— Nemmeno ad Adikor?
— Nemmeno ad Adikor.
— Però ti fidi completamente di lui.
— Sì, ma…
— Il motivo è chiaro — disse Selgan, dopo che Ponter non ebbe aggiunto parola. — Nel nostro mondo, non sterilizziamo solo il colpevole di un grave crimine, dico bene?
— Certo. Sterilizziamo…
— Su!
— Sterilizziamo il colpevole e tutti coloro che condividano con lui almeno il 50 per cento del materiale genetico.
— Vale a dire?
— I fratelli. I genitori.
— Esatto. E poi?
— E poi… i gemelli omozigoti. Per questo la legge recita: “Almeno il 50 percento”. Nel caso dei gemelli, la condivisione del genoma è totale.
— Sì, sì, ma stai dimenticando una categoria.
— I fratelli. Le sorelle. La madre del reo. Il padre…
— E…
— Non capisco dove tu voglia… — Ponter s’interruppe. — Oh — mormorò poi. Guardò di nuovo Selgan, quindi abbassò gli occhi. — I figli.
— E tu hai due figlie, no?
— Jasmel Ket e Mega Bek.
— Perciò, se qualcuno venisse a sapere del tuo reato e si lasciasse sfuggire qualcosa, o se il tribunale chiedesse di visionare il suo archivio degli alibi, non verresti punito solo tu. Verrebbero sterilizzate anche le tue figlie.
Ponter chiuse gli occhi.
— Non è così?
La risposta di Ponter fu appena udibile: — Sì.
— Poco fa ti ho chiesto se avessi sterilizzato qualcun altro, e mi hai aggredito!
Ponter non fece commenti.
— Sai spiegare perché te la sei presa?
Lui si lasciò sfuggire un sonoro sospiro. — Io ho sterilizzato solo il diretto colpevole, non i suoi parenti. Voglio dire, non mi ero mai posto la questione se fosse… giusto sterilizzare degli innocenti al solo scopo di migliorare il nostro pool genetico. Ma poi… poi io e Hak, diversamente da quanto avevo detto, abbiamo dato un’occhiata a quella Bibbia dei gliksin. Proprio all’inizio, si racconta che tutti i discendenti della prima coppia umana sono stati maledetti a causa di una colpa commessa dai progenitori. Mi è sembrato così sbagliato, così ingiusto.
— E, per quanto tu desiderassi purgare il pool genetico gliksin dall’infezione di Ruskin, non potevi metterti in caccia dei suoi parenti. Perché, così facendo, avresti implicitamente ammesso che anche le tue parenti più strette, le tue figlie, avrebbero meritato di essere punite a causa del tuo crimine.