Ponter era strabiliato. Però…
Però Daklar era una donna intelligente, e a lui piaceva. I capelli bruni di Daklar erano attraversati da bellissime stilature grigie. E…
Ma no, no. Quella era una pazzia. Dopo quello che lei aveva fatto ad Adikor.
Ponter avvertì una contrazione dolorosa alla mandibola. Qualche volta gli succedeva, ma a causa del freddo intenso. Prese a massaggiarsela attraverso la barba.
La mandibola gli era stata fracassata da Adikor durante una stupida lite, circa 229 lune prima. Se Ponter non avesse schivato parzialmente il pugno, lo avrebbe ammazzato. Ma lui si era scostato appena in tempo e, sebbene avesse dovuto sostituire con protesi metà della mandibola e sette denti, era ancora vivo.
E aveva perdonato Adikor. Non aveva fatto nessuna pubblica accusa, così che ad Adikor era stato risparmiato il bisturi della polizia. Si era però sottoposto a un trattamento psicologico, e da quel momento non aveva più neppure minacciato Ponter, né altri, di colpirli.
Il perdono.
Con Mary, nell’altro mondo, avevano conversato a lungo sulla fede di lei in Dio e sul figlio adottivo di Dio che aveva cercato di insegnare il perdono al popolo di laggiù. Mary era una seguace di quel maestro.
D’altro canto, Ponter era davvero solo. Impossibile prevedere che cosa avrebbe deciso il Gran Consiglio dei Grigi circa la riapertura del varco; ma, anche se avessero dato l’assenso politico, Ponter non poteva essere sicuro al cento per cento che il contatto tra i due universi si sarebbe ristabilito.
Il perdono.
Era ciò che lui aveva concesso ad Adikor mezza vita fa.
Era la suprema virtù nel sistema di credenze di Mary.
Era ciò di cui Daklar sembrava aver bisogno in quel momento.
Il perdono.
— E va bene — disse Ponter. — Tu devi fare la pace con Adikor. In subordine a questo, io dimenticherò qualunque animosità sorta tra noi due a causa dei recenti eventi.
Daklar sorrise. — Ti ringrazio. — Poi però s’interruppe, e il sorriso svanì. — Ti andrebbe la mia compagnia… intendo, finché i tuoi figli non saranno liberi dai loro impegni? Sarò anche la tabant di Mega, e io e lei e Jasmel condividiamo ancora la stessa casa, ma comprendo che hai bisogno di tempo da trascorrere tète-à-tète con loro. Non interferirò. Però, fino ad allora…
La voce le si strozzò. Guardò Ponter negli occhi per invitarlo a concludere la frase.
— Fino ad allora — disse lui, prendendo la decisione definitiva — sarò lieto di avere la tua compagnia.
4
Il laboratorio di Mary Vaughan alla York University era rimasto sostanzialmente identico a come lo aveva lasciato. Il che non era sorprendente, dato che, nonostante tutte le cose che erano successe, erano passati solo ventitré giorni dall’ultima volta che lei era stata lì.
Daria Klein, una delle dottorande di Mary, era però venuta al laboratorio varie volte. Il tavolo di lavoro era tutto in ordine, ed erano state riempite alcune caselle sulla mappa, appesa alla parete, in cui era indicata la sequenza di cromosomi Y di un antico egiziano, una ricerca a cui Mary stava lavorando.
Arne Eggebrecht, del Pelizaeus Museum di Hildesheim (Germania), aveva ipotizzato di recente che una mummia acquistata come souvenir da un turista alle Cascate del Niagara potesse in effetti appartenere al faraone Ramesse I, fondatore della dinastia che comprendeva Seti I, Ramesse II (quello interpretato da Yul Brynner nei Dieci Cotnandamenti), Ramesse III e la regina Nefertari. Attualmente il reperto era custodito all’Emory University di Atlanta, ma a Toronto erano stati inviati dei campioni di DNA da analizzare. Il laboratorio di Mary era già famoso a livello internazionale per i suoi successi nella mappatura di antichi filamenti genetici; non a caso avevano chiamato lei per il caso Ponter Boddit. In sua assenza Daria aveva fatto notevoli progressi sul presunto Ramesse I, cosa che incontrò tutta l’approvazione di Mary.
— Professoressa Vaughan…
Mary ebbe un sussulto. Si voltò, e vide un uomo alto e smilzo, sulla sessantina abbondante, in piedi sulla soglia. Aveva una voce rauca da basso; pettinatura alla Ronald Reagan.
— Sì? — fece lei. Si sentì un nodo allo stomaco: l’uomo ostruiva l’unica via d’uscita. Indossava giacca e pantaloni grigio topo, cravatta bianca di seta con il nodo allentato. Un istante dopo, entrò in laboratorio, estrasse da una tasca un porta-documenti in argento e offrì a Mary un biglietto da visita.
Lei lo prese, imbarazzata notando che le tremava la mano. Il biglietto recitava:
GRUPPO SYNERGY
Dott. J.K. “Jock” Krieger
Direttore
Il logo mostrava una Terra divisa matematicamente a metà. Sul lato sinistro gli oceani erano neri e le masse emerse bianche, sul lato destro l’opposto. Erano indicati un indirizzo fisico situato a Rochester, Stato di New York, e un indirizzo e-mail che terminava in .gov, il che significava che c’era di mezzo il governo degli Stati Uniti.
— Che cosa posso fare per lei, signor Krieger?
— Sono il direttore del gruppo Synergy — rispose lui.
— Vedo. Ma non l’avevo mai sentito nominare.
— Nessuno lo ha mai sentito prima d’ora, e pochissimi in futuro. Synergy è un’équipe di consulenza della Casa Bianca che ho creato nell’arco delle ultime due settimane. Ci ispiriamo più o meno alla RAND, sebbene su scala molto minore rispetto a quella multinazionale… almeno per il momento.
Della RAND, Mary aveva giusto sentito qualche volta il nome. Comunque, annuì.
— Una delle nostre principali fonti di finanziamento è l’INS — proseguì Krieger; poi si accorse che Mary aveva sollevato un sopracciglio. — L’Ufficio immigrazione e naturalizzazione degli Stati Uniti d’America.
— Ah — commentò lei.
— Come saprà, il caso neanderthal ci ha lasciato… ha lasciato tutti in mutande. Tutto praticamente è finito prima ancora di iniziare, tant’è vero che nei primi giorni anche noi l’abbiamo liquidata come l’ennesima trovata da giornali scandalistici, come una prugna cotta con le fattezze di Madre Teresa o un avvistamento dello Yeti.
Mary annuì. Anche lei all’inizio l’aveva presa per una balla.
— Naturalmente — continuò Krieger — è possibile che il varco tra il nostro universo e quello neanderthaliano non si apra mai più. Tuttavia, se l’evento si ripetesse, noi vogliamo essere pronti.
— “Noi”?
— La Casa Bianca.
Mary sentì che la schiena le si stava irrigidendo. — Il varco si è aperto su suolo canadese, per cui…
— Per l’esattezza, professoressa, si è aperto un paio di chilometri al di sotto del suolo canadese, presso l’Osservatorio quantistico di Sudbury, il quale è un progetto congiunto tra istituti canadesi, britannici e statunitensi, tra cui l’Università della Pennsylvania, quella di Washington, e Los Alamos, e la Lawrence Berkeley, nonché i laboratori nazionali di Brookhaven.
— Oh — esclamò Mary. Non lo sapeva. — Però la miniera di Creighton, in cui è situato l’Osservatorio, appartiene al Canada.
— Per l’esattezza, appartiene alla multinazionale canadese Inco. Ma, ascolti, non sono venuto da lei per discutere di questioni di sovranità nazionale. Volevo solo chiarire che gli Stati Uniti hanno dei legittimi interessi in questa storia.
Mary rispose in tono gelido: — Okay.
Krieger esitò; si era reso conto di essere partito col piede sbagliato. Poi disse: — Se il varco dovesse riaprirsi, vogliamo essere pronti. La difesa del sito non sembra presentare eccessive difficoltà: come saprà, il XXII stormo dell’Aeronautica militare canadese, con base a North Bay, ha avuto ordine di preservare l’area da invasioni o attacchi terroristici.